mercoledì 26 maggio 2010

E se la vita ti uccidesse?

Memento mori.
Ricordati che morirai.
Così dicevano i latini.
Se c’è una cosa certa in questa vita, è che prima o poi finisce. I motivi possono essere tanti e fra questi ce n’è uno che mi ha da sempre colpita. E che sta aumentando qui in Italia. Moltissimi gli studi, le analisi, ma il riusultato non cambia mai.
Sui caedere.
Ovvero quando la vita, per vari motivi, diventa un macigno insostenibile, quando il male di vivere s’impossessa di ogni parte del nostro corpo e della nostra mente. E così sui caedere, uccidiamo noi stessi. Ci suicidiamo.
Vai a scuola ogni giorno, e ogni giorno subisci le angherie di quei teppisti. Non riesci a reagire, non è da te mettere le mani addosso alla gente, e così la scuola diventa un incubo. Nessuno sembra vedere, tutti sembrano voltare la testa dall’altra parte. Non sei uno che parla tanto, i tuoi genitori non lo sanno e poi sono sempre indaffarati. Non hai amici con cui sfogarti. Ti convinci che sei un perdente. E ti convinci che tanto vale farla finita.
Avevi tutto ciò che desideravi: i figli, una moglie, una casa che pian piano stavi comprando, un impiego stabile. Poi nel mezzo della tua vita piomba quel licenziamento inaspettato. I conti in casa non tornano più, non ce la fai a finire di pagare il mutuo, le bollette ti stanno addosso, reclamano i loro soldi, la sera litighi in continuazione con te stesso, non puoi portare la tua famiglia al mare. Ti senti un fallito. Ti vergogni davanti ai tuoi figli… Loro che dovrebbero vederti come un esempio. Se tu non ci fossi più tutti i problemi sparirebbero, pensi. E sparire per sempre è così facile…
Il lavoro è precario, non riesci a raggiungere gli obiettivi che ti sei fissato. Però sei giovane, ti dicono, hai tutta la vita davanti. Ma tu non riesci a vederla. Hai dei bravi genitori, degli amici con cui passare le serate, ridi e scherzi con quella maschera che ti sei messo davanti. Ma dentro stai marcendo e neanche tu capisci il perché. Sei stanco, fai pensieri bui che rimangono blindati nella tua testa, ti senti inutile. Un’ultima serata con gli amici, un arrivederci, neanche la forza per scrivere due righe. Senti solo una stanchezza insopportabile. Guardi il ponte davanti a te e sai già cosa fare.
Potrei continuare all’infinito amici, questi viaggi hanno tante di quelle strade da non poterle catalogare… Tante, troppe le storie che parlano di dolori interni strazianti che portano tutti ad una stessa conclusione. Ultimamente, guardando qua e là, ne sto vedendo sempre di più.
Un tempo non li capivo. Pensavo ai malati terminali, a chi muore di fame nel mondo, a chi è stato ammazzato, al mio amico Mat inchiodato per sempre su quella sedia a rotelle con una malattia catalogata come “rarissima”, e trovavo sbagliato sui caedere.
Finchè ci sono passata. Finchè ho percorso intensamente quel viaggio nel sui caedere. Una vita traballante, una salute non ottimale, vari colpi alle gambe, e uno dei pochi punti fissi che un bel giorno mi dice bye bye; il colpo di grazia. Scoprire che non è vero che "tocchi il fondo". Il fondo non c'è. Puoi andare sempre più giù, all'infinito. Non so dire se ne sono uscita. Però ora sono più comprensiva nei loro confronti. Ora, forse, capisco.
Che altro dire amici? …
Mi permetto un consiglio, forse banale, forse stupido, ma ascoltatelo per favore: non fermatevi all’apparenza delle persone che conoscete, cercate di comprendere come realmente stanno. Delle vostre parole, dei vostri semplici gesti, potrebbero salvare una vita. E non penso sia poco.

