mercoledì 14 luglio 2010

Dedica di un'amica

Voglio condividere con tutti voi un pensiero di Nelson Mandela, dedicatomi da una carissima amica, una big sister direi, che nonostante la distanza tanto sta facendo per me in questa difficile strada che sto percorrendo. Trovo che sia splendido (e azzeccatissimo per me).
Posso, vero Manu? ;)

"La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.
E' la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: " Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? "
In realtà chi sei tu per NON esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c'è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri."

mercoledì 23 giugno 2010

Balenando in burrasca ...

GABBIANI

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

(V.Cardarelli)

mercoledì 26 maggio 2010

E se la vita ti uccidesse?

Memento mori.
Ricordati che morirai.
Così dicevano i latini.
Se c’è una cosa certa in questa vita, è che prima o poi finisce. I motivi possono essere tanti e fra questi ce n’è uno che mi ha da sempre colpita. E che sta aumentando qui in Italia. Moltissimi gli studi, le analisi, ma il riusultato non cambia mai.
Sui caedere.
Ovvero quando la vita, per vari motivi, diventa un macigno insostenibile, quando il male di vivere s’impossessa di ogni parte del nostro corpo e della nostra mente. E così sui caedere, uccidiamo noi stessi. Ci suicidiamo.
Vai a scuola ogni giorno, e ogni giorno subisci le angherie di quei teppisti. Non riesci a reagire, non è da te mettere le mani addosso alla gente, e così la scuola diventa un incubo. Nessuno sembra vedere, tutti sembