lunedì 13 dicembre 2010

Qatar 2022 World Cup

Ormai è deciso. I Mondiali di calcio del 2022 si terranno in Qatar قطر .
Qatar, Qatar... e chi l'avrebbe mai detto. Il primo paese arabo a ospitare i Mondiali di calcio.
Ammetto che come è stato fatto questo nome, già m'aspettavo un insorgere di polemiche. Beh, una polemica s'è levata, ma non era quella che m'aspettavo.
Ma facciamo un passo indietro, andiamo a scoprire, per chi non lo sapesse, che cos'è questo misterioso Qatar.
Lo Stato del Qatar è un emirato del Medio Oriente, confinante a sud con l'Arabia Saudita e per il resto circondato dal golfo Persico. La capitale è Doha (circa 370.000 abitanti), la lingua ufficiale è l'arabo, la forma di governo è una monarchia assoluta retta dalla famiglia reale Al Thanicon con a Capo di Stato l'emiro Hamad bin Khalifa Al Thani. Il sistema giudiziario è composto da corti civili e penali; le corti sono amministrate secondo la legge islamica della Shari'ah. Il 90% della popolazione è musulmana sunnita; il cristianesimo è una religione minoritaria. Prima del 1999 era vietata la pratica pubblica di ogni religione all'infuori dell'islam, ma ultimamente si stanno facendo delle progressive aperture, anche se i proseliti di religioni che non siano l'islam sono vietati e puniti. Convertire dall’Islam è considerato apostasia ed è tecnicamente un reato capitale.
Uno dei (tanti) temi caldi di questa nazione è la questione dei "bambini fantini". Per la cultura araba e mediorientale in genere, le corse dei cammelli sono la versione locale delle nostre corse equestri. I fantini sono bambini sfruttati e maltrattati provenienti dai paesi più poveri del mondo come Pakistan, India, Bangladesh. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di un vero e proprio traffico di bambini finalizzato allo sfruttamento. L’utilizzo di bambini nelle corse dei cammelli è estremamente pericoloso e può causare danni fisici serissimi e addirittura la morte. Esistono moltissime prove che mettono in luce i maltrattamenti subiti dai minori, sia da parte dei padroni sia da parte dei trafficanti che, fra le altre cose, li nutrono in modo tale che il cibo sia insufficiente per la crescita. In sostanza ci si ritrova a guardare una gara di corsa di cammelli dove i fantini sono bambini di dieci/dodici anni, ma che ne dimostrano la metà viste le condizioni fisiche in cui versano.
Altra questione riguarda le donne. Riprendendo il rapporto di Amnesty International "Le donne subiscono discriminazioni e violenze. Lavoratrici migranti sono state sfruttate e hanno subito abusi, oltre a essere inadeguatamente tutelate dalla legge. Centinaia di persone hanno continuato a essere arbitrariamente private della loro nazionalità. Sono state comminate pene alla fustigazione. Hanno continuato a essere pronunciate condanne a morte, sebbene non ci siano state esecuzioni." Le donne hanno continuato a incontrare discriminazioni nella legge e nella prassi e sono state inadeguatamente tutelate contro la violenza all'interno della famiglia. Il codice di famiglia rende molto più semplice per gli uomini divorziare rispetto alle donne. Sottointeso, purtroppo, che l'abbigliamento per le donne è strettamente legato alla "legge", che impone solo certi abiti conservatori (e non venite a parlarmi di cultura per favore, perchè nel Corano non si obbliga nessuno a un certo tipo d'abbigliamento!) e ne esclude altri ritenuti non idonei.
Per quanto riguarda gli immigrati, che costituiscono più dell'80 % della popolazione (indiani, nepalesi, filippini, pachistani, bengalesi, indonesiani, cingalesi, iracheni, etiopi, vietnamiti, thailandesi, libanesi, iraniani, giordani, siriani), continuano ad essere esposti ad abusi e sfruttamento da parte dei datori di lavoro, senza adeguata protezione. L'immigrato è lo schiavo del suo capo: senza il permesso del datore di lavoro non si guida l' auto, non ci si licenzia, soprattutto non si esce più dal Paese. Gli stranieri che chiedono un aumento o più diritti, possono d’un tratto sparire nel centro deportazioni di Doha. I nuovi schiavi possono lavorare fino a 21 ore al giorno, con due porzioni di riso come unico cibo, una latrina basta per cento, si dorme fino a sedici uno sull'altro in stanze di nove metri quadri, senza finestre; pochi hanno le scarpe. C'è chi non ce la fa e, nel silenzio, si toglie la vita. Come scrive un blogger su Progress On Line: "Tra i grattacieli, le gru, i cantieri sempre aperti, sotto il peso di un’umidità schiacciante, vi è la triste conferma che la schiavitù non si è mai estinta: ha solo cambiato forma".
Abbiamo poi la libertà d'espressione. Il Qatar si pone al 121° posto nella libertà d'espressione redatta da Reporters Sans Frontieres. Vari cittadini stranieri sono stati condannati negli anni per blasfemia, alcuni dei quali hanno ricevuto pene fino a un massimo di sette anni di reclusione per aver impiegato parole considerate insultanti verso l'Islam. È in itinere il dibattito riguardo a una possibile nuova legge sulla stampa e le pubblicazioni a sostituzione della legge n. 8 del 1979, che prevede il carcere per critiche contro la religione, l'esercito e l'emiro.
Per ultimo, il Qatar mantiene la pena di morte, che si esercita tramite impiccagione e fucilazione; l'ultima esecuzione dovrebbe risalire al 2003, ma varie persone (22 in base al rapporto del 28/05/2008 di Amnesty International) sono detenute nel braccio della morte. Il 18 dicembre 2008 il Qatar ha votato contro la risoluzione per una moratoria delle esecuzioni capitali all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Ora, torniamo a noi.
Dopo tutte le critiche piovute a raffica sulle Olimpiadi di Pechino, possibile che l'unico problema fatto emergere sui Mondiali di calcio in Qatar sia stato quello sul... clima? (?!?!)
Se si vuole essere obiettivi nelle critiche penso non sia una gran cosa sparare solo su quelle nazioni che, per vari motivi, ci fanno comodo. In fondo, nessuna nazione è perfetta, si potrebbe trovare dello sporco ovunque (vi ricordate i Mondiali in Giappone? Sapete della pena di morte in Giappone e dei non-diritti di coloro che risiedono nel braccio della morte? Sapete delle leggi che sfiorano il razzismo di questa nazione?), e se si vuole (giustamente) portare alla luce dei problemi sarebbe bene farlo con tutti.
Eppure, l'unica voce alzatasi per criticare la scelta del Qatar ha parlato del clima eccessivamente caldo...
Va beh, ognuno ha i suoi metri di giudizio... ma a me questa cosa continua a non andare giù...
Si alzerà qualche voce per il 2022?

mercoledì 24 novembre 2010

All 29 miners in New Zealand believed dead after second blast

Si spegne ogni speranza per i minatori neozelandesi: 29 morti bianche. Da venerdì erano bloccati in un pozzo di carbone a causa di un'esplosione. Ieri un secondo boato, secondo la polizia nessuno è rimasto in vita. Perdono così la vita 24 neozelandesi, 2 australiani, 2 scozzesi e un sudafricano: Conrad John Adams, 43, Malcolm Campbell, 25, Glen Peter Cruse, 35, Allan John Dixon, 59, Zen Wodin Drew, 21, Christopher Peter Duggan, 31, Joseph Ray Dunbar, 17, John Leonard Hale, 45, Daniel Thomas Herk, 36, (second row) David Mark Hoggart, 33, Richard Bennett Holling, 41, Andrew David Hurren, 32, Jacobus (Koos) Albertus Jonker, 47, William John Joynson, 49, Riki Steve Keane, 28, Terry David Kitchin, 41, Samuel Peter McKie, 26, Michael Nolan Hanmer Monk, 23, (bottom row) Kane Barry Nieper, 33, Peter O'Neill, 55, Milton John Osborne, 54, Brendan John Palmer, 27, Benjamin David Rockhouse, 21, Peter James Rodger, 40, Blair David Sims, 28, Joshua Adam Ufer, 25 and Keith Thomas Valli, 62.

Explosion would have left no survivors, but rescue teams not to blame says Pike River mine executive.

A huge explosion tore through a coal mine in New Zealand today, extinguishing any hope of survival for 29 miners trapped underground for five days after an earlier blast.
"Unfortunately I have to inform the public of New Zealand at 2.37pm today there was another massive explosion underground and based on that explosion no one would have survived," said police superintendent Gary Knowles, in charge of the rescue operation at the Pike River mine. "We are now going into recovery mode. I had to break the news to the family and they were extremely distraught."
Relatives who had maintained a vigil at the mine in the desperate hope their loved ones were still alive emerged from the meeting crying, with some shouting at police and reporters. Several have been critical of the apparently slow pace of rescue efforts, though rescuers stressed throughout that high levels of toxic and explosive gases within the shafts made it a hugely difficult operation.
The country's prime minister, John Key, said the second blast was "a national tragedy" and that official flags would fly at half mast and parliament adjourn as a mark of respect. "New Zealand has been devastated by the news that we have all been dreading," he told a televised press conference.
Among the presumed dead are two Britons, 40-year-old Peter Rodger, and Malcolm Campbell, 25, both originally from Scotland. The foreign secretary, William Hague, said the government had learned of the deaths "with immense sadness". Also in the mine were two Australian nationals and a South African.
The head of Pike River Coal, which runs the mine in Greymouth, on the north-west coast of New Zealand's South Island, said that it was not known precisely what caused the second blast, but he could be sure rescue teams had not done anything to cause it. "It was a natural eventuation, it could have happened on the second day, it could have happened on the third day," Peter Whittall said.
Nothing had been heard from the 29 men since the initial explosion, from which two of their colleagues escaped, but many relatives had stayed hopeful, in part because of the good safety record of the country's mining industry, with 181 deaths in 114 years before today. They were also buoyed by the rescue last month of 33 men from a Chilean copper mine after 69 days underground.
The local mayor, Tony Kokshoorn, said the families had been cheered at news that robots carrying cameras had entered a narrow shaft drilled into the section of the mine believed to contain the missing men. Police then had to inform them of the second blast. "They were screaming at them. It was absolute despair," said Kokshoorn, himself breaking down. "When the news came everyone just cracked up. People were openly weeping everywhere."
"This has got to be the darkest day for me. For Greymouth, for everywhere. This is the darkest day," he was quoted as saying by the New Zealand Herald. "Things are never going to be the same."
The father of one miner said he was not yet convinced they were all dead. "I'm still hoping there's a miracle left," Laurie Drew told TVNZ. Drew said he believed rescue teams should have gone into the mine on the night of the first blast to look for his son Zen, 21, and the others. "They had their window of opportunity that Friday night, and now the truth can't come out because no one alive will be able to come out and tell the truth about what went on down there," he said. "The only thing that's going to make matters worse is if we find out that people were alive after that first blast."
The next task is to decide how and when to recover the men's bodies from the tunnels dug more than a mile into a mountain, something the mining company promised it would do. "I still want them back," Whittall said. "Their families want them back. We want out boys back. We want them out."
One option is a process known as "gagging", in which the shafts would be flooded with carbon dioxide to extinguish any remaining fires and allow recovery teams to go in.
Earlier today, drillers finished boring a 530ft hole to the mine's main tunnel. Hot air and gas rushed through the hole when the chamber roof was punctured. Whittall said earlier that initial tests showed it was "extremely high in carbon monoxide, very high in methane and fairly low in oxygen".
An army robot had crawled two-thirds of a mile into the tunnel and found a miner's helmet with its fixed light still glowing. Officials said the helmet belonged to Russell Smith one of two miners who managed to escape the initial blast.
New Zealand's worst mining disaster was in 1896, when 65 died in a gas explosion.

mercoledì 10 novembre 2010

Polls open in Jordan, as parliamentary elections get underway

Oggi (9/11/2010) Amman è stranamente silenziosa: i bambini non urlano giocando per strada, il furgone delle bombole del gas non gira per la città suonando il suo motivetto, di automobili in giro se ne vedono ben poche.
Oggi è giorno di festa nazionale, a cinque anni esatti dagli attentati di matrice islamica che portarono alla morte di almeno sessanta persone e al ferimento di altre trecento.
Scuole, uffici pubblici e privati, negozi, tutto chiuso, come non capita nemmeno di venerdì. Oggi si vota.
Dalle 7 di questa mattina, nei 45 distretti elettorali in cui è suddivisa la Giordania, i 2,37 milioni di sudditi hashemiti iscritti alle liste dei votanti sceglieranno i loro nuovi rappresentanti alla camera bassa del parlamento.
Quando il 23 novembre 2009 il re Abdallah II annunciò lo scioglimento del Parlamento, la popolazione accolse la notizia con assoluta noncuranza. Il commento più diffuso, ad ogni livello della scala sociale, era un disilluso adi, è normale.
Oggi, dopo quasi un anno di legislazione straordinaria e di decreti regi, il sentimento più diffuso è esattamente lo stesso.
D'altra parte non è la prima volta che, senza troppe spiegazioni, il re licenzia il Parlamento: era già successo nel 2001, e il sovrano attese due anni prima di indire nuove elezioni. E le cose non sembrano destinate a cambiare dopo le elezioni per le centinaia di tassisti di Amman, per i pastori di capre del governatorato di Kerak, per i beduini del deserto orientale, per i profughi palestinesi della Nakba (la tragedia, come i palestinesi chiamano la nascita d'Israele) o per i rifugiati iracheni dell'ultima guerra. Da giugno il paese è ricoperto da enormi cartelloni a sfondo viola. Fanno l'occhiolino a quel settanta per cento della popolazione sotto i trenta anni d'età, di istruzione medio-alta, che non si interessa alla realtà politica della nazione, che non ha mai nemmeno pensato di andare a votare. La nazione ha bisogno di te, la tua voce/il tuo voto è cruciale. Tende, banchetti e volontari sono comparsi agli angoli delle strade più battute dai giovani giordani, promuovendo la campagna per l'iscrizione alle liste elettorali. E poi sms e messaggi su Facebook per ricordare le procedure di registrazione. I primi dati diffusi dal Ministero degli Interni raccontano di trecento mila nuovi elettori che hanno acquisito diritto di voto, elemento ora segnato anche sulla loro carta di identità, accanto alla voce religione professata.
Gli edifici più alti di Amman ieri sera erano rischiarati dalla scritta luminosa Sharak, che significa partecipa, contribuisci.
Nelle 108 circoscrizioni, ridisegnate a seguito dell'emanazione della nuova legge elettorale del maggio scorso, si presentano oggi 763 candidati di cui 143 donne, che concorrono all'assegnazione dei 120 seggi di deputato, dei quali dodici riservati alle donne, nove alla comunità cristiana e tre alla comunità circassa.
Avverso fin dall'inizio alla nuova legge elettorale è il Fronte di Azione Islamica, emanazione politica in Giordania della Fratellanza Musulmana. In un paese retto da logiche di appartenenza di clan, il Fronte rappresenta l'unica organizzazione partitica di opposizione al governo, anche se fortemente diviso al suo interno tra fazioni estremiste e raggruppamenti più moderati. Contrario al ridisegno dei distretti elettorali, che ancora una volta sovra rappresenterebbero zone del paese più favorevoli alla corona, e al sistema di una testa = un voto che vincola gli elettori alla scelta di solo candidato e non di una compagine partitica, il partito islamico questa volta non si presenta alla tornata elettorale, cosa che, ci si aspetta, inciderà non poco sulla partecipazione al voto soprattutto dell'elettorato più religioso.
In un paese declassato da Freedom House, nel giro di un anno, da parzialmente libero a non libero, dove ogni critica al re, alla sua famiglia, al governo o al parlamento è punibile con l'arresto e dove ancora esistono tribunali speciali e prigionieri politici, è facile che un sit-in non autorizzato dalle forze dell'ordine davanti al governo porti a dieci fermi, è facile comprare e vendere voti, scambiarli, fare pressioni su candidati scomodi perché si ritirino dalla corsa (sono ventiquattro le persone fino ad ora indagate per pratiche scorrette durante la campagna elettorale), è facile far scivolare un articolo di commento alla situazione attuale, economica e politica, del Paese dalla prima pagina alle pagine interne poco prima di andare in stampa, perché non sta bene.
Tratto da: Peace Reporter

