mercoledì 29 giugno 2011

Nirvāṇa ... 湼槃 ... निर्वाण

Non so voi, ma io a volte vorrei lasciare il caos metropolitano e periferico, vorrei non vedere più palazzi, strade asfaltate, auto...problemi, dubbi, preoccupazioni...vorrei abbandonare tutto e potermi tuffare in un mondo parallelo fatto di natura e tempi di vita che seguono il ciclo della terra. A volte invece no, a volte l'esplosione di voci, di folla, di vita, mi rivitalizzano. A volte però. Non sempre.
Terre sconfinate abbondanti e quasi sopraffatte dagli arbusti, dove svettano montagne che sembrano toccare il cielo, sentieri poco più che abbozzati che s'immergono in foreste da leggenda. E scovare d'improvviso qualche persona e sorridere istintivamente perchè di fronte a tanta prorompenza di natura fa piacere ritrovare un proprio simile. Sì, penso d'aver trovato la mia realtà parallela...ma non è fantascienza o frutto d'un sogno...è realtà concreta e tangibile. Certo, nella mia ricerca ne ho trovate più di una, ma molte erano costellate da orde di saccoapelisti e visitatori con zaino in spalla... Io vi parlo di una nazione incastonata tra i monti, chiamata Druk Yul (Terra del Drago Tonante) dai suoi abitanti. A vederlo oggi sembra un luogo dimenticato dal tempo: antichi templi appollaiati su alti precipizi avvolti dalla nebbia, sacre vette mai conquistate, fiumi e foreste incontaminate. Con una particolarità a livello statale a partire dagli anni '70, ovvero la FIL. Sapete cos'è?^^Semplice! La "Felicità Interna Lorda". E con questo pilastro questa nazione s'è tirata fuori dalla miseria in cui versava. Beh, ovvio, per tener lontane le invasioni turistiche c'è una pesante tassa da pagare se si vuole entrare e molti vincoli da seguire, ma così facendo gli orologi hanno rallentato di molto la cadenza del tempo.
Vi sto parlando del Bhutan, tra Cina ed India, che solo di recente è diventato democrazia per volontà del monarca che ha abdicato, e che quindi s'appresta ad affrontare un futuro pieno d'incognite. Ma ad oggi, nelle aree rurali del paese, si respira una sorta d'antichità, d'avventura, di sorpresa, di "Ohh" incantati. La terra perfetta per accogliermi, per accogliermi nei momenti in cui vorrei scappare da tutto e da tutti, in cui vorrei silenzio per capire, per affrontare...tante cose...tante questioni... Vorrei partire, veramente, per questo regno buddhista che sa di magico.






Magari installarmi un pò in un villaggio come quello di Nebji, nascosto nel cuore delle Montagne Nere, nel Buthan centrale, dove non arrivano strade ed elettricità, circondata da foreste e montagne. Tornare alla quiete del silenzio, al respiro profondo, agli spazi senza barriere che bloccano la vista...tornare alla pura semplicità.

Ma qui, scusate, mi devo fermare. Non credo nè alle favole nè agli eden in terra; e neanche il Buthan lo è. Magari si avvicina per me, ma non lo è. Mentirei a voi e a me se vi dicessi il contrario.
Anche qui i problemi ci sono.

Il maggior gruppo etnico del paese era quello degli induisti nepalesi, giunti in Buthan agli inizi del '900. Allarmata da una immigrazione costante, l'élite al potere buddhista e di origine tibetana (Drukpa) decretò che tutti i buthanesi dovessero seguire il codice linguistico, religioso, d'abbigliamento e condotta proprio dei Drukpa. E più ancora: tutti i bhutanesi non "puri" dovevano lasciare il paese entro 4 giorni. Ondate di proteste e conseguenti arresti si abbatterono negli anni '90, con decine di migliaia di bhutanesi d'origine nepalese che si dovettero rifugiare oltre confine. E qui, in questi campi profughi (che di certo non sono a 5 stelle...ma neanche 1 di stella!), si gioca tutt'oggi una delle dispute internazionali più spinose al mondo.

