domenica 20 dicembre 2009

Una storia di Natale

Siamo a Dicembre, ed ecco come sempre il post degli auguri di Natale e di buon anno. :)
Ringrazio e faccio i migliori auguri a tutti gli amici di blog con i quali ci siamo scambiati idee, opinioni, faccio gli auguri anche a tutti coloro che per caso sono capitati qui. Un pensiero corre alle amiche e agli amici che ho sparsi per il mondo, alle persone care che non ci sono più ma so che mi possono sentire, a quell’amico in particolare che non so su quale strada starà dormendo, a coloro che oggi si sono allontanati ma che spero sempre possano tornare.
Vi vorrei lasciare con una sorta d’intervista; non prendetevi male se a tratti può sembrarvi troppo triste e amara per questo perido: il “protagonista” v’assicuro che non lo è per nulla, è uno abituato a combattere con il sorriso.
Vi voglio regalare la sua grinta. Che di questi tempi, serve molto.
Arrivo a casa sua e Alex viene ad aprirmi. Fa un mezzo sorriso imbarazzato e mi dice d’entrare, d’accomodarmi. E’ da solo in casa, i genitori al lavoro, i suoi fratelli uno a studiare a casa d’amici e l’altro al lavoro anche lui. Mi vuole offrire qualcosa da bere, e così dopo un po’ arriva con un vassoio con su due bicchieri e un cartone d’aranciata. L’andatura è evidentemente zoppicante, ma porta tutto con sicurezza. Si siede e mi guarda, sempre sorridente. Dopo i convenevoli, gli faccio una domanda semplice: di parlarmi di sé. Abbassa lo sguardo, strofina piano la mano sulla gamba. Poi sereno, comincia. “E’ dall’asilo che ho capito che la mia diversità non doveva fermarmi, che se anche il dolore a volte era forte, io dovevo stringere i denti…per me stesso e anche per la mia famiglia. Le cure costavano tanto, vedevo ogni giorno i sacrifici che in casa si facevano per me. Sai, non siamo mai stati messi bene a soldi, e con il mio arrivo il problema lo so, è aumentato. Ma nessuno qui me l’ha mai fatto pesare. Le differenze le vedevo all’asilo e a scuola: sai, tutti con i vestiti della disney, con l’astuccio dell’ultimo cartone animato, con le robe di marca…io e mio fratello ci passavamo i vestiti a vicenda e abbiamo iniziato a capire subito che certi bambini “potevano” e altri, come noi, “non potevano”. Ma non siamo stati troppo lì a farci problemi, quella era la nostra situazione, lo sapevamo, e noi si andava avanti ugualmente, tranquilli. Poi, crescendo, abbiamo anche capito che in casa i nostri genitori si facevano in otto per noi: doppi lavori per far quadrare i conti…mio padre lavora di giorno e di notte, mi sono sempre chiesto come fa a reggere…E che, vedi anche tu, non abitiamo in qualche periferia o zona degradata, qui nel nostro paese stanno tutti bene…o quasi…ma mamma ha sempre detto che noi chiederemo la carità a nessuno…e anche se il comune e lo Stato in generale non hanno mai fatto quasi nulla per noi, noi non andremo mai a bussare a cose tipo la Caritas…la dignità conta molto per i miei…e per noi…E così la vita è passata, tra chi mi guardava e mi guarderà sempre in modo diverso, tra risatine di chi si prende gioco di me perché non ho un pezzo di gamba, tra sacrifici, tra niente vacanze, niente sport, perché non gliene frega molto di come stai messo a soldi, la retta è quella e o paghi o non ti puoi iscrivere, niente oratori perché anche lì devi pagare l’iscrizione, niente giocattoli nuovi, niente bici ultimo modello, niente motorino per i miei fratelli…insomma…un bel po’ di “niente” direi!...Però nessuno si è mai lamentato, anche quando mio fratello grande non è potuto andare all’Università perché serviva che lavorasse, anche quando l’altro mio fratello mi faceva quasi da balia, anche quando ho capito che comunque la si mettesse, io ero un po’ diverso dagli altri…nessuno si è mai lamentato. Adesso siamo tutti cresciuti, i problemi sono rimasti e…lo ammetto, mi sento un po’ più solo….i miei fratelli però è giusto che vadano per la loro strada, e io prima o poi troverò la mia…Sai, tra un po’ è Natale…abbiamo fatto l’albero, vedi? Ma non m’interessa se ci saranno o no pacchi per me…la gamba che non ho nessuno me la ridarà, questo è un dato di fatto, ma a costo di zoppicare, d’andare avanti con le stampelle, io non mi fermo, non m’arrendo…”
Merry Christmas, Joyeux Noel, Froehliche Weihnachten, Feliz Navidad, Shinnen omedeto Kurisumasu, Chung Mung Giang Sinh, I'd milad said oua sana saida, Sretan Bozic, Merry Keshmish, Yukpa, Nitak Hollo Chito, Pozdrevlyayu s prazdnikom Rozhdestva is Novim Godom, Gesëebende Kersfees, Kung His Hsin Nien bing Chu Shen Tan.

venerdì 4 dicembre 2009

La journée sans immigrés: 24h sans nous!

La giornalista francese Nadia Lamarkbi, ha lanciato sul web un’idea un po’ particolare: far scioperare tutti gli immigrati presenti in Francia. Ha aperto una pagina su Facebook dal titolo “La journée sans immigrés: 24h sans nous!” e ha già avuto un sacco di iscritti. L’idea è arrivata anche qui da noi (“Primo marzo 2010 primo sciopero italiano degli stranieri”) e sempre grazie a Facebook si sta propagando per tutta l’Italia. Per chi volesse iscriversi al gruppo può andare a questo indirizzo oppure qui. Chi voglia invece iscriversi al gruppo francese basta che vada qui.
Ma vi siete mai chiesti come sarebbe l’Italia se d’improvviso tutti gli immigrati sparissero? Di certo, ammettiamolo, qualcuno di noi festeggerebbe, ma ci sarebbe realmente da essere contenti? Perché non facciamo una prova? Dai, seguitemi nel gioco, proviamo…
Iniziamo con una cosa di cui noi italiani siamo famosi: la cucina. Improvvisamente avremmo una drastica riduzione di pomodori, olive, ortaggi in generale e frutta. Molti di coloro che raccolgono questi prodotti sono stranieri. Avremmo meno pane, quasi tutte le pizzerie chiuderebbero, seguite a ruota da ristoranti cinesi, ristoranti giapponesi e anche ristoranti italiani; eh sì, anche italiani: avete mai fatto caso che non pochi sono i cuochi, i camerieri e i lavapiatti stranieri?
Non meno importante penso sia la pulizia, a cui noi italiani teniamo molto. Però senza stranieri le nostre strade pullulerebbero di immondizia, perché molti degli operatori ecologici, meglio conosciuti come spazzini, sono stranieri. E i supermercati? E gli uffici? Da chi verrebbero puliti? Sono sempre stranieri coloro che si occupano di queste pulizie.
E gli anziani? Come faremmo senza badanti? Chi si prenderebbe a carico la nonnina novantenne che fa fatica a camminare e la si deve imboccare? Le case di riposo dite? Ok, guardate pure i costi…e spaventatevi.
Poi abbiamo le case in Italia. Beh, senza stranieri, penso che la casa nuova che ti stavano costruendo ritarderà di molti anni prima che risulti pronta. In fondo, tantissimi muratori sono stranieri.
I lavori sulle strade sarebbe qusi del tutto interrotti perché molti che lavorano nei cantieri stradali sono stranieri.
Poi abbiamo le ditte: operai, mulettisti, camionisti, magazzinieri, una ditta va avanti grazie a loro. Ma se il cinquanta per cento è costituito da immigrati e questi spariscono, le ditte come fanno a far quadrare tutto? Le produzione, i costi, i tempi, salterebbero totalmente.
Abbiamo poi gli ospedali: già gli infermieri sono pochi, vi immaginate se anche da qui gli stranieri se ne vanno? E senza dottori come faremmo? Eh sì, forse non lo sapete, ma abbiamo anche dottori stranieri.
E poi, scusate, noi amanti dello sport, senza stranieri che faremmo? Più della metà dei campionati italiani verrebbero sospesi; in primis il calcio. Chissà, magari ci appassioneremmo al curling…
La lista potrebbe continuare. E v’assicuro che questi vuoti non verrebbero riempiti dagli italiani, come molti sostengono. Molti di questi lavori nessun italiano vuole più farli.
Ma una delle cose che più mi toccherebbe sarebbe vedere amiche senza i rispettivi mariti. O vedere il mio cuginetto senza il suo amico del cuore. E vedere un sacco di miei amici sparire. E…oh cavolo! Sparito è anche il ex maestro di karate! In fondo, un giapponese è sempre uno straniero, no?
Eh sì, ci sarebbe poco da stare allegri se tutti gli stranieri sparissero.
Avanti allora, incrociate le braccia stranieri italiani, incrociamole anche noi con loro, e facciamo vedere a questa Italia dal passato emigrante, che senza di voi gli ingranaggi non girerebbero più.

sabato 21 novembre 2009

Hijos bastardos de la Globalización - Bastard children of Globalization

"Comincio la mia giornata quando sorge il sole, ho 12 anni e vivo nella desolazione in un'altra dimensione...". Così comincia la canzone degli Ska-p che vi ho riportato qui sotto. A quanti bambini del mondo si adatterebbero queste parole? Bambini sparsi per il mondo che sono obbligati a lavorare, lavori di solito duri, faticosi, che il più delle volte causano danni alla loro salute. Ma devono. Perchè la povertà da cui sono attanagliati li obbliga. Non hanno scelta. E spesso capita che ciò che loro producono noi lo ritroviamo nelle nostre case. La beffa è che a volte costruiscono giocattoli, gli stessi per cui i nostri figli occidentali battono i piedi pur di averli. Se parli con questi bambini lavoratori scopri che il loro sogno è andare a scuola, ma sono consapevoli che il lavoro serve alla famiglia, che quei miseri soldi servono. Ci si stupisce di quanta consapevolezza hanno, di quanta maturità posseggono a soli 1o, 11 anni. Però ci si chiede quale sitema produttivo può aver ridotto il mondo così, con una parte, piccola, di bambini che giocano e vanno a scuola, e l'altra parte, grande, che lavora. Piccoli lavoratori schiavi del sitema, schiavi non raramente di persone adulte che li sfruttano, con le cattive e non certo con le buone.
Nel girovagare qua e là li ho visti, e vi assicuro che il cuore si stringe, lo stomaco vi diventa di granito. E poi, tornata a casa, sentire il mio vicino di casa che faceva i capricci perchè non gli avevano comprato il gioco che voleva, e sentire il mio sangue che ribolle. E andare al supermercato e leggere tutti quei "Made in...", vedere le grandi marche che costano anche caro, e cominciare a chiedersi chi ha prodotto il tutto; e alla fine non comprare nulla.

lunedì 9 novembre 2009

Berlin Mauer

Il Muro di Berlino divideva la Germania Ovest dalla Germania Est. La sua costruzione fu iniziata il 13 agosto del 1961 ad opera del governo della Germania Est. Il Muro fu smantellato il 9 novembre 1989.
Di principio, fu sbagliato costruirlo. Nella pratica, evitava la fuga dei "cervelli" nella Germania Ovest. Quando cadde tante erano le aspettative, specialmente da molti cittadini della Germania Est. Ma il sospirato capitalismo che avrebbe dovuto rendere tutti più ricchi, più felici e più liberi, disilluse e portò sgomento, al pari dell'erezione del Muro.
Non sono pochi oggi, fra i cittadini tedeschi che vissero in quegli anni all'Est, quelli che rimpiangono la Germania Est. Ma la storia ha fatto il suo corso, ed oggi i tedeschi di nuova generazione vorrebbero quasi dimenticare, pensare più al futuro che fare i conti con il passato. Andando a Berlino lo si comprende: ovunque ricordi di ciò che fu il Muro, i simboli della DDR, i souvenir per i turisti, le foto dell'epoca, ma una generale freddezza dei tedeschi verso questi simboli sparsi un pò ovunque. Preferiscono osservare gli imponenti palazzi recenti di famosi architetti che costellano la nuova Berlino.
Personalmente l'amaro in bocca rimane. Ed è forse per questo che la prima cosa che ho fatto arrivata a Berlino è stata comprare una bandiera della DDR. Ce l'ho qui, appesa in camera. Ci fissiamo a vicenda, sospirando. E i nostri dialoghi sono molto intensi.
...E forse, penso, per concludere, sarebbe il caso di ricordare che il 9 novembre del '38 iniziò la "Notte dei Cristalli", e il piano diabolico del nazismo, messo a tacere grazie anche ai comunisti, gli stessi della DDR.