lunedì 18 ottobre 2010

Living in the shadows

Vivere nell'ombra.
Detto così, potrebbe benissimo essere il titolo di qualche romanzo o di qualche film, o magari il titolo d'una poesia. Ma qui non c'è nulla di poetico, nulla di emozionante, nulla di avvincente. Qui c'è un dramma che porta un nome specifico: Xeroderma pigmentosum, o meglio conosciuto come Xp. Qui c'è dolore, quel dolore che queste due parole portano con sè.
Quando inizio la mia ricerca già le prime cose che trovo non mi fanno presagire "speranza". "Malattia rara". Male, molto male. Lo Xeroderma pigmentoso è una condizione rara tramandata ereditariamente in cui la cute e il tessuto che copre l’occhio sono estremamente sensibili alla parte ultravioletta della luce solare. La luce ultravioletta, come quella che si trova nella luce del sole, danneggia il materiale genetico (DNA) nelle cellule della pelle. Normalmente il corpo ripara i danni causati, ma nelle persone con lo Xeroderma pigmentoso, l’organismo non risolve il danno. Come risultato, la pelle diventa molto sottile e appaiono macchie di colore variabile. La condizione causa anche problemi ai vasi sanguigni nella pelle (telangiectasia) e cancro della pelle. Il cancro si verifica prima che il bambino compia 5 anni. Le persone con queste condizioni richiedono una protezione totale dai raggi solari. Lo Xp può essere letale.
E' sfogliando il Corriere della Sera che mi sono imbattuta in questa malattia, ma più ancora mi sono imbattutta nella storia di Roberto M., 25 anni, affetto da questa patologia e da tutti i danni psicologici che essa porta con sè. Leggo attonita l'articolo, fino alla fine "Ci sono giorni che Roberto maledice d'esser nato, maledice i genitori che l'hanno messo al mondo, maledice e basta: «Vivo nel buio in casa o fuori con passamontagna, sciarpe e berretti anche d'estate... Mai un amore, mai». Otto volte ha provato a uccidersi".
Roberto ha anche tentato di reagire: è andato a scuola seppur con tutte le (costose) precauzioni, ha un diploma di perito informatico... Però immagino che crescendo le cose inizino a cambiare. Non è una famiglia agiata la sua, le cose "semplici" che potrebbero aiutarlo a condurre il più normalmente possibile la sua vita costano, tanto. Sua madre, per esempio, dice che a suo figlio servirebbero un paio di occhiali. Un tipo particolare, li hanno finiti, li usa chi vive nel buio: sono gli occhiali dei minatori. Costano, non possono permetterseli.
Ho letto tante volte questo articolo, ho cercato di immaginarmi Roberto e quelli nelle sue condizioni, i tanti "Roberto" sparsi per l'Italia. Basterebbe poco in fondo se ci pensate. Una persona agiata (e qui in Italia non mancano) che gli fa un "regalo", vitale per l'uno, certo non costoso per l'altro. Vorrei parlare con Roberto, vorrei che sentisse la mia vicinanza. Inutile forse, ma magari anche solo avere un'amica, un qualcuno con cui parlare, scambiare quattro chiacchiere ogni tanto, magari serve...un pò... Vorrei dirgli che so come ci sente ad essere "menomati" e come questo squarci l'anima e la mente, portandonci sul bordo della follia e della disperazione. Vorrei dirgli che capisco che per ognuno di noi il proprio dolore è unico.
Vorrei fare qualcosa. Ma non posso.
Sento l'impotenza come un fardello.
E forse per questo butto nella rete di internet questo post...perchè a volte le bottiglie con i messaggi, arrivano.
Sentiti libero, tu che leggi queste parole, sia che tu sia "sano" sia che tu soffra di questa patologia o magari di un'altra, di scrivere tutto ciò che vuoi.
Intanto, Roberto, ti dedico questa canzone.

domenica 3 ottobre 2010

Happy 101 ... wow!

Carissime amiche e amici di blog, viaggiatori passeggeri della rete, rieccomi!
Dear friends of the blog, travellers network, I'm back!
Lo so, lo so, sto latitando mica male e me ne dispiaccio molto, ma la vita mi si sta rendendo alquanto "movimentata" in questo periodo, nel bene e nel male, e quindi non riesco a passare a trovarvi (anche se vi leggo!) e lasciarvi un messaggio o a postare con frequenza nuovi post.
Ma grazie a Maraptica...eccomi qua! Ricevo con onore (e commozione!!!) il suo premio, ovvero l'Happy 101 - due ore di autopsicoanalisi per snocciolare le 10 cose che più mi piacciono.
Oh oh...non c'è cosa più bella :)
1) Viaggiare
2) Scrivere
3) Leggere
4) Fotografare
5) La pasta
6) La pizza
7) Programmare una conquista dell'Italia (beh, dire "del mondo" sarebbe stato alquanto scontato...)
8) Spupazzare il mio lupetto (alias, il mio cane:)
9) Giocare a basket
10) Arrampicarmi a mani nude su pareti rocciose altissime (no, non lo so fare, ma mi piacerebbe!)
Ora, il premio mi invita a nominare a mia volta altri dieci blog, che a loro volta dovranno premiare altri dieci blog... mmm...la cosa si complica...va beh...datemi un pò di tempo, fatemi riprendere la mano sul blog e, se non mi dimentico :P , nominerò qualcuno!!!
A presto hermanos!

mercoledì 14 luglio 2010

Dedica di un'amica

Voglio condividere con tutti voi un pensiero di Nelson Mandela, dedicatomi da una carissima amica, una big sister direi, che nonostante la distanza tanto sta facendo per me in questa difficile strada che sto percorrendo. Trovo che sia splendido (e azzeccatissimo per me).
Posso, vero Manu? ;)

"La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.
E' la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: " Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? "
In realtà chi sei tu per NON esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c'è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri."

mercoledì 23 giugno 2010

Balenando in burrasca ...

GABBIANI

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

(V.Cardarelli)

mercoledì 26 maggio 2010

E se la vita ti uccidesse?

Memento mori.
Ricordati che morirai.
Così dicevano i latini.
Se c’è una cosa certa in questa vita, è che prima o poi finisce. I motivi possono essere tanti e fra questi ce n’è uno che mi ha da sempre colpita. E che sta aumentando qui in Italia. Moltissimi gli studi, le analisi, ma il riusultato non cambia mai.
Sui caedere.
Ovvero quando la vita, per vari motivi, diventa un macigno insostenibile, quando il male di vivere s’impossessa di ogni parte del nostro corpo e della nostra mente. E così sui caedere, uccidiamo noi stessi. Ci suicidiamo.
Vai a scuola ogni giorno, e ogni giorno subisci le angherie di quei teppisti. Non riesci a reagire, non è da te mettere le mani addosso alla gente, e così la scuola diventa un incubo. Nessuno sembra vedere, tutti sembrano voltare la testa dall’altra parte. Non sei uno che parla tanto, i tuoi genitori non lo sanno e poi sono sempre indaffarati. Non hai amici con cui sfogarti. Ti convinci che sei un perdente. E ti convinci che tanto vale farla finita.
Avevi tutto ciò che desideravi: i figli, una moglie, una casa che pian piano stavi comprando, un impiego stabile. Poi nel mezzo della tua vita piomba quel licenziamento inaspettato. I conti in casa non tornano più, non ce la fai a finire di pagare il mutuo, le bollette ti stanno addosso, reclamano i loro soldi, la sera litighi in continuazione con te stesso, non puoi portare la tua famiglia al mare. Ti senti un fallito. Ti vergogni davanti ai tuoi figli… Loro che dovrebbero vederti come un esempio. Se tu non ci fossi più tutti i problemi sparirebbero, pensi. E sparire per sempre è così facile…
Il lavoro è precario, non riesci a raggiungere gli obiettivi che ti sei fissato. Però sei giovane, ti dicono, hai tutta la vita davanti. Ma tu non riesci a vederla. Hai dei bravi genitori, degli amici con cui passare le serate, ridi e scherzi con quella maschera che ti sei messo davanti. Ma dentro stai marcendo e neanche tu capisci il perché. Sei stanco, fai pensieri bui che rimangono blindati nella tua testa, ti senti inutile. Un’ultima serata con gli amici, un arrivederci, neanche la forza per scrivere due righe. Senti solo una stanchezza insopportabile. Guardi il ponte davanti a te e sai già cosa fare.
Potrei continuare all’infinito amici, questi viaggi hanno tante di quelle strade da non poterle catalogare… Tante, troppe le storie che parlano di dolori interni strazianti che portano tutti ad una stessa conclusione. Ultimamente, guardando qua e là, ne sto vedendo sempre di più.
Un tempo non li capivo. Pensavo ai malati terminali, a chi muore di fame nel mondo, a chi è stato ammazzato, al mio amico Mat inchiodato per sempre su quella sedia a rotelle con una malattia catalogata come “rarissima”, e trovavo sbagliato sui caedere.
Finchè ci sono passata. Finchè ho percorso intensamente quel viaggio nel sui caedere. Una vita traballante, una salute non ottimale, vari colpi alle gambe, e uno dei pochi punti fissi che un bel giorno mi dice bye bye; il colpo di grazia. Scoprire che non è vero che "tocchi il fondo". Il fondo non c'è. Puoi andare sempre più giù, all'infinito. Non so dire se ne sono uscita. Però ora sono più comprensiva nei loro confronti. Ora, forse, capisco.
Che altro dire amici? …
Mi permetto un consiglio, forse banale, forse stupido, ma ascoltatelo per favore: non fermatevi all’apparenza delle persone che conoscete, cercate di comprendere come realmente stanno. Delle vostre parole, dei vostri semplici gesti, potrebbero salvare una vita. E non penso sia poco.

martedì 18 maggio 2010

Ripartiamo con un miracolo

Care amiche e amici di blog,
è giunta l'ora di riprendere in mano la tastiera e ricominciare a scrivere. Non che le cose nella mia vita si siano sistemate, ma la voglia di raccontare è più forte. Così, non con poca fatica, mi sto rialzando e ritorno tra voi. Via avviso che per vari motivi non riuscirò ad essere molto costante nè con i miei post nè a commentarvi, ma farò del mio meglio.
Voglio ripartire con una storia vera, la storia di un amico accaduta circa due settimane fa.
Se avete un pò di tempo, ascoltatela.
Salvatore oggi ha una famiglia, è un padre felicemente sposato, con una casa che non è una reggia, ma è pur sempre di sua proprietà. La sua storia assomiglia a quella di tanti che come lui un giorno fecero le valige e dal Sud vennero al Nord in cerca di lavoro. Lui lo fece quando aveva 14 anni. Preparò la valigia, lasciò la sua Napoli dai mille volti, salutò i genitori, i fratelli, gli amici, e partì con quel treno che sapeva di nostalgia e povertà. Era ancora quella l'epoca dei cartelli "Non si affitta ai terroni". Non fu facile, ma Salvatore aveva voglia di fare, e non si arrese alle innumerevoli difficoltà che gli si pararono davanti. Non voleva la via più facile, troppe persone aveva visto a Napoli cadere nelle mani della mafia. Lui voleva un futuro diverso. Così, anno dopo anno, è riuscito a diventare muratore e a prendere anche varie specializzazioni.
Ma nel lavoro, si sa, gli incidenti sono dietro l'angolo, una lista infinita che grida nel silenzio dei media. Gli andò bene qualche anno fa: cadde da un'impalcatura, si fratturò varie ossa, ma si rimise in piedi.
Poi arrivò un giorno preciso di un mese preciso; due settimane fa, come vi dicevo.
Salvatore è in un grosso tubo, dall'alto gli calano cerchi di cemento da allineare e saldare. Tutto va normalmente. Poi dall'alto sente delle urla concitate. E' questione d'un secondo. Una valanga di terra lo sommerge. E' la morte, pensa, oggi è arrivata la fine. Riapre gli occhi. Non chiedetemi come, ma una sorta di bolla d'aria s'è creata intorno alla sua testa. A fatica, ma Salvatore, sotto quella terra, respira. I minuti diventano ore. Pensi che è questione di attimi, che morirai, eppure vorresti con tutte le tue forze vivere. Con uno sforso immane, con la mano e il polso fratturati, Salvatore alza un braccio nella terra: pensa, spera, che almeno così potranno trovarlo prima.
I suoi colleghi sono ai margini del grande tubo, e dall'alto lo chiamano a gran voce, ma si vede solo terra. C'è chi ha avvisato i soccorsi, chi pensa a come fare per tirarlo fuori di lì. Perchè non è semplice: della terra è in bilico e a saltare dentro si rischia di essere sommersi in qualunque momento. Ma in una manciata di minuti due colleghi fanno la loro scelta. Senza indugiare, saltano dentro e a mani nude inziano a scavare. Trovano la mano, ok, quello è il punto. A braccia, tirano fuori Salvatore. E' ammaccato, sotto choc, ma vivo.
Due angeli rumeni hanno salvato il mio amico.

martedì 4 maggio 2010

4 Maggio 1944

Ho pensato fosse doveroso rompere un attimo il mio silenzio per ricordare cosa accadde in Italia il 4 Maggio 1944: eccidio di Monte Sant'Angelo (AN), 63 italiani uccisi dai nazi-fascisti. Ricordiamo Palmira Mazzarini, che aveva solo 6 anni.
4 May 1944: slaughter Monte Sant'Angelo (AN), 63 Italians killed by the Nazi-Fascists.
Remember Palmira Mazzarini, 6 years.

sabato 24 aprile 2010

Care amiche e cari amici di Blog ...

Care amiche e cari amici di Blog,

v'informo che per un periodo che ad oggi non so ancora definire, non riuscirò nè ad aggiornare nè a commentare i vostri post.
Non sto passando un bel momento della mia vita e questo mi impedisce di essere una blogger a tutti gli effetti.
Vi chiedo scusa.
Intanto auguro a tutte/i voi un buon 25 Aprile e un buon 1 Maggio.

Con affetto

Aly

sabato 17 aprile 2010

I SUPPORT EMERGENCY

Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.
Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.
On Saturday, April 10, soldiers of the Afghan army and the International Coalition Forces attacked the Emergency Surgical Centre of Lashkar-gah and arrested members of the national and international staff. Three of them are Italian citizens: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.
EMERGENCY is an independent and neutral organisation. Since 1999, EMERGENCY in Afghanistan has provided medical assistance free-of-charge to over 2,500,000 Afghan citizens, by establishing three surgical hospitals, a maternity centre and a network of 28 first aid posts.

giovedì 8 aprile 2010

Dear Rashid...

Dear Rashid,
thank you very much for your letter sent to me, I was really glad to hear you. But, sorry, I should stop your desire to come and find me.
No, not come Rashid, you do not come to Italy.
Italy has become an inhospitable country, and with her many Italians.
... ... ... ...
Caro Rashid,
ti ringrazio molto per la lettera speditami, mi ha fatto veramente piacere sentirti. Però mi spiace dover bloccare la tua gioiosa volontà di venirmi a trovare.
No, non venire Rashid, non venire in Italia.
L’Italia è diventata un paese inospitale, e con lei molti italiani.
Guarderebbero subito la tua pelle, vedrebbero che è scura, e ti darebbero certe occhiatacce, farfuglierebbero commenti razzisti, ti insulterebbero, magari ti metterebbero anche le mani addosso. Questo solitamente nell’indifferenza dei passanti. Se poi sentissero il tuo nome penserebbero “Ecco! L’ennesimo immigrato clandestino musulmano!”. E poco importa se tu sei protestante, loro penserebbero così. Lo so, Rashid, a cosa stai pensando. Tu hai passaporto statunitense, tu non sei clandestino. I tuoi nonni si trasferirono dalla Nigeria negli USA e tu nascesti lì. Tu non sei povero, non hai bisogno d’entrare illegalmente da nessuna parte. Ma loro non capiscono, loro non vogliono capire. Potresti parlar loro per ore, e ridirebbero le stesse frasi, magari dandoti del bugiardo. Ti sentiresti offeso e deluso amico mio. Tu, tu che sei laureato col massimo dei voti, tu che parli cinque lingue, tu che lavori addirittura alla NASA. Ma a loro non fregherebbe nulla. La loro ignoranza la sfoggiano come un premio. E sai che pena a vederli… Loro che fino a qualche tempo fa scappavano da questa Italia con le pezze al culo e le valige tenute insieme dallo spago, loro che lavoravano come muli senza diritti, che si ubriacavano al primo bar per non pensare al domani. Ma loro hanno dimenticato Rashid. Oggi si vantano di poche cose materiali che posseggono e scaricano ogni problema sugli immigrati. O su chi ritengono “diverso” da loro. Hanno una capicità di ragionamento pari a zero, devi fare discorsi semplici semplici e basilari con loro, se no non capiscono. Però pensano di saperla lunga.
Potresti umiliari con poche parole. Ma a che ti gioverebbe amico? Non capirebbero lo stesso.
Scusami Rashid, lo faccio per te, e forse un po’ anche per me, perché non voglio che tu veda con chi sono costretta a coabitare.
Un giorno forse verranno tempi migliori.
Per ora però visita altri luoghi, altre nazioni. Da altre parti non è molto diverso che da qui, ma preferisco che tu non venga. Ci vedremo da un’altra parte Rashid. Ma non qui.
Non venire qui in Italia.

lunedì 15 marzo 2010

Quanto mi manchi Gramsci?

Vogliate scusarmi se questo post sarà diverso dagli altri.
In questo post vi porterò a fare un viaggio. Sì, un viaggio nella mia incazzatura personale. E magari non ve ne può fregare nulla. Ma chissà se qualcuno di voi s’è mai sentito come mi sento io in questi giorni.
Voglio iniziare con una frase di Gramsci: “Odio gli indifferenti. (…) Mi da noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto.”
Mi sono sempre messa in gioco, ho sempre preso le mie responsabilità, e ho anche pagato sulla mia pelle per questo. Ho avuto una vita non parassitaria, non abulica, ho sempre pensato che fare scelte era non giusto ma doveroso per una buona persona, per un buon cittadino. Ho lottato non per il mio piccolo giardino ma per la foresta di tutti. E l’ho sempre fatto senza sbandierare nulla, senza proclami, semplicemente perché mi sembrava la cosa giusta da fare. Certo, ho visto quelli che stavano alla finestra senza muovere un dito, e che muovevano il dito solo per evidenziare un tuo errore, ho visto quelli che cavalcavano la moda del momento per farsi fasulli paladini della giustizia, sulla strada che noi avevamo già spianato. Ma ho tenuto la calma, ho cercato di non farci caso. Ma qualcosa stava iniziando a incrinarsi. E allora ho afferrato un martello e con un colpo secco ho spaccato qualcosa dentro di me; così la rabbia è uscita e qui, con voi, la condivido. Mai furono più vere le parole di Gramsci che scrisse quell’11 Febbraio del 1917! Ci siamo (perché ovviamente non sono l’unica) sbattuti per una società migliore, per un mondo migliore, nel nostro piccolo, nel grande, nelle possibilità che ognuno di noi aveva; certo che abbiamo anche sbagliato! E chi lo nega? Ma solo chi si rimbocca le maniche sbaglia. Vi odiamo, dal profondo, voi che vivete immersi nella superficialità, nel menefreghismo, nel vostro stramaledetto egoismo, che non vi fa vedere al di là del vostro naso. Tanto carini e dolci con voi stessi e magari con le persone più care, ma totalmente indifferenti della società che vi circonda. Ignoranti in modo abissale nel non capire che il vostro misero benessere non è un regalo, ma una conquista fatta di sudore e sangue. Eppure sempre pronti a lamentarvi, sempre, sempre, con finto animo puro e angelico, puntando sempre il dito per un “tua culpa”, e non alzando mai un dito per fare qualcosa. E poi voi, voi! Arrivisti dell’ultimo momento, pronti ad issare la bandiera quando quel diritto noi ve lo abbiamo potuto dare dopo lotte e battaglie. I cadaveri per terra sono nostri, non vostri. Voi eravate persi in qualche salotto buono a bere il thè, a seguire l’ultima telenovela…ad armare il nemico… Poi d’un tratto vi siete svegliati e vi siete sentiti eroi e paladini, e via ad arruolare ingenui che si sono fatti abbagliare dalle vostre vuote parole. Voi, che vi siete lasciati così abbagliare…come avete potuto? Va bene che forse eravate arrabbiati, disillusi, ma farvi prendere così in giro…che delusione, che brutto spettacolo di voi state dando in questo squarcio d’epoca. E, mi spiace, io non mi sento vicina a voi, anche se la logica potrebbe dire di sì, come diceva Gramsci “E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.”
Vivo, sono partigiana. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

martedì 2 marzo 2010

Terremoto Chile

Seguimos a cavar a través de los escombros en Concepción, donde un toque de queda ha sido declarado en contra de la depredación.
Gobierno: "Las víctimas aumentará". Llamado a la ayuda internacional de la ONU.

Chile, de setecientos muertos y dos millones de desplazados. Declaró el estado de desastres excepcionales.

Aumentan despliegue militar en Chile ante saqueos tras sismo.

Los masivos saqueos en bodegas, centros comerciales y urbanizaciones continúan este lunes ante la inminente desesperación de los ciudadanos por el desabastecimiento de alimentos y agua potable.

A 6 mil 500 aumentó este lunes el número de militares que se desplegarán en las regiones del sur de Chile con el fin de frenar los saqueos producidos por la falta de ayuda hacia los miles de damnificados que dejó el terremoto de magnitud 8,8 que azotó a la nación el sábado.
La operación se une al decreto que amplía hasta dieciséis horas el toque de queda para la noche en la provincia de Concepción (centro). Desde las 20H00 locales (23H00 GMT) hasta las 12H00 (15H00 GMT). En esa zona se produjo un incendio provocado de uno de los más grandes almacenes y de un supermercado, lo que provocó el derrumbe de ambas edificaciones.
El despliegue militar consta de 13 aviones, 24 helicópteros y un número indeterminado de hospitales de campaña.
Bachelet adelantó que el ministro de Defensa, Francisco Vidal, viajará en los próximos días a la zona.
Los masivos saqueos en bodegas, centros comerciales y urbanizaciones continúan este lunes ante la inminente desesperación de los ciudadanos por el desabastecimiento de alimentos y agua potable.
El corresponsal de teleSUR en Chile, Alejandro Kirk reportó que las personas han saqueado unas bodegas que quedaron sumergidas tras el tsunami que se produjo en Concepción luego del terremoto de este sábado. "Vimos gente sumergidas nadando con alimentos", dijo.
Asimismo, señaló que existe una falta de presencia militar y de la Policía de Los Carabineros lo que podría generar una posible falta de control.
Por otro lado, Kirk indicó que el problema sanitario ha comenzado a hacerse presente en Concepción por la falta de agua.
Unas dos millones de personas han quedado damnificadas como consecuencia del desastre natural, por lo que la mandataria chilena, Michelle Bachelet, anunció un plan de ayuda para los afectados. Igualmente, declaró zona en estado de catástrofe a las dos regiones antes mencionadas.
Unas 1,5 millones de viviendas resultaron dañadas y medio millón de ellas quedaron en estado inservible.
El sismo de 8,8 de magnitud que azotó territorio chileno el sábado ha dejado hasta este lunes en la noche, según cifras oficiales, 795 muertos.
Extracto: TeleSUR

mercoledì 17 febbraio 2010

Pandillas

Visto quello che è successo in questi giorni a Milano, in Via Padova, ma che in verità accade in quasi tutta la periferia di Milano (per essere precisi da quella parte tra viale Monza e via Padova, delimitata da piazzale Loreto da una parte, e dai ponti ferroviari, dall’altra) e non solo Milano ma anche in altre città italiane e straniere, riporto un post che scrissi tempo fa. Non analizzavo tutta l'immigrazione in Italia, ma mi ero concentrata sui giovani sud americani che formano le pandillas. L'abbandono delle periferie, la non integrazione dovuta anche ai tagli terribili abbattutisi sulla scuola pubblica, l'assenza di spazi sociali e culturali che, anzi, finiscono nel mirino del Comune, il totale non-investimento in queste realtà... dove poi diventa facile abbandonarsi alla delinquenza, e dove giovani vite vengono segnate per sempre... come in quelle canzoni di Tupac e di Eminem... forse la 8 Mile e il Bronx non sono poi così distanti...

Gruppi che si muovono silenziosi e rumorosi al contempo, nelle periferie, lontani dai centri più “in” di Milano. Sono in banda, sono tanti, sono giovani e giovanissimi. I giornali ne parlano poco, ancor meno le tv. Eppure chi abita dove loro si ritrovano, dove loro agiscono, sanno bene che non sono fantasmi né leggende metropolitane, ma sono una costante assai presente. Lorenteggio, Giambellino, Crescensago, Stazione Lambrate, Stazione Centrale: sono solo alcuni dei luoghi da loro più frequentati. I nomi delle loro bande evocano film, evocano una realtà che è ben presente in centro e sud america ed anche negli States. Ma oggi sono anche qui, in Italia, specialmente a Milano, Genova e Roma, a fare banda, a scatenare guerriglia quando ne sentono il bisogno, quando l’onore viene offuscato e deriso. Perché così si comporta una banda, perché così fanno in ogni parte del mondo ove sono presenti, perché questo è il codice da seguire. I nomi che rieccheggiano nelle periferie metropolitane di Milano, nella notte, sono famosi: Latin Kings, Comando, Chicago, Maras 18, Mara Salvatrucha 13, Soldao Latinos, Vatos Locos, Neta e i nuovi entrati Trinitaria e New York. Le origini affondano radici in Ecuador, in El Salvador, in Perù, in Uruguay, a Portorico, nelle comunità centro e sud americane presenti negli USA. Oggi sono qui anche da noi e di solito non fanno molto notizia, sia perché operano nelle periferie più ghettizzate sia perché gli scontri, i pestaggi, le botte, avvengono quasi sempre fra di loro, senza coinvolgere gente comune. Certo, poi ci sono gli “errori”, come qualche mese fa, quando il gruppo MS 13 scambiò un normalissimo ragazzo sud americano per un appartenente alla Maras 18, e lo pestarono ferocemente fino a causargli la perdita di un occhio…
Ma chi sono i componenti di queste pandillas? Molti sono i sud americani, la maggioranza nati in Italia, seguiti da italiani e africani. Praticano forme di racket, atti vandalici, pestaggi, furti e rapine. Hanno una chiara gerarchia al loro interno, hanno un’identità comune, sfoggiano loro codici, loro colori nel vestiario, loro tatuaggi, marcano un territorio. Girando sulle metro di Milano non si possono non vedere. Musica rap, casse di birra su casse di birra, bombolette spry, vestiti hip-hop, bandane con i colori d’appartenenza. Si formano nei quartieri dormitorio, nelle periferie più buie, a scuola, provengono quasi tutti da situazioni di degrado, da famiglie problematiche, da quartieri difficili, da solitudini profonde. Emergono così facendo gruppo, facendo spalla contro spalla, si sentono realizzati, si sentono riconosciuti, si sentono forti all’interno della banda, non di rado sentono nella pandillas quella famiglia che non hanno mai avuto o che hanno avuto sfasciata. Ma c'è di più: questi giovani, sulla scia del linguaggio universale che propone la loro musica, il reaggeton, diffondono e credono in valori come giustizia, fratellanza, pace e amicizia. Combattono il razzismo che essi stessi subiscono.
Gruppi di certo complessi, oscillanti fra legalità e illegalità, giustizia e criminalità.
Andate, andate a fare un giro a Milano, in quella Milano che non è boutique firmate, che non è arte, che non è turismo. Venite tra i palazzoni di cemento gli uni vicino agli altri, venite all’ultima fermata della metro e del bus, venite nei quartieri duri lasciati al loro degrado. Lì troverete tutte queste pandillas, quiete nel loro caos giornaliero. E sperate solo che un giorno non decidano di dichiarare guerriglia verso il centro, verso il vostro quartire per bene, perché la battaglia sarebbe cruenta.

domenica 31 gennaio 2010

Boicotta! Boycott! 抵制!

Vivere consapevolmente. Vivere rispettando la natura e i suoi ritmi. Vivere rispettando il prossimo. Vivere cercando di fare qualcosa di buono.
Pochi principi basilari, che cerco di seguire.
Semplici, si direbbe, eppure difficili e complessi come non mai.
Vi faccio un esempio.
Immagino che ognuno di noi abbia dei soldi depositati in banca. Già… la banca. La maggioranza delle nostre banche sono per così dire “armate” ovvero investono nell’industria armiera. Con tutto ciò che ne consegue e che potete ben immaginare. La Banca nazionale del Lavoro, del gruppo Paribas, 3 anni fa ha supportato le aziende armiere per 62 milioni e spiccioli di euro. Nel 2009 per un miliardo e 253 milioni. Nel lungo elenco compare anche il Gruppo Intesa San Paolo (detiene ancora il 7,16 del mercato), nonostante le mille promesse di abbandonare il campo; anche il gruppo Unicredit, seppur con cifre (119 milioni) nettamente inferiori rispetto al 2007 (404 milioni di euro) compare nella top ten. Un bel balzo in avanti lo fa, invece, Ubi Banca, con i suoi satelliti finanziari piazzati geograficamente nel cuore del comparto armiero italiano: 209 milioni di euro e quasi un 6% del mercato complessivo (dato assai eloquente, visto che nel 2007 aveva lo 0,27%). Ed è meglio che mi fermo qua, perché molti dei miei principi basilari sono già andati ad escort.
Volete un altro esempio?
Apro il mio frigo: c’è dentro del cibo e delle bevande. Apro l’armadio di camera mia: ci sono dei vestiti.
Il colosso Coca Cola sfrutta la mano d’opera sud americana. Sulla Nestlè potrei parlarvi per ore: frodi e illeciti finanziari, abusi di potere, appoggio e sostegno di regimi dittatoriali, utilizzo di organismi geneticamente modificati nella pasta (Buitoni), nei latticini, nei dolci e nelle merendine; intere aree di foresta vengono distrutte per far posto alle sue piantagioni di cacao e di caffè, dove si utilizzano pesticidi molto pericolosi. E sulla stessa scia si pongono Nike, Adidas, Mattel, Chicco, Benetton, Reebok, Levis, Mondo… potrei andare avanti. Fatemi sottolineare però la Chiquita, che tratta i suoi operai peggio degli schiavi, tenendoli rinchiusi in veri e propri lager del lavoro, malmenati o peggio se protestano, con stipendi miserevoli, gettando loro addosso il diserbante dagli aereoplani .
Come vedete, potrei sembrarvi incoerente. Predico un “mondo migliore” e poi cado nel tranello di dare fiducia a chi di un mondo migliore non gliene può fregare di meno e pensa al solo dio in cui crede: il Denaro.
So benissimo che rivoluzionare completamente il mio modo di vivere risulterebbe per certi aspetti quasi improbabile e sotto altri costoso. E qui io non è che sguazzo nell’oro: se la pasta Barilla (bella marca sporca di sangue) costa meno di quella equo solidale, compro la prima, ben consapevole di cosa sto facendo, ma altrettanto consapevole di quali sono le mie capacità finanziarie.
Penso che la rivoluzione dei consumi possa però pian piano avvenire. Piccoli passi, che se fatti insieme, fanno un grande passo. Pensiamo, non so, a Natale: un bel cesto fatto con prodotti di Altromercato magari sì ci farà sentire tutti veramente più buoni. O prendere contatto con Altroconsumo non potrà che farci bene, in quanto è un'associazione di consumatori che ha un unico obiettivo: l'informazione e la tutela dei consumatori. Valutare le offerte di Banca Etica non costa nulla.
Nel mio piccolo, io sto boicottando il marchio Coca Cola da molti anni così come altri marchi…
Piccoli gesti, niente di ecclatante, perché so bene che la maggioranza di voi non sono “aristocratici” che possono sì cambiare completamente il proprio modo di vita. Piccoli gesti che possono far capire a chi sta in alto che noi siamo esseri pensanti, che abbiamo uno spirito critico e non siamo nelle loro mani; loro non sceglieranno mai per noi, noi siamo consapevoli.
Mostriamogli il nostro cervello: varrà come una rivoluzione.