No...neanche il Buthan è il paradiso.

E non è neanche così immobile nel tempo.
Me ne accorgo meglio quando leggo un'intervista sul National Geograpich a Norbu Kinzang, un bambino di 7 anni abitante della capitale bhutanese, Thimphu (ཐིམ་ཕུ་); alla domanda del giornalista "Secondo te chi è il più cool del mondo?" lui risponde senza problemi "Mah...sia 50 Cent sia il quarto re del Bhutan...mi piacciono tutti e due!".

Sì...sentitevi spiazzati quanto me... O.o
E così, alla fine, la mia realtà parallela fatta di pura natura dove rifugiarmi, assume sfumature non certo da idillo.
Chissà, forse la "pace" esterna la si può cercare nel mondo (con un pò di pazienza...), si possono trovare luoghi che molto hanno da donare e molto da insegnare, nonostante i problemi interni che, d'altronde, ci sono in tutti i paesi.
Ma la "pace" interna, quella profonda, a costo di sembrare scontata, forse la troviamo solo dentro di noi. E non c'è luogo che regga, usi e costumi che servano, se prima non affrontiamo noi stessi, in quei discorsi a volte silenziosissimi, a volte chiassosi, a volte spietatamente veritieri, a volte spudoratamente bugiardi, che facciamo da soli con l'altro "io". In un dialogo tutto nostro, intimo e privato. A noi la scelta di tessere discorsi originali o falsi. Solo noi poi ne pagheremo le conseguenze. Magari non subito, magari tra qualche anno, magari tra molti anni.

E la ricerca della mia "pace" interna, del mio nirvana, allora, mi sa che diviene più complessa del previsto...

mercoledì 8 giugno 2011

My Lai

Ci sono storie che ti rimangono dentro, che riescono a penetrare ogni strato della tua pelle e del tuo cervello. Storie conosciute a volte per caso, a volte sui banchi di scuola, a volte raccontate.
Il massacro di My Lai (My Lai massacre - thảm sát Mỹ Lai), che avvenne il 16 marzo 1968 nella provincia di Quang Ngai, per me, è una di quelle.
Tutto iniziò quando i soldati statunitensi della Compagnia Charlie, della 11a Brigata di Fanteria Leggera, agli ordini del tenente William Calley, decisero di sterminare quasi tutti gli abitanti (circa 500) di My Lai, prevalentemente donne, anziani, moltissimi bambini e neonati. Non solo: torturarono e stuprarono prima di uccidere. I dettagli della vicenda sono riportati su internet, non vi sarà difficile trovarli ed anche le immagini di quel giorno non mancano, scrivete "My Lai" su Google e vedrete quante foto. E' da sottolineare la "bravura" che ebbero gli alti comandi statunitensi nel voler coprire tutta la vicenda e ancor di più, quando ormai il fatto venne fuori grazie anche al giornalista premio Pulitzer Seymour Myron Hersh, quando decisero alla fine di assolvere tutti. Nessuno pagò per quel massacro. In un modo o nell'altro tutti fuorono rilasciati.
Il libro del sudetto giornalista, My Lai Vietnam, mi permetto di consigliarvelo.
La Memoria ve tenuta viva ed è vero, tantissimi sono i massacri e i sopprusi avvenuti nell storia, ed uno fa anche fatica a ricordarseli tutti. Questo però m'è rimasto dentro, come marchiato a fuoco. Per questo lo voglio condividere con voi.
A fine dicembre 2010 è uscito un film di un regista italiano, My Lai Four, molto veritiero. Lo so, lo so, siamo in estate e uno vorrebbe pensare a cose più belle. Ma se ne avete voglia, magari in un giorno di pioggia o temporale, guardatelo.