giovedì 22 ottobre 2009

Inside the cambodian hell

Se vi parlo della Cambogia forse dovrei parlarvi del suo favoloso Tempio di Preah Vihear, situato in cima ad un'altura di 525 metri, sui monti Dângrêk. O forse dovrei parlarvi del bellissimo fiume Mekong o della natura ricca e verdeggiante che si trova fuori le città. O magari potrei soffermarmi sulla terribile storia di Pol Pot. Ma non vi parlerò di questo. Vi parlerò di un articolo letto sul Corriere della Sera e di alcuni documentari visti. Che iniziano tutti con la stessa domanda: "La vuoi una bambina di dieci anni? O preferisci il suo fratellino, che di anni ne ha otto?".
Eh sì, assieme alla marijuana e all'anfetamina, questo offrono i papponi agli occidentali che scendono negli alberghi da due soldi attorno al lago Bung Kak di Phnom Penh. Anche l'autista di tuk-tuk propone creature di cui abusare: "Conosco un bordello pieno di ragazzine. Costano care, però. Almeno venti dollari".
Le bambine vendute ai bordelli a volte hanno solo cinque anni. Almeno un terzo delle prostitute cambogiane è minorenne.
Gli orchi sono spesso europei, australiani o statunitensi. Sì, anche italiani. Ma ci sono altri mostri, più insidiosi, perché si confondono tra i cambogiani, quindi più difficili da intercettare. Sono quei pedofili, numerosissimi, che arrivano da Taipei, Hong-Kong, Pechino. Ci sono asiatici che festeggiano la firma d'un contratto comprandosi una vergine cambogiana.
Spesso sono le famiglie stesse a fornire loro le bimbe. Bimbe che, quando tornano a casa dopo aver trascorso un paio di notti con il loro stupratore, sono prese a sassate dagli uomini del villaggio, perché considerate srey kouc, anime rotte. Perciò, dopo che una madre ha venduto la verginità di una bimba di 10 anni per 500 dollari, la piccola finisce in un bordello.
La nuova maledizione poi del porto di Sihanoukville è la yahma, così viene chiamata una micidiale metanfetamina fabbricata in Thailandia, di cui ne fa uso l'80 per cento delle prostitute cambogiane. La vecchia, ma sempre attuale, maledizione del luogo sono i pedofili occidentali, che qui addescano le loro prede sulla spiaggia; il 65 per cento sono maschietti dagli otto ai quindici anni.
E il governo cambogiano? E la polizia del luogo? Certo, qualcosa si sta muovendo in questi anni, ma la strada è ancora desolatamente lunga e ricca d'ostacoli; perchè, in fondo, il turismo sessuale porta soldi, e questi per alcuni possono essere più importanti della vita di un bambino.
Questo è l'inferno cambogiano, un inferno sceso in terra, dove padri esemplari di famiglia, gran lavoratori, di quelli che portano i figli alle partite, di quelli che fanno regali, mostrano la loro vera faccia da demoni.

lunedì 12 ottobre 2009

Stop Columbus Day

Conoscete il Columbus Day?

E' una festa che si celebra in America per ricordare l'arrivo di Cristoforo Colombo nel "Nuovo Mondo" nel 1942; a partire dal 1971 fu proclamata festa nazionale degli Stati Uniti.
Non ho nulla contro la scoperta di Colombo, fatto storico immodificabile, ma ho qualcosa da dire contro questa celebrazione.
Prima di tutto sarebbe bene ricordare che la "scoperta", in realtà scoperta non fu: i primi a sbarcare sulle coste canadesi furoni i Vichinghi nel 1100 d.C. e le prove si possono vedere in quanto permangono i resti del loro primo villaggio chiamato l'Anse aux Meadows (riconosciuto dall'UNESCO).
Ma andando oltre a ciò, c'è da dire che anche i Nativi Americani festeggiano questo giorno, come un giorno di lutto. In Venezuela è stato infatti ribattezzato come "Día de la Resistencia Indígena" (Day of Indigenous Resistance).
Perchè per loro fu l'inizio della fine.
Non ci fu tolleranza, non ci fu integrazione, non ci fu dialogo, non ci furono scambi culturali e civili: ci fu solo un genocidio da parte di arroganti colonizzatori. Distruzione fisica e culturale, riserve ed alienazione per i superstiti. Celebrare il Columbus Day vorrebbe dire dimenticare tutto questo, dimenticare quegli orrori mai del tutto ammessi, che attualmente anche sui libri di storia americani non vengono proprio ricordati, vorrebbe dire dimenticare il loro inquadramento dentro schemi occidentali che non appartenevano loro: obbligati dentro a certi vestiti, obbligati dentro certe case, obbligati a una certa religione, obbligati a certe scuole. Non ci fu un'arricchimento (e quanto poteva essercene!) reciproco. No. Solo annientamento da parte di quegli uomini che venivano dal mare.
Ma c'è di più: la violenza verso i Nativi è continuata, anno dopo anno, anche tutt'oggi. Oggi che i Nativi e varie Associazioni protestano distribuendo volantini dove spiegano le ragioni del loro dissenso, dove fanno sit in di protesta, e vengono arrestati in massa. Festeggiare il Columbus Day equivarrebbe a dire "Va tutto bene, non accadde nulla!".
No, non va tutto bene.
Permettetemi d'essere arrabbiata, permettetemi di avere il sangue che ribolle.
I Nativi sono stati schiavizzati, torturati, violentati, oggi vivono nelle riserve, in mezzo al deserto, chissà perchè hanno meno diritti rispetto agli altri.

Ora spiegatemi, cosa c'è da festeggiare?

Per firmare la petizione "Stop Columbus Day" vi invito a questo sito:
http://www.nativiamericani.it/


giovedì 1 ottobre 2009

Happy birthday China! 生日快乐 中华人民共和国!

Il 1° ottobre 2009 la Repubblica Popolare Cinese 中华人民共和国 compie 60 anni dalla sua fondazione, ad opera di Mao Zedong.
Mao, figlio di contadini, nasce il 26 dicembre del 1893 nel villaggio di Shaoshan nella contea di Xiangtan nella provincia dello Hunan. Durante la rivoluzione del 1911 si arruola nell'armata provinciale della provincia dello Hunan. Nel 1918 si diploma presso la Hunan Normal School. L'anno successivo, accompagnato dal professore Yang Changji, giunge a Pechino in occasione del Movimento del 4 Maggio. A 27 anni, Mao partecipa al Primo Congresso del Partito Comunista, tenutosi nel luglio del 1921 a Shanghai. Due anni dopo, durante il terzo congresso, viene eletto nella Commisione Centrale. Nel 1931 viene nominato presidente della neonata Repubblica Sovietica Cinese. Per evitare la distruzione da parte dell'esercito di Chang Kai-sheck, Mao, insieme agli altri esponenti del PCC, intraprende una coraggiosa e geniale ritirata, la Lunga Marcia, che dal Jiangxi lo porterà sino alllo Shaanxi, attraversando buona parte della Cina meridionale (9600 km). Durante questo periodo della durata di un anno, Mao diventa la guida incontrastata del PCC. Il 21 gennaio del 1949 le forze comuniste infliggono una durissima sconfitta ai nazionalisti. Il 1° ottobre viene proclamata la fondazione della Repubblica Popolare Cinese.


giovedì 17 settembre 2009

PARADA

1992. All'inizio dell'inverno. Romania.
Miloud Oukili, ventisettenne, franco-algerino: "Ho perso il treno. E mi sono ritrovato da solo alla Gara du Nord, a Bucarest, una notte di febbraio. Si trattava di aspettare fino al mattino per riprendere il viaggio verso casa, Parigi. (...) Sono andato in Romania per starci un mese e mezzo, e ci sono rimasto sette anni. Neanche fossi Brad Pitt in Tibet. Almeno lui si è scelto un posto con le montagne e un’atmosfera, almeno lui è il sex symbol più famoso del mondo...".

domenica 6 settembre 2009

Il regista scomodo

Il fotografo e regista franco-spagnolo Christian Poveda è stato trovato morto vicino alla sua auto con quattro colpi di pistola in faccia in un'area che si chiama El Limòn vicino a Tonacatepeque, a nord della capitale del Salvador. Un anno fa Poveda aveva girato un bellissimo film documentario, "La vida loca", sulle maras, le bande di giovani assassini che infestano il Centro America. Proprio una delle maras più forti del Salvador, la M-18, controlla la zona del Limòn e la polizia non esclude che l'omicidio di Poveda abbia a che fare con le sue inchieste e il suo documentario. Prima di essere ucciso il fotoreporter, 54 anni, aveva girato nuove immagini e stava rientrando nella capitale.
Poveda era nato in Algeria nel 1955 da genitori spagnoli fuggiti in esilio dalla dittatura franchista. Cresciuto a Parigi era arrivato in Salvador giovanissimo, trent'anni fa, grazie ad un contratto con Time, il newsmagazine americano, per seguire come fotografo la guerra civile. Dopo il '92, quando la guerriglia del Farabundo Martì -oggi al governo- iniziò le trattative di pace, Poveda lasciò il paese per documentare nuove guerre: dall'Iran, all'Iraq, al Libano; pubblicando le sue foto nei maggiori giornali internazionali come El Pais, Le Monde, Paris Match e New York Times. Qualche anno fa Poveda era tornato a stabilirsi in Salvador e a lavorare sul fenomeno della criminalità giovanile. Il film "La vida loca", in gran parte girato nel sobborgo della Campanera, documenta l'estrema violenza di queste bande di giovanissimi -l'iniziazione avviene intorno ai dodici massimo tredici anni- che spacciano droga e dominano il contrabbando, ma è molto critico anche verso la polizia e l'atteggiamento super repressivo dello Stato.
Le bande criminali giovanili come la M-18 o la Salvatrucha (o M-13), le due più grandi del Salvador, nascono negli anni Ottanta tra i ragazzi delle comunità di immigrati ispanici di Los Angeles. Negli anni Novanta il fenomeno si estende in Centroamericana grazie ad una legge che consente al governo americano di rispedire nei paesi d'origine piccoli e grandi criminali dopo che hanno scontato la loro condanna negli Usa. Fu così che i giovani capi gang di Los Angeles rimpatriati in Salvador formarono le nuove bande per gestire droga e contrabbando. Il fenomeno è esploso in America centrale negli ultimi dieci anni ed oggi si calcola che l'esercito delle gang sia composto da un numero di membri che varia dai 30 ai 50 mila.
Tratto da: Repubblica.it


sabato 29 agosto 2009

Risk of revolt in refugee camps on the border between Bhutan and Nepal

RISCHIO RIVOLTA NEI CAMPI PROFUGHI AL CONFINE TRA BHUTAN E NEPAL
(Per la traduzione in italiano cliccare qui)
The plight of the over 120 thousand Bhutanese exiles in Nepal has led to the emergence of Maoist groups in refugee camps. Indian sources raise the possibility of an armed insurrection in the coming months. Meanwhile, the Bhutanese government promises by year’s end better conditions for the Nepalese minority.
In the little kingdom on the slopes of the Himalayas, there is the risk of an armed insurgency by Maoist groups born in refugee camps on the border with Nepal, where for years more than 120 thousand citizens of Nepalese origin live in exile.
According to Indian intelligence sources, the recent alliance of the Communist Party of Bhutan with some Indian separatist groups operating on the border, risks turning the tensions of recent years into open armed conflict. The sources say that "Through this alliance, the militant Bhutanese may learn how to make more powerful bombs, acquire more experience in handling weapons and fight it more effectively."
Bill Frelick, head of political refugees for Human Rights Watch, says that the militants are little more than a thousand, and are a long way from organising a real revolution. But other analysts see in the alliance with the armed groups in India and the ongoing recruitment of volunteers within the camps a signal to an actual armed rebellion.
Between '77 and 85 the Nepalese minority in Bhutan, then about one third of the population, were subjected to a cross-border deportation, commissioned by the then King Jigme Singye Wangchuck. The campaign, which aimed to build a state based on Buddhist culture and devoid of outside influences, ended in the '90s with the deportation of over 105 thousand civilians of Nepalese origin. In 2008, the ascent to the throne of 28-year old King Jigme Khesar brought new hopes of opening the country and a possible way out for the refugee population in Nepal.
Until now the government of Bhutan has been committed alongside the international community to promoting democratic change. By the end of the year 15 schools are expected to be reopened as well as the construction of medical centres in the border area still inhabited by the minority Nepali.

giovedì 23 luglio 2009

Viaggi economici

Visto che siamo alla fine di Luglio, ho pensato di fare un post che ben si adatta alla stagione. Qui di seguito vi proporrò un po’ di viaggi a buon mercato, economici, per tutti coloro che non hanno molti soldi in tasca ma ugualmente vorrebbero fare dei bei viaggi.
Partiamo dall’Italia: la riviera romagnola offre di sicuro alloggi ad un prezzo stracciato, un po’ più cari però sono i divertimenti e le sdraio/ombrelloni. Il mare è quello Adriatico e, beh, sappiamo tutti che non è quello caraibico…
Poi abbiamo le Marche, una regione che è rimasta in generale con dei buoni prezzi, soprattutto i villaggi turistici offrono al loro interno animazione e si trovano alloggi per tutte le tasche. Sulla stessa linea si pone la Calabria.
Non tralascerei neanche il Piemonte: al suo interno vi è il Parco Nazionale Val Grande, un’area selvaggia col primato d’essere la più grande d’Italia.
Passando all’estero non c’è che l’imbarazzo della scelta. Attenti a non farvi trarre in inganno dalla parola “estero”! Spesso si trovano vacanze molto più economiche che in Italia. Al primo posto non posso che mettervi Praga: che dirvi, città ricca di storia, con numerose chiese, musei, reperti archeologici. Girerete in lungo e in largo e troverete sempre qualcosa di nuovo! Dal punto di vista economico è fantastica: con l’equivalente di 4 euro vi mangiate una pizza e vi bevete un Sprite, con 10/15 euro vi fate un pranzo dall’antipasto al dolce. L’aereo non costa molto, ma se volete proprio risparmare al massimo nessuno vi vieta di andarci treno. Simile a Praga è Budapest: meno cose da vedere ma prezzi ancora più bassi. Il clima in queste due città è poi molto vivibile (parlando dell’estate), se non amate il caldo torrido queste mete sono eccellenti, la sera con una felpa leggera si sta bene.
Se fossimo stati ai tempi della Jugoslavia unita di sicuro vi avrei detto di andare qui. Con la separazione, la Croazia è diventata la meta più ambita; il mare è molto bello, i prezzi però sono cresciuti rispetto al periodo unitario ma ancora accessibili. I luoghi da visitare sono innumerevoli: sono prresenti tantissime isole e isolette con possibilità infinite per chi pratica sub, c’è la città di Dubrovnik che possiede uno dei centri storici più straordinari di tutto il Mediterraneo e la flora è ricca e verdeggiante.
E’ recente la scoperta del Mar Nero come luogo d’attrazione turistica per gli occidentali: i prezzi sono molto competitivi, il mare è limpido, le spiagge ampie e sabbiose, con presenza di zone termali. Le strutture si stanno pian piano rinnovando per raggiungere stand occidentali.
Sempre riguardo a vacanze marittime, l’Egitto e la Tunisia offrono pacchetti fantastici: gli all inclusive spopolano e sono assai vantaggiosi, i villaggi sono all’avanguardia e offrono tutti i confort che volete, per non parlare del mare che, soprattutto per l’Egitto, è cristallino e da la possibilità di fare immersioni per ammirare varietà illimitate di pesci.
Anche la Grecia di sicuro si propone come zona con buoni prezzi, però si deve avere la costanza di effettuare una puntigliosa ricerca poiché certi villaggi o appartamenti hanno prezzi non proprio economici. Il mare, non c’è che dire, è limpido, le isole molto selvagge e particolarissime, la zona di Atene è un’esplosione di reperti archeologici.
Per ultimo, ma non per valutazione, c’è la Romania. Questa nazione offre tantissimo: al di là dei prezzi stracciati, le zone da vedere sono innumerevoli. La Transilvania, circondata dai Carpazi, terra di moltissimi castelli; la Bucovinia, con i suoi innumerevoli monasteri decorati con affreschi esterni; Maramures situata a 2.300 metri costellata di Chiese di legno uniche al mondo. Se avete spirito di avventura, girare in auto questa nazione potrà arricchirvi tantissimo facendovi risparmare non pochi soldi.
Molte sarebbero poi le nazioni dove passare le vacanze costerebbe poco, ma il prezzo si alza perché c’è di mezzo un viaggio lungo in aereo (Cina, Vietnam, Thailandia, Cuba…).
Spero che questi pochi consigli possano esservi serviti ^^
Buone vacanze!!!

venerdì 10 luglio 2009

E-mail in sospeso

Leggo l'ultimo post del mio amico Incarcerato, e quel pensiero che mi gira da molto in testa torna alla ribalta.
Devo mandare una e-mail; ma non riesco.
Facciamo un passo indietro, al mio post del 31 Ottobre 2008, perchè è da lì che tutto è partito.
Due foto, due ricordi presi su mille di quell'esperienza unica che è stata per me il viaggio in Brasile. Un piccolo paese, tanti bambini, tanti ragazzi, maniche rimboccate, zappate sulla terra, sorrisi, gentilezza, scoperta d'una realtà per nulla turistica, d'una relatà forse troppo tagliente. Tanti volti, tante esperienze, tante singole storie che custodisco gelosamente. E poi lui, Ed, un normale ragazzo brasiliano...e qui cominciano le voci a sovrapporsi...una rissa, qualche parola di troppo, la polizia...morto... Ed l'hanno ammazzato. Non si sa perchè, non si sa se avrà mai giustizia. Dovrei, sì dovrei, mandare una e-mail a Padre Mario e chiedere come va il processo. Ma, lo ammetto, ho paura a chiedere, ho paura che la tanto temuta risposta negativa arrivi. Perchè, in fondo, che puoi fare contro l'organo "Polizia"? Poi, si sa queste cose in Sud America come vanno (ma forse anche da noi), loro c'hanno le spalle parate, Ed invece? Ed era solo un orfano cresciuto in una comunità d'un missionario italiano. Ce ne sono tanti in Brasile, ce ne sono tanti come lui che muoiono senza un perchè e non accade nulla. Qui c'è però un prete che gli ha fatto da padre e una suora che gli ha fatto da madre a combattere questa battiglia per la verità. Ma che peso avranno?
Sì, ho una e-mail da spedire, notizie da chiedere, ma non ho il coraggio.
E domani è un altro giorno. Senza Ed.

domenica 28 giugno 2009

Golpe in Honduras

TEGUCIGALPA - Il presidente dell’Honduras, Manuel Zelaya dichiara dai microfoni della catena televisiva latinoamericana Telesur di essere stato «rapito e di essere vittima di un complotto». Si trova adesso in Costa Rica, dove è stato condotto con la forza dai militari; la sua presenza in Costa Rica è confermata dal ministro costaricano della Sicurezza pubblica, signora Janina del Vecchio. Il capo dello stato dell’Honduras, alleato del venezuelano Hugo Chavez, è stato bloccato all’alba dai militari all’interno della sua residenza, poco prima dell’apertura delle urne per il contestato referendum di revisione costituzionale.
TENSIONE - Successivamente all'arresto del presidente, testimoni hanno riferito che gas lacrimogeni sono stati sparati contro un gruppo di circa 500 manifestanti davanti al palazzo presidenziale. Inoltre sono stati dispiegato dei blindati non solo nelle strade di accesso alla residenza del presidente arrestato ma anche in altri punti della capitale. Gruppi di militari stanno prendendo, inoltre, il controllo delle sedi di alcuni edifici della pubblica amministrazione. Nella capitale ci sono anche interruzioni nella fornitura dell'energia elettrica.
IN TV - «Ci sei tu dietro a tutto questo?», ha chiesto Manuel Zelaya direttamente al presidente degli Stati Uniti Barack Obama, parlando alla televisione Telesur dal Costa Rica. Zelaya ha anche detto che «se (Washington) non dà il proprio sostegno a questo colpo di stato, può vanificare questo attacco contro il nostro popolo e contro la democrazia». E la Casa Bianca ha risposto respingendo con forza l'accusa: «Non c'è stato alcun coinvolgimento statunitense in quest'azione contro il presidente Zelaya», ha riferito un funzionario sottolineando di rifersi al leader honduregno sempre con il titolo di presidente.
OBAMA «PREOCCUPATO» - Il presidente americano, Barack Obama, si è «profondamente preoccupato» per la detenzione e l'espulsione del presidente dell'Honduras, Manuel Zelaya, e ha chiesto agli «attori politici e sociali» del Paese il rispetto delle norme democratiche e dello stato di diritto. Per Obama, «ogni tensione e ogni disputa dovrebbe essere risolta in modo pacifico, attraverso il dialogo». In precedenza, il presidente del Venezuela Hugo Chavez aveva chiesto al presidente Obama di pronunciarsi contro il golpe in Honduras. Obama dovrebbe prendere una posizione «così come abbiamo fatto noi», aveva detto Chavez in dichiarazioni alla rete Telesur parlando di «colpo di Stato». Quello in corso in Honduras contro il presidente Manuel Zelaya è «un Colpo di Stato troglodita» ha detto il presidente Chavez.
LA UE CHIEDE LA LIBERAZIONE - Intanto i ministri degli esteri dell'Ue hanno «condannato con forza l'arresto del presidente dell'Honduras» Manuel Zelaya chiedendone «l'urgente liberazione». In un documento pubblicato domenica a Corfù, ai margini della riunione dell'Osce, i 27 ministri auspicano un rapido «ritorno alla normalità costituzionale» nel paese centramericano. L’Organizzazione degli stati americani (Osa) ha indetto una riunione d’emergenza per discutere la situazione in Honduras.
LA CRISI ISTITUZIONALE - L'arresto arriva dopo la delicata crisi istituzionale che si era aperta a seguito della decisione di Zelaya di rimuovere il capo di stato maggiore delle forze armate, Romeo Vasques: decisione contestata dallo stesso militare, la cui reintegrazione all'incarico era stata d'altra parte chiesta dalla Corte suprema honduregna. Il pomo della discordia è il referendum di domenica, che dovrà decidere se convocare o no l'elezione di un'assemblea Costituente voluta secondo i sondaggi dall'85 percento della popolazione. E i soliti noti non ci stanno: le élite, l'esercito, le casta politica conservatrice, sono disposti a tutto purché nel paese neanche si parli di Assemblea Costituente. "È bastato solo l'odore di una Carta costituzionale che per la prima volta mettesse nero su bianco diritti civili e strumenti per ottenerli, perché si mettesse in moto la macchina golpista che durante tutta la storia ha impedito giustizia sociale e democrazia in tutto il Centroamerica", spiega lo storico e giornalista Gennaro Carotenuto.
Sequestrati da "uomini incappucciati" gli ambasciatori di Cuba, Venezuela e Nicaragua.
Il popolo si sta opponendo al golpe. El pueblo resiste al golpe.
Per maggiori informazioni: telesurtv

lunedì 15 giugno 2009

Khamenei orders election inquiry, but a "coup" is what everyone is talking about

IL COLPO DI STATO IRANIANO
(Per la traduzione in italiano cliccare qui; translation in chinese click here)
Despite an Interior Ministry ban, tens of thousands of Mousavi supporters take to the streets of Tehran. Khamenei’s order comes as a surprise because he was the one who announced Ahmadinejad’s victory calling it a “divine blessing.” According to Rooz, the Interior Ministry had Mousavi as winner before action by the revolutionary guards stop everything.
Iran’s Supreme Leader, Grand Ayatollah Khamenei, has ordered an investigation into allegations that last Friday’s elections were tainted by fraud. The decision was made public today after Mir-Hossein Mousavi, the candidate who lost to outgoing President Mahmoud Ahmadinejad, filed an official complaint.
Although the Interior Ministry banned rallies in the capital, tens of thousands of Mousavi supporters wearing green bandanas and waving green flags took to the streets in response to their candidate’s call for “peaceful” protest.
Many have been surprised by Khamenei’s decision because he was the first one to declare Ahmadinejad the winner, even before the Interior Ministry, calling the outcome a “divine blessing.”
The 12-member Guardian Council will now take over and examine the complaint. Under Iranian law the council supervises the electoral process and the constitution, but is also know for its literalist interpretation of Islam and its arch-conservative positions.
Since Ahmadinejad’s victory was announced Mousavi supporters, young and old, have poured into the streets of Tehran and other cities. Sporadic clashes with police have been reported.
Overnight anti-riot police and pro-Ahmadinejad vigilantes clashed with students at Tehran University, using tear gas and plastic bullets. Students responded with slogans, stones and Molotov cocktails.
Tens of students were arrested and police seized computers and other electronic equipment. A website close to Mousavi reported that a student protester was killed early Monday during clashes with plainclothes hard-liners in Shiraz. Hundreds of pro-Mousavi supporters have felt the regime’s iron fist, including a brother of former moderate president Khatami.
Mass media have also been affected by the crackdown. Foreign reporters are not being allowed to film demonstrations. Some have been arrested. TV and radio broadcasting out of Iran have been disrupted. Satellite communications and some websites have been blocked.
As for Mousavi, who served as prime minister during the 1980s, the defeated candidate has threatened to hold a sit-in protest at the mausoleum of the late Ayatollah Ruhollah Khomeini, founder of the 1979 Islamic Revolution.
In an interview with Iranian movie director Mohsen Makhmalbaf, published in the Persian-language webzine Rooz, Khamenei’s decision to give the victory to Ahmadinejad amounts to a “coup”. Makhmalbaf, who on Election Day was in contact with Mousavi’s election headquarters, said that according to the Interior Ministry Mousavi had won. He added that the latter had in fact worked on a moderate victory speech.
Information about Mousavi’s victory was also provided to Supreme Leader Khamenei. Just a few hours later revolutionary guards showed up at Mousavi’s election headquarter with a letter from Khamenei, which said that he would not let the green revolution succeed because “Ahmadinejad’s defeat is my defeat.”
For his part United Nations Secretary General Ban Ki-moon said he was “dismayed by the post-election violence, particularly the use of force against civilians, which has led to the loss of life and injuries.” He called “on the authorities to respect fundamental civil and political rights, especially the freedom of expression, freedom of assembly and freedom of information.”
To date more than 50 dead. The dead are rising. Iranian TV channels do not transmit the truth.
All foreign journalists sent away from the country.


martedì 26 maggio 2009

Pandillas

Gruppi che si muovono silenziosi e rumorosi al contempo, nelle periferie, lontani dai centri più “in” di Milano. Sono in banda, sono tanti, sono giovani e giovanissimi. I giornali ne parlano poco, ancor meno le tv. Eppure chi abita dove loro si ritrovano, dove loro agiscono, sanno bene che non sono fantasmi né leggende metropolitane, ma sono una costante assai presente. Lorenteggio, Giambellino, Crescensago, Stazione Lambrate, Stazione Centrale: sono solo alcuni dei luoghi da loro più frequentati. I nomi delle loro bande evocano film, evocano una realtà che è ben presente in centro e sud america ed anche negli States. Ma oggi sono anche qui, in Italia, specialmente a Milano, Genova e Roma, a fare banda, a scatenare guerriglia quando ne sentono il bisogno, quando l’onore viene offuscato e deriso. Perché così si comporta una banda, perché così fanno in ogni parte del mondo ove sono presenti, perché questo è il codice da seguire. I nomi che rieccheggiano nelle periferie metropolitane di Milano, nella notte, sono famosi: Latin Kings, Comando, Chicago, Maras 18, Mara Salvatrucha 13, Soldao Latinos, Vatos Locos, Neta e i nuovi entrati Trinitaria e New York. Le origini affondano radici in Ecuador, in El Salvador, in Perù, in Uruguay, a Portorico, nelle comunità centro e sud americane presenti negli USA. Oggi sono qui anche da noi e di solito non fanno molto notizia, sia perché operano nelle periferie più ghettizzate sia perché gli scontri, i pestaggi, le botte, avvengono quasi sempre fra di loro, senza coinvolgere gente comune. Certo, poi ci sono gli “errori”, come qualche mese fa, quando il gruppo MS 13 scambiò un normalissimo ragazzo sud americano per un appartenente alla Maras 18, e lo pestarono ferocemente fino a causargli la perdita di un occhio…
Ma chi sono i componenti di queste pandillas? Molti sono i sud americani, la maggioranza nati in Italia, seguiti da italiani e africani. Praticano forme di racket, atti vandalici, pestaggi, furti e rapine. Hanno una chiara gerarchia al loro interno, hanno un’identità comune, sfoggiano loro codici, loro colori nel vestiario, loro tatuaggi, marcano un territorio. Girando sulle metro di Milano non si possono non vedere. Musica rap, casse di birra su casse di birra, bombolette spry, vestiti hip-hop, bandane con i colori d’appartenenza. Si formano nei quartieri dormitorio, nelle periferie più buie, a scuola, provengono quasi tutti da situazioni di degrado, da famiglie problematiche, da quartieri difficili, da solitudini profonde. Emergono così facendo gruppo, facendo spalla contro spalla, si sentono realizzati, si sentono riconosciuti, si sentono forti all’interno della banda, non di rado sentono nella pandillas quella famiglia che non hanno mai avuto o che hanno avuto sfasciata. Ma c'è di più: questi giovani, sulla scia del linguaggio universale che propone la loro musica, il reaggeton, diffondono e credono in valori come giustizia, fratellanza, pace e amicizia. Combattono il razzismo che essi stessi subiscono.
Gruppi di certo complessi, oscillanti fra legalità e illegalità, giustizia e criminalità.
Andate, andate a fare un giro a Milano, in quella Milano che non è boutique firmate, che non è arte, che non è turismo. Venite tra i palazzoni di cemento gli uni vicino agli altri, venite all’ultima fermata della metro e del bus, venite nei quartieri duri lasciati al loro degrado. Lì troverete tutte queste pandillas, quiete nel loro caos giornaliero. E sperate solo che un giorno non decidano di dichiarare guerriglia verso il centro, verso il vostro quartire per bene, perché la battaglia sarebbe cruenta.

venerdì 8 maggio 2009

Cos'è accaduto alla Persia?

Teheran, la capitale dell’Iran, è una vivace metropoli soffocata dall’inquinamento, situata alle pendici dei Monti Elburz. Molti dei suoi edifici sono costruiti in mattoni chiari e circondati da cancellate di metallo. Qui sopravvivono ancora alcuni splendidi parchi di eredità persiana e dietro le mura dei palazzi fioriscono giardini privati con alberi da frutto e fontane, vasche per pesci e voliere. La lunga storia dell’Iran è costellata di guerre, invasioni e martiri. Ogni tragedia può essere ricondotta ad un’unica ragione: la posizione geografica. L’Iran è la terra d’incontro tra Occidente e Oriente, dove per 26 secoli i due emisferi si sono fusi attraverso commerci, scambi e scontri culturali. Nel frattempo la posizione strategica e la ricchezza del paese attirarono anche una lunga serie di invasori: l’Impero Persiano è stato fondato, distrutto e ricreato più volte, prima di scomparire definitivamente. Tra i vari conquistatori vi furono i Turchi, Gengis Khan e i Mongoli, ma soprattutto le tribù arabe che, infervorate dalla religione islamica, nel VII secolo sconfissero definitivamente l’Impero inaugurando un’età dell’oro musulmana. Da allora gli iraniani si sono sempre sforzati di distinguersi dal resto del mondo arabo e musulmano. Sulla mentalità degli iraniani sembra incombere un importante retaggio storico: i diritti dell’uomo e il concetto di libertà potrebbero essere nati non con gli antichi Greci ma in Iran, con Ciro il Grande. Egli fu l’artefice di quello che è stato definito il primo Impero tollerante dal punto di vista culturale-religioso, che arrivò a comprendere oltre 23 popoli diversi. Al suo apogeo la Persia fu considerata la prima superpotenza del mondo, comprendeva gli attuali stati di Iraq, Pakistan, Afghanistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turchia, Giordania, Cipro, Siria, Libano, Israele, Egitto e il Caucaso. Grande è oggi la voglia di tornare ad essere tali.
Poi arrivò il 1953, una data cruciale. In quell’anno venne destituito il primo ministro iraniano (Mohammad Mossadeq) da parte dell’Inghilterra e della CIA. Il primo ministro aveva posto fine alla presenza britannica in Iran con la nazionalizzazione dell’industria petrolifera. Inghilterra e CIA allora architettarono un colpo di stato destituendo il primo ministro e imponendo lo scià Mohammad Reza Pahlavi, con poteri assoluti. Quest’ultimo se da una parte magnificava Persepoli e Ciro il Grande, dall’altra portò costumi e interessi economici occidentali; e rese molto attiva la polizia segreta. Questa rapida occidentalizzazione e repressione cominciò a suscitare vaste polemiche fra gli iraniani, fino a giungere, alla fine degli anni ’70, alla rivoluzione di Khāmeneī. Il riemergere della religione fu sentito come un ritorno alla purezza. Certo, gli iraniani non potevano aspettarsi che l’Islam sarebbe stato imposto con tanto rigore (esplicito un precetto del Corano che dice “la religione non ammette costrizione”) , né si aspettavano che il clero assumesse il controllo dell’economia, dell’amministrazione pubblica, dei tribunali, delle attività quotidiane e che avrebbe introdotto punizioni di stampo medievale quale l’impiccagione, la lapidazione, il taglio degli arti. E, non da ultimo, la cancellazione di ciò che fu perisano per far risaltare ciò che è islamico. Oggi non sono pochi gli iraniani che sentono quanto sia orribile essere intrappolati nel proprio paese e che, ironia della sorte, riscoprono con gioia le origini persiane, i loro legami con ciò che fu la grande Persia.
Ma, nel frattempo, la repressione in questa nazione continua, in nome di una religione manipolata per piegarla a fini politici e di potere. L’ondata delle esecuzioni non si ferma e con essa quella delle restrizioni della libertà e dei diritti.

lunedì 27 aprile 2009

Lettera a me stessa

Questa volta vi porterò in un viaggio particolare. Niente viaggi esteri, niente viaggi nella società italiana…questa volta, forse la prima, il viaggio è in me. Oggi ho aperto l’album delle foto. Ne ho tante, molte di quando ero piccola; questa qua di fianco ne è un esempio. Guardo quelle foto e incomincio a parlare a me stessa, a quella bambina piccola piccola. Ma non capisco, non riesco proprio, non capisco perché non mi escono parole di gioia, di contentezza. Guardo la piccola Aly che ero, con le lacrime agli occhi, l’accarezzo, la prendo in braccio, le parlo… Aly, ora sei così piccola, così serena, senza problemi…passerai dei begli anni, spensierati, avventurosi, felici, il mondo ti sembrerà un luogo enorme e da scoprire…le delusioni ci saranno, certo, ma le passerai bene, tranquilla… Poi arriverà un giorno preciso, di un mese preciso, di un anno preciso, e tutto comincerà ad incrinarsi e non si sistemerà più…le incrinature aumenteranno e diverranno spaccature irreparabili…e soffrirai, molto…i sogni, i progetti, verranno presi, strappati e bruciati…alcune persone se ne andranno senza volerlo, altre per scelta in modo cinico ti volteranno le spalle…e cadrai ripetutamente per inseguire chi neanche se ne accorge e di certo non lo merita, per inseguire futuri preclusi…per inseguire ideali sotto un orizzonte di fuoco…e le ferite aumenteranno, diverranno sempre più profonde, incurabili…finchè anche il corpo cederà, quello stesso fisico che con divertimento facevi arrampicare sugli alberi, che hai portato su tante terre straniere…l’anima sempre più spesso urlerà il dolore, gli occhi saranno sempre più spesso fissati al cielo o su un punto qualunque dell’orizzonte…ma non saranno quelli d’un viaggiatore che non vede l’ora di ripartire, ma saranno quelli di chi fissa da dietro le sbarre… E mentre ti parlo, Aly, ti tengo in braccio addormentata, con la tua piccola mano che stringe la maglietta…e vorrei chiederti scusa se il mio futuro non è proprio come lo desideravi…e mi sento in colpa…e mi sento sempre più stanca Aly, sempre più disillusa…mi aggrappo alle persone a me care come un naufrago s’aggrappa disperato ad un salvagente, perché sono l’unica cosa che non mi fa andare a fondo… Sai Aly, la voglia di vivere a pieno, ogni secondo, quella non è passata, è rimasta una costante, solo il contesto è cambiato… Aly… Aly…se tu sapessi i dolori, le sofferenze…così profonde che le gioie s’eclissano…e il capire che siamo isole, che dobbiamo contare solo su noi stessi, finchè anche il noi stessi non ci tradisce…
Mi spiace Aly, mi spiace molto…

venerdì 24 aprile 2009

Festa della Liberazione

Il 25 Aprile 1945 l'Italia veniva liberata. I fascisti e i nazisti perdevano, i Partigiani e le forze dell'Alleanza vincevano. L'Italia tutta esultava per la vittoria. Il sangue di tutti i Partigiani caduti, di tutte le vittime preda dei rastrellamenti, di tutti i giovanissimi di 15, 16 anni morti per la Patria libera, non era stato vano. L'Italia vera aveva vinto. E qui la storia di una nazione diventa storia personale, storia di ricordi raccontati che la mia mente non potrà mai cancellare: mio nonno materno che esulatava dopo anni e anni in collegi statali per poveri a convivere con le bombe, la fame, la disciplina ferrea; i fratelli di mia nonna materna che se la ridevano dopo aver disertato le armate del Dux e per questo erano finiti in carcere a Milano. E la gioia generale di tutta la mia famiglia che di certo non rimpiangeva il fascio. E poi, permettetemi, un ricordo va al mio bisnonno materno, morto troppo giovane per vedere la Liberazione, morto per la malaria presa durante la campagna d'Africa e per gli stenti e la fame che la vita sotto il fascismo procurava.
Non posso che concludere gridando viva l'Italia liberata! Viva i Partigiani! Viva mio nonno e i miei zii!