mercoledì 24 settembre 2008

Una gran voglia di cambiar aria...

E’ un periodo pieno.
Forse troppo. Decisamente.
Tra l’Università, i lavoretti qua e là, l’impegno politico e un po’ di problemi con la salute, mi sento stanca. Poi ci sono le notizie dei giornali, dei TG, i problemi quotidiani della mia vita e del mondo dai quali non riesco a distaccarmi, non riesco a prendere le dovute distanze; e così le ansie, le proeccupazioni, le incazzature aumentano.
Vorrei uno stacco.
Radicale. Anche per poche settimane.
Ma questa volta non in una capitale ricca di vita, non nel caos di una metropoli come, per esempio, Nairobi, non in un tour per conoscere, scoprire genti, culture diverse…no, questa volta no…
Vorrei un posto calmo, tranquillo, isolato, senza TV, senza cemento, senza preoccupazioni…
Sapete dove vorrei essere?
In Polinesia.
Conoscete la Polinesia?
La Polinesia (Francese - Plynesie Francaise) è una costellazione di 118 isole, raggruppate in cinque arcipelaghi, che politicamente appartengono alla Francia. Il più importante e conosciuto è quello delle Isole della Società: Tahiti, Moorea, Tetiaroa, Huanine e Bora Bora. Il secondo è l’arcipelago delle Tuamotu costituito da 80 atolli tra cui le isole Rangiroa e Manihi. Infine l’arcipelago delle Marchesi, le Australi e le Gambier.
Il nome Polinesia deriva dal greco antico πολύς e νησος, cioè tante isole.
Fino al 1880 la Francia non esercitò pienamente la sua sovranità sulle isole, cominciò a farlo all’inizio del XX. A partire dal 1856 iniziarono però grandi ondate d’immigrazione verso i territori polinesiani. S'installarono inizialmente delle piccole colonie di popolazioni melanesiane e cinesi. Tra il 1964 e il 1973 venne a poco a poco concessa la nazionalità a questi nuovi abitanti. Sembra che la popolazione polinesiana sia un incrocio tra diverse razze, provenienti da India, Malesia, Cina, Giappone, Arabia, Egitto, Caucaso, Antartide e perfino Germania e Norvegia.
Le isole polinesiane si distinguono in alte e basse.
Le isole basse presentano una struttura morfologica originata da secoli di erosione; offrono al visitatore un panorama veramente unico, caratterizzato dalla presenza di attolli sparsi in lagune le cui acque calde sono popolate da milioni di pesci di ogni specie, coralli, tartarughe giganti e delfini. Le isole alte sono invece caratterizzate da aspri picchi di origine vulcanica. Oltre ad offrire una fitta e rigogliosa vegetazione, le isole alte presentano lunghe spiagge dalle sabbie nere, di origine basaltica, oppure bianche, di sabbia corallina. La varietà di colori presenti in queste isole è veramente notevole: il blu dell’oceano, le sfumature di giallo e rosso dei romantici tramonti, il verde della vegetazione...
Le isole polinesiane presentano un clima complessivamente mite, rinfrescato dalla costante presenza degli Alisei del Pacifico. Poi c’è la cucina, dato non meno rilevante: molto gustosa pur utilizzando prodotti semplici, come verdura, frutta, pesce e carne di maiale. I cibi vengono cotti prevalentemente arrosto oppure in forni scavati nella terra (chiamati himaa), che conferiscono alle pietanze un sapore davvero particolare. Poi ci sono deliziosi frutti di mare e crostacei, pesce fresco dell’Oceano Pacifico, magari accompagnato da riso e salse a base di cocco. E che dire delle freschissime spremute e dei succhi di frutta! E della birra, la Hinano Beer!
Sì, è perfetto…
Svegliarsi alla mattina e non sentire auto, udire solo il lieve rumore delle onde, fare colazione guardando il mare e vivere la notte camminando sulla spiaggia con il silenzio e il cielo blu intenso come dolci compagni. E non indossare più scarpe, avere i piedi nudi, liberi, che fanno riassaporare il gusto del procedere tranquillo e pacifico, con gli occhi poi che spaziano su paesaggi infiniti e aperti, non chiusi dal cemento.
Cosa darei per partire, subito…

lunedì 15 settembre 2008

15 Settembre 1993

PADRE PINO PUGLISI (15/9/1973 - 15/9/1993)

Uomo di grande coraggio e fede, che lavorò nel quartiere Brancaccio e in meno di due anni riuscì a costruire un Centro di accoglienza, coadiuvato da un gruppetto di volontari; giorno dopo giorno raccolse dalla strada decine di bambini e ragazzi, sottraendoli alla mafia. Proprio da quest'ultima fu ucciso, in modo codardo e vile.
Rendiamo onore alla sua memoria. Rendiamogli onore, alla luce del sole.

Racconti in bottiglia

Mi sono messa a pulire camera e, tra i mille fogli scritti che ho sparsi nei cassetti e negli armadi, uno ha attirato la mia attenzione. Si legge poco, è scritto in matita, su un foglio stropicciato e tutto spiegazzato. Con curiosità l’ho aperto bene e l’ho letto. Non ricordo se sono stata io a scriverlo anni fa rifacendomi a fatti reali, non so se me l’ha scritto un’amica, non so se è un semplice racconto inventato…non ricordo…
Se non vi spiace, ve lo riporto.

Ricordi?
I giorni trascorsi a ridere, a giocare, con te che mi tenevi in braccio e io che ti chiedevo di co
ntinuo di raccontarmi, di raccontarmi tutto, perché quel tuo lavoro m’appariva fantastico…chissà, forse era il fascino della divisa, l’uniforme scura…e ricordi? Quando mi regalasti un cappello come il tuo e io lo indossai subito e mi cascò sugli occhi…ridemmo, ridemmo di gusto…”Da grande mi andrà bene” dissi… Ricordi?
Io che ti consideravo un fratello maggiore da stimare, da guardare a bocca aperta quando mi raccontavi degli inseguimenti, di ciò che ti capitava…lì, lì a Bergamo, quella Bergamo dove tu lavoravi e solo per questo magnifica per me…
Ricordi?
Il tempo è passato come una folata di vento, e tra il vento ho continuato a costruire la mia vita, a costruire me stessa…anche se quel vento ci ha allontanati, ognuno sulla propria strada...

Poi, un giorno, ho risentito una folata di vento che sapeva di salsedine, e ho sentito le onde del mare…questione d’un attimo…mi sono ridestata e ho chiesto “Siamo arrivati?” “Sì, sì, Genova, siamo arrivati”
E non so bene cos’è successo, i ricordi sono un pò annebbiati, il mio viso è ancora solcato dalle lacrime, e la mia coscienza reclama ancora giustizia…
E le mie orecchie…cos’hanno sentito lì a Genova, tra i vicoli, tra la polvere, tra le strade…e i miei occhi…
Ricordi?
Io non so tu cos'hai pensato in quei momenti, tu non sai cosa pensavo io…questione d’un attimo…d’una folata di vento…del destino…tu che dici? Che mi dici?
Ricordi?
Io col
volto coperto, incazzata…
Poi una carica, una corsa senza fine sulle strade della battaglia, e una mano che m’ha afferrata, più mani, un colpo secco alla gamba…il tempo di vedere delle divise, di provare rabbia, paura…e io che con l’aiuto di qualcuno mi slegavo da quelle prese da squalo, che correvo stringendo il dolore tra i denti…e io che mi voltavo, un attimo, la sciarpa caduta, e fissavo quell’unica divisa che m’aveva inseguita…che si bloccava…a pochi passi…che si toglieva il casco e che mostrava il volto…
Ricordi cos’hai provato quando m’hai vista?
Io lo ricordo, bene.
Ci siamo fissati attoniti, increduli, stupiti…pieni di malinconia…
Tu m’hai chiamata, con la voce spezzata dalle lacrime…e i ricordi passati sono tornati alla ribalta di colpo…anch’io in lacrime…ma ho voltato le spalle e ho corso, con la tua dolce, dolcissima voce che mi chiamava…che mi chiamava come quand’ero piccola, e mi vedevi arrivare a casa tua…
Ricordi?

venerdì 29 agosto 2008

29 Agosto 1991

LIBERO GRASSI (19/7/1924 - 29/8/1991)
Un eroe, un uomo, che seppe opporsi a quella schifezza che è la mafia.

Medaglia d'oro al valor civile
«Imprenditore siciliano, consapevole del grave rischio cui si esponeva, sfidava la mafia denunciando pubblicamente richieste di estorsioni e collaborando con le competenti Autorità nell'individuazione dei malviventi. Per tale non comune coraggio e per il costante impegno nell'opporsi al criminale ricatto rimaneva vittima di un vile attentato. Splendido esempio di integrità morale e di elette virtù civiche, spinte sino all'estremo sacrificio.»

venerdì 15 agosto 2008

Nuovamente in viaggio


Le nostre valigie logore stavano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo altro e più lungo cammino da percorrere ma non importa, la strada è vita...
J. Kerouac – Sulla strada

Fianalmente.
Sì, finalmente.
Di nuovo un valigia da preparare, di nuovo uno zaino da riempiere, di nuovo una macchina fotografica da utilizzare. Ma soprattutto di nuovo gente da conoscere, luoghi da vedere, storia da assaporare.

Viaggiare è sempre stato la vita per me.
Un’occasione d’oro da aspettare con dolcissima ansia, con la trepidazione che s’insinuava in ogni parte del corpo. E alla fine c’era il “dopo”: quanto bagaglio riportato a casa, quante storie, quanta cultura…sentivo che ad ogni viaggio la mente s’apriva e si riempiva di cose importantissime.
I viaggi iniziarono quand’ero piccola, su terra croata (all’epoca ancora denominata Jugoslavia), su magnifica terra croata, ricca di persone semplici e squisite, tra panorami verdi e mare cristallino. Poi ci fu il salto e via, a girare in lungo e in largo gli Stati Uniti, per poi tornare a riempire la sacca e avventurarmi su strade greche, dal Peloponneso a Rodi a Creta. Ma non bastava, mai. E col sorriso allora via per la Turchia e per le terre dei faraoni, in un Egitto caldo e magnifico, con tanti volti di bambini che furono il più bel regalo che mi portai a casa. Poi indossai la divisa da basket, prima, e da “collegiale”, dopo, e fu la volta della cugina Francia. Quindi di nuovo in Marocco e poi un salto lungo lungo fino a giungere in Brasile, una meta ambita da sempre, un viaggio in una missione (Comunidade de Açao Pastoral) che tengo ancora nel cuore e che spero di rivedere presto. Poi un po’ di tranquillità a zonzo in motorino e a piedi ancora su terra greca, Kos, e un tuffo nell’est, nella Repubblica Ceca.

Finchè tutto, improvvisamente, si fermò.

Un “stop” che non decisi io, che non volevo, al quale mi ribellai con tutte le mie forze. Fu allora che capii che “toccare il fondo” era una gran balla: non c’era fondo, si poteva andare sempre più giù, all’infinito.
Incarcerata dal mio stesso corpo, imprigionata in me stessa.
Imparai a comprendere cosa voleva dire lottare, cosa voleva dire solitudine, cosa significava avere il vuoto intorno, quale significato avessero anche le cose più semplici.
Viaggiare per me era la vita; impedendomelo, fu come togliermela.
Quante parole di disperazione buttate su fogli, quanto senso di impotenza, quante domande senza risposta. Quanta incapacità nel mondo della Medicina. E quante preghiere, quante parole rivolte là al cielo.

Finchè qualcosa è tornato a girare per il verso giusto.
Dopo quasi 3 lunghissimi anni.

Adesso ho di nuovo uno zaino, una valigia, una digitale, un viaggio.
Una Berlino che significa molto di più di una “meta”, di una “destinazione”, una Berlino che si caricherà di enorme significato per me. Potrebbe essere un nuovo inizio. E già mi lascio trascinare da un rinchiuso entusiasmo da viaggiatrice e sbircio l’atlante, internet, cataloghi, fogli, dove si parla di Brasile, di Mongolia, di Vietnam, di spedizioni in Africa…è più forte di me, non ce la faccio a non guardare!

Ok, ricomincio con la terra tedesca, ricomincio a respirare piano, con calma, con serenità, senza troppo timore.
Ricomincio da Berlino e, permettetemi, dalla “mia” Berlino Est che da sempre volli vedere. E che, anche lei, significa veramente tanto per me.
Pochi giorni ancora, e tutto si compirà…

E ho proprio voglia di gridare a squarciagola una frase del mio amico Kerouac
“Che bello il mondo! Io vado!”

lunedì 11 agosto 2008

中华人民共和国 奥运会 - Olympics Beijing 2008

Rank Name Gold Silver Bronze Total

1.China 51 21 28 100
2.United States 36 38 36 110
3.Russian Fed. 23 21 28 72
4.Great Britain 19 13 15 47
5.Germany 16 10 15 41
6.Australia 14 15 17 46
7.Korea 13 10 8 31
8.Japan 9 6 10 25
9.Italy 8 10 10 28
10.France 7 16 17 40
...
31.Mongolia 2 2 0 4
71.Vietnam 0 1 0 1

http://en.beijing2008.cn/


venerdì 8 agosto 2008

8 agosto 1956

[...] Sono tutti morti.
Queste tre parole campeggiano sulla prima pagina dei giornali di Charleroi usciti di buona mattina in edizione straordinaria, listati a lutto. Sono tutti morti. Le tre parole che la gente ripete costernata per le strade suonavano come tre funebri rintocchi sull'ultimo atto della tragedia di Marcinelle, all'alba del diciassettesimo giorno del suo inizio.

Massimo Caputo, L'ultima giornata d'attesa fu la più straziante,
Corriere della Sera, 24 agosto 1956

[...] La causa del prodursi dell'immensa bara di 262 minatori stava nelle ragioni che spingevano ad emigrare.
Ma non si cambiava linea.
L'emigrazione era una componente strutturale dell'economia italiana e in quanto tale doveva continuare ed essere incoraggiata. Il che non significava, pur dopo la catastrofe di Marcinelle, che fu meglio assistita, che i contratti bilaterali furono effettivamente rispettati, che i sindacati dei paesi d'immigrazione seppero elevarsi al di sopra della difesa degli interessi ristretti della classe operaia dei paesi indigeni.

Pasquino Crupi - La tonnellata umana, l'emigrazione calabrese 1870-1980 - Nuove Edizioni Barbaro, Bologna 1994

Era l'8 Agosto, era una giornata come tante.
L'allarme rieccheggiò alle 8.25.
Il panico e la paura si diffusero tra le mogli, i figli, i parenti, di tutti quelli che lì, nell'inferno profondo della miniera, avevano una persona cara. Poi iniziò l'attesa, carica di terrore, di speranza.
I minatori rimasero senza via di scampo, soffocati dalle esalazioni di gas. Le operazioni di salvataggio furono disperate fino al 23 agosto quando uno dei soccorritori pronunciò in italiano: "Tutti cadaveri!".

262 morti. 136 italiani.


I nostri Caduti, ragazzi di 20 anni e uomini di grande speranza, cacciati in quella miniera di sepolti vivi a lavorare come bestie in cunicoli non più alti di 50 cm. Su una porta della Galleria a quota 1.035, fu trovata una scritta "Fuggiamo davanti al fumo. Siamo una cinquantina". Qull'uomo che la scrisse non sapeva ancora del tragico destino che li aspettava.
Venivano da tutta Italia: Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Veneto.

Già, allora gli emigrati eravamo noi...
Come il titolo del libro di Gian Antonio Stella "L'orda - quando gli albanesi eravamo noi". Sono innumerevoli le analogie tra il nostro passato di emigrati e il presente di quelli che vengono da noi. Sono stati i nostri emigrati a sperimentare per primi la connessione rigida tra il possesso di un contratto di lavoro e la possibilità di risiedere in uno Stato estero. Così come gli attuali immigrati stranieri in Italia, i nostri emigrati in Francia, in Germania, in Belgio, erano lavoratori di serie C. Per esempio, non erano rari cartelli fuori dai negozi o dai bar che dicevano "Vietato l'ingresso agli italiani", per non parlare dei diritti e della sicurezza sul lavoro, quasi inesistente verso di noi.

Peccato che ce ne siamo dimenticati...veramente peccato...
Ma Marcinelle starà sempre lì, immobile, indistruttibile, a fissarci, silenziosa.

venerdì 25 luglio 2008

Certo hai ragione, la vita fugge via, ma il tempo non è altro che una dimensione...

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perchè con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perchè sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

(Eugenio Montale, Satura, Xenia II)



Per tutti quei viaggi che mi hai fatto fare stando fermi in casa, solo con la forza della tua voce e dei tuoi ricordi. Per avermi fatto viaggiare indietro nel tempo e avermi fatto conoscere un sacco di persone.
Perchè c'è chi sa far viaggiare anche anche solo a parole.
Grazie. Grazie di tutto.
Atque in perpetuum, ave atque vale...

martedì 15 luglio 2008

Buonanotte Italia...

Leonardo Sciascia disse "Il nostro è un paese senza memoria e verità. Ed io per questo cerco di non dimenticare".
Fu un ottimo scrittore, a volte scomodo, una di quelle personalità di spessore che per questo si studiano poco a scuola. Scrisse quella frase e ci azzeccò in pieno: spesso, siamo un paese senza memoria. E verità.

19-21 luglio 2001, G8 di Genova
Oggi, martedì 15 luglio 2008...

"Chiesti 76 anni. Condannati in 15 a 24. Grazie alla prescrizione nessuno pagherà.
Quindici condannati e 30 assolti dopo 11 ore di Camera di consiglio. Quando il giudice Delucchi legge la lunga sentenza sono in molti a scuotere la testa nei banchi occupati dalle parti civili e dai loro legali. Un calcolo sommario arriva a contare 24 anni complessivi comminati a un terzo dei 45 imputati, pene quasi tutte condonate, aggravanti tutte escluse. E nessuno è stato condannato per falso ideologico, l'unico reato che avrebbe resistito alla prescrizione. Una sentenza che nei fatti non riconosce le torture ma soltanto alcuni maltrattamenti specifici. La pena più alta (5 anni, 8 mesi e 5 giorni) era stata chiesta per Antonio Biagio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria, responsabile della sicurezza del centro di detenzione provvisorio. Non avrebbe avuto nulla da ridire che i detenuti fossero costretti dai suoi uomini faccia al muro, in piedi: la cosiddetta posizione del cigno. Di suo si sarebbe pure levato lo sfizio di prendere a calci, pugni e manganellate alcuni degli arrestati nel corso dell'identificazione. Tra gli imputati figura, tra gli altri, Alessandro Perugini, all'epoca dei fatti vice capo della Digos di Genova, per il quale i pm avevano chiesto 3 anni e 6 mesi. E' stato condannato a 2 anni e 4 mesi. Perugini è il più famoso per il cortometraggio di cui è protagonista assoluto: lui, in borghese, che prende un paio di volte la rincorsa per sfigurare meglio un minorenne di Ostia tenuto fermo da alcuni robocop travisati" (...)

Io dovevo andare al G8 di Genova, con un'amica. Ricordi Kiki? Un "disguido" proprio dell'ultimo minuto e tutto è saltato. Mi ricordo che mio nonno mi disse "Se fossi stato un pò più giovane ti avrei accompagnato io!" E i suoi occhi brillavano mentre mi diceva quelle parole, ci teneva proprio a venire. Chissà, avrei potuto esserci io fra le mani degli sciacalli con la divisa a prendere botte su botte, a vedermi spaccare la testa, ad incassare i loro calci; o magari la mia amica. O magari mio nonno. Tanto, lo si sa bene, non hanno guardato in faccia a nessuno: donne, uomini, minorenni...tutti da braccare e pestare, con la bava alla bocca, proprio come le belve. Ho visto un bel documentario sul G8, dal titolo "Bella Ciao". Sono riuscita a vederlo solo una volta, bloccando di continuo l'immagine; stavo male, non ce la facevo a reggerlo tutto d'un botto. E v'assicuro che non erano fotomontaggi, nè casi isolati: gente caricata all'improvviso, molta della quale aveva fatto sin lì una manifestazione pacifica, picchiata con una ferocia da camicie nere, da fanatici, da persone in divisa invasate che magari si sentivano protette dall'alto (chissà chi c'era al Governo allora...). Ci mancava solo che un altro Bava Beccaris ordinasse di sparare sulla folla...
Non tutti i poliziotti e i carabinieri sono belve. Generalizzare, fare del qualunquismo, non è da me. Però in quell'occasione molti si sporcarono la coscienza di sangue, con azioni da veri picchiatori, da branco, con sevizie e torture fisiche e psicologiche.
Aspettavamo la giustizia. Di quell'Italia della Breccia di Porta Pia, di quell'Italia che sconfisse unita i nazi-fascisti, di quell'Italia che nonostante tutto mi piace.
Non è arrivata.
E l'amaro in bocca è tanto. Di più la rabbia. E la volontà di non dimenticare, mai.
L'unica consolazione, per me, è sapere che almeno esiste una giustizia divina.


giovedì 3 luglio 2008

Notizie dalla Mонгол Улс

Mongolia, lo zampino di Soros

L'Open Society Institute dietro la rivolta di Ulan Bator

Dietro la rivolta popolare che ieri ha messo a ferro e fuoco la capitale della Mongolai, Ulan Bator, c’è lo zampino di George Soros, il filantropo statunitense che per mezzo della sua organizzazione mondiale – l’Open Society Institute – ha pianificato e finanziato tutte le ‘rivoluzioni colorate’ che nei paesi ex-comunisti hanno prodotto cambi di regime a vantaggio degli interessi economici e geopolitici occidentali.

Oggi a Ulan Bator regna una calma apparente.
Si contano i morti di ieri, almeno cinque, e i feriti, centinaia, come le persone arrestate dalla polizia durante gli scontri. Il governo ha imposto lo stato d’emergenza e il coprifuoco notturno, ordinando alle forze dell’ordine di usare la forza per impedire nuove proteste. La sede centrale del Partito comunista mongolo (Mprp) e la Galleria d’arte nazionale sono stati distrutti dalle fiamme appiccate dai manifestanti. Devastati dai saccheggi tutti gli uffici governativi. La rivolta è esplosa dopo che il Partito democratico d’opposizione, guidato da Tsakhia Elbegdorj, ha disconosciuto la vittoria del partito comunista di governo alle elezioni parlamentari di domenica scorsa, dicendo che il voto è stato truccato per impedire il vero risultato, ovvero la vittoria dell’opposizione. In realtà, gli osservatori internazionali avevano giudicato regolare il voto del 29 giugno.

Un nuovo terreno di scontro tra est e ovest.
I due partiti – filo-russo e filo-cinese il comunista, più filo-occidentale e liberista il democratico – sono in disaccordo su come gestire i grandi giacimenti d’oro, rame e carbone appena scoperti sotto le steppe mongole. Per l’Occidente, un cambio di governo significherebbe la possibilità di avere concessioni di sfruttamento, che altrimenti andrebbero tutte a Russia e Cina. Inoltre, gli Stati Uniti sognano da tempo di aprire una base militare in Mongolia, strategicamente cruciale vista la sua posizione geografica. Ma questa opzione sarebbe teoricamente realizzabile solo con un governo diverso da quello attuale.
Tre mesi prima delle elezioni, il 27 e 28 maggio scorso, l’Open Society Institute ha organizzato a Ulan Bator una conferenza in vista delle elezioni, allo scopo di “preparare la società civile mongola a monitorare il voto di giugno”. Al seminario, tutto spesato dall’organizzazione si Soros, hanno partecipato i rappresentanti dell’opposizione mongola, ong locali e delegazioni straniere provenienti anche da Georgia e Ucraina, dove le rivoluzioni di piazza del 2003 e 2004 hanno portato al potere governi che hanno spalancato le loro porte agli investimenti occidentali e alla Nato.

Tratto da Peace Reporter (
http://www.peacereporter.net/)

C'è al mondo gente che crede di poter fare quello che vuole e ficca il naso in questioni che non la riguardano. Fossero poi almeno brave persone. Purtroppo non lo sono e a pagare non sono loro, perchè questa gente se ne sta nelle retrovie, manda avanti gli altri. E per cosa poi? Stupidi interessi economici, ovvero soldi. Sempre loro.
Spero con tutto il cuore che la situazione ad Ulan Bator torni tranquilla, che i legittimi vincitori (ovvero il Partito Popolare Rivoluzionario Mongolo) possano governare come spetta loro di diritto. E che l'Open Society Institute taccia per sempre.

venerdì 27 giugno 2008

Dall'Italia agli USA, dal Sudan al Kenya, e di nuovo in questa Italia...Lascio la parola a Padre Alex

E' agghiacciante quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese.

I campi Rom di Ponticelli (Na) in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza del ministro Maroni, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne offrono una agghiacciante fotografia dell'Italia 2008.
«Mi vergogno di essere italiano e cristiano», fu la mia reazione rientrato in Italia da Korogocho, all'approvazione della legge Bossi-Fini (2002). Questi sei anni hanno visto un notevole peggioramento del razzismo e xenofobia nella società italiana, cavalcata dalla Lega (la vera vincitrice delle elezioni 2008) e incarnata oggi nel governo Berlusconi (posso dire questo perché sono stato altrettanto duro con il governo Prodi e con i sindaci di sinistra da Cofferati a Dominici...).

Oggi doppiamente mi vergogno di essere italiano e cristiano.

Mi vergogno di appartenere ad una società sempre più razzista verso l'altro, il diverso, la gente di colore e soprattutto il musulmano che è diventato oggi il nemico per eccellenza.
Mi vergogno di appartenere ad un paese il cui governo ha varato un pacchetto-sicurezza dove essere clandestino è uguale a criminale. Ritengo che non è un crimine migrare, ma che invece criminale è un sistema economico-finanziario mondiale (l'11% della popolazione mondiale consuma l'88% delle risorse) che forza la gente a fuggire dalla propria terra per sopravvivere. L'Onu prevede che entro il 2050 avremo per i cambiamenti climatici un miliardo di rifugiati climatici. I ricchi inquinano, i poveri pagano. Dove andranno? Stiamo criminalizzando i poveri?
Mi vergogno di appartenere ad un paese che ha assoluto bisogno degli immigrati per funzionare, ma poi li rifiuta, li emargina, li umilia con un linguaggio leghista da far inorridire.
Mi vergogno di appartenere ad un paese che dà la caccia ai Rom come se fossero la feccia della società. Questa è la strada che ci porta dritti all'Olocausto (ricordiamoci che molti dei cremati nei lager nazisti erano Rom!). Noi abbiamo fatto dei Rom il nuovo capro espiatorio.
Mi vergogno di appartenere ad un popolo che non si ricorda che è stato fino a ieri un popolo di migranti («quando gli albanesi eravamo noi»): si tratta di oltre sessanta milioni di italiani che vivono oggi all'estero. I nostri migranti sono stati trattati male un po' ovunque e hanno dovuto lottare per i loro diritti. Perché ora trattiamo allo stesso modo gli immigrati in mezzo a noi? Cos'è che ci ha fatto perdere la memoria in tempi così brevi? Il benessere? Come possiamo criminalizzare il clandestino in mezzo a noi? Come possiamo accettare che migliaia di persone muoiano nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per arrivare nel nostro "Paradiso"? E' la nuova tratta degli schiavi che lascia una lunga scia di cadaveri dal cuore dell'Africa all'Europa.
Mi vergogno di appartenere ad un paese che si dice cristiano ma che di cristiano ha ben poco. I cristiani sono i seguaci di quel povero Gesù di Nazareth crocifisso fuori le mura e che si è identificato con gli affamati, carcerati, stranieri. «Quello che avrete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me». Come possiamo dirci cristiani mentre dalla nostra bocca escono parole di odio e disprezzo verso gli immigrati e i Rom? Come possiamo gloriarci di fare le adozioni a distanza mentre ci rifiutiamo di fare le "adozioni da vicino"? Come è possibile avere comunità cristiane che non si ribellano contro queste tendenze razziste e xenofobe? E quand'è che i pastori prenderanno posizione forte contro tutto questo, proprio perché tendenze necrofile?

Come missionario, che da una vita si è impegnato a fianco degli impoveriti della terra, oggi che opero su Napoli, sento che devo schierarmi dalla parte degli emarginati, degli immigrati, dei Rom contro ogni tendenza razzista della società e del nostro governo. Rimanere in silenzio oggi vuol dire essere responsabili dei disastri di domani.
Vorrei ricordare le parole del pastore Martin Niemoeller della Chiesa confessante sotto Hitler:
«Quando le SS sono venute ad arrestare i sindacalisti, non ho protestato perché non ero un sindacalista.
Quando sono venute ad arrestare i Rom non ho protestato perché non ero un Rom.
Quando sono venute ad arrestare gli Ebrei non ho protestato perché non ero un Ebreo.
Quando alla fine sono venute ad arrestare me non c'era più nessuno a protestare».

Non possiamo stare zitti, dobbiamo parlare, gridare, urlare. E' in ballo il futuro del nostro paese, ma soprattutto è in ballo il futuro dell'umanità anzi della vita stessa.

Diamoci da fare perché vinca la vita!

Di
Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano (http://www.nigrizia.it/)

sabato 14 giugno 2008

Ricordi vivissimi d'una foto

In questi giorni mi sono messa a sfogliare qualche album di foto, durante una pausa tra un capitolo di studio e l’altro.
Mi sono tornate in mano le foto degli Stati Uniti, di quando feci quel viaggio nel lontano 1994. E’ passato moltissimo tempo da allora, eppure una cosa m’è rimasta impressa dentro, come se fosse ieri: i giorni che passammo a contatto con i Nativi Americani, che vedemmo dove vivevano, che visitammo i luoghi della loro storia, che parlammo con quel nativo, un Navajo, di cui ricordo ancora il nome…Roy...
La memoria ha fatto scattare qualcosa dentro di me e la mia mente s’è messa a ricordare come in un film. Quegli spazi infiniti, quella terra impregnata di sangue, quei nativi pieni di dignità e coraggio nonostante l'arroganza dei "coloni", quelle memorie mai degnamente ricordate dall’ufficialità della storia di stato americano…quei fili di ferro in quella specie di deserto che delimitavano ciò che il governo americano aveva “donato” ai nativi, ovvero le cosidette riserve (sulle quali le nostre TV tacciono da sempre, mentre ce ne sarebbero di cose da dire! Per esempio tirare in ballo qui il concetto di "genocidio culturale")
Un groppo alla gola, terribile; gli occhi offuscati non solo dalla miopia; lo stomaco di granito. Ho estratto una foto e richiuso l’album. La mia mente è partita per un viaggio di quasi un’ora, tra ricordi, emozioni, domande, insulti…In sottofondo quella canzone, Creek Mary's Blood, dei Nightwish.
Ho pianto, di rabbia e tristezza.
Roy...dove sei? Where are you?...



Sangue di Creek Mary
Presto io non sarò più qui / Sentirai questa storia / Attraverso il mio sangue / Attraverso la mia gente / E il pianto dell'aquila / L'orso dentro di me non si sdraierà mai per riposare / Camminando sulla Strada per l'Orizzonte / Seguendo la scia delle lacrime / L'uomo bianco venne / Vide la terra benedetta / Noi ci tenevamo, voi la prendeste / Tu combattesti, noi perdemmo / Non una guerra, ma una battaglia sleale / Paesaggi dipinti magnificamente con il sangue / Camminando sulla Strada per l'Orizzonte / Seguendo la scia delle lacrime / Un tempo noi eravamo qui /Dove abbiamo sempre vissuto sin dall'inizio del mondo / Dal tempo in cui lui stesso ci diede questa terra / Le nostre anime incontreranno di nuovo la natura / La nostra casa nella pace, nella guerra, nella morte /Camminando sulla Strada per l'Orizzonte...
"Continuo a sognare tutte le notti / I lupi, i bisonti, le infinite praterie / I venti agitati sopra le cime delle montagne / La frontiera incontaminata dei mie amici e parenti /La terra consacrata al Grande Spirito / Continuo a credere / In ogni notte / In ogni giorno / Io sono come il caribù /E voi come i lupi che mi fanno più forte / Noi non vi abbiamo mai dovuto niente / Il nostro unico debito è una vita per nostra Madre / E' stato un buon giorno per cantare questa canzone / Per Lei / Il nostro spirito era qui da tempo prima di voi / Prima di noi / E a lungo sarà dopo che il vostro orgoglio vi porterà / alla vostra fine".
"Hanhepi iyuho mi ihanbla ohinni yelo / O sunkmanitutankapi hena, / sunkawakanpi watogha hena, / oblaye t’ankapi oihankesni hena / T’at’epi kin asni kiyasni hea / katanhanpi iwankal / Oblaye t’anka kinosicesni mitakuyepi òn / Makoce kin wakan / WakanTanka kin òn / Miwicala ohinni - Hanhepi iyuha / kici - Anpetu iyuha kici halo / Mi yececa hehaka kin yelo, nani yececa sunkmanitutankapi / kin ka mikaga wowasaka isom / Uncipi tuweni nitaku keyas ta k’u / Unwakupi e’cela e wiconi / wanji unmakainapi ta halo /Anpetu waste e wan olowan / le talowan winyan ta yelo / Unwanagi pi lel e nita it’okab o’ta ye /Untapi it’okab o’ta / Na e kte ena òn hanska ohakap / ni itansni a’u nita ihanke halo