martedì 18 maggio 2010

Ripartiamo con un miracolo

Care amiche e amici di blog,
è giunta l'ora di riprendere in mano la tastiera e ricominciare a scrivere. Non che le cose nella mia vita si siano sistemate, ma la voglia di raccontare è più forte. Così, non con poca fatica, mi sto rialzando e ritorno tra voi. Via avviso che per vari motivi non riuscirò ad essere molto costante nè con i miei post nè a commentarvi, ma farò del mio meglio.
Voglio ripartire con una storia vera, la storia di un amico accaduta circa due settimane fa.
Se avete un pò di tempo, ascoltatela.
Salvatore oggi ha una famiglia, è un padre felicemente sposato, con una casa che non è una reggia, ma è pur sempre di sua proprietà. La sua storia assomiglia a quella di tanti che come lui un giorno fecero le valige e dal Sud vennero al Nord in cerca di lavoro. Lui lo fece quando aveva 14 anni. Preparò la valigia, lasciò la sua Napoli dai mille volti, salutò i genitori, i fratelli, gli amici, e partì con quel treno che sapeva di nostalgia e povertà. Era ancora quella l'epoca dei cartelli "Non si affitta ai terroni". Non fu facile, ma Salvatore aveva voglia di fare, e non si arrese alle innumerevoli difficoltà che gli si pararono davanti. Non voleva la via più facile, troppe persone aveva visto a Napoli cadere nelle mani della mafia. Lui voleva un futuro diverso. Così, anno dopo anno, è riuscito a diventare muratore e a prendere anche varie specializzazioni.
Ma nel lavoro, si sa, gli incidenti sono dietro l'angolo, una lista infinita che grida nel silenzio dei media. Gli andò bene qualche anno fa: cadde da un'impalcatura, si fratturò varie ossa, ma si rimise in piedi.
Poi arrivò un giorno preciso di un mese preciso; due settimane fa, come vi dicevo.
Salvatore è in un grosso tubo, dall'alto gli calano cerchi di cemento da allineare e saldare. Tutto va normalmente. Poi dall'alto sente delle urla concitate. E' questione d'un secondo. Una valanga di terra lo sommerge. E' la morte, pensa, oggi è arrivata la fine. Riapre gli occhi. Non chiedetemi come, ma una sorta di bolla d'aria s'è creata intorno alla sua testa. A fatica, ma Salvatore, sotto quella terra, respira. I minuti diventano ore. Pensi che è questione di attimi, che morirai, eppure vorresti con tutte le tue forze vivere. Con uno sforso immane, con la mano e il polso fratturati, Salvatore alza un braccio nella terra: pensa, spera, che almeno così potranno trovarlo prima.
I suoi colleghi sono ai margini del grande tubo, e dall'alto lo chiamano a gran voce, ma si vede solo terra. C'è chi ha avvisato i soccorsi, chi pensa a come fare per tirarlo fuori di lì. Perchè non è semplice: della terra è in bilico e a saltare dentro si rischia di essere sommersi in qualunque momento. Ma in una manciata di minuti due colleghi fanno la loro scelta. Senza indugiare, saltano dentro e a mani nude inziano a scavare. Trovano la mano, ok, quello è il punto. A braccia, tirano fuori Salvatore. E' ammaccato, sotto choc, ma vivo.
Due angeli rumeni hanno salvato il mio amico.

martedì 4 maggio 2010

4 Maggio 1944

Ho pensato fosse doveroso rompere un attimo il mio silenzio per ricordare cosa accadde in Italia il 4 Maggio 1944: eccidio di Monte Sant'Angelo (AN), 63 italiani uccisi dai nazi-fascisti. Ricordiamo Palmira Mazzarini, che aveva solo 6 anni.
4 May 1944: slaughter Monte Sant'Angelo (AN), 63 Italians killed by the Nazi-Fascists.
Remember Palmira Mazzarini, 6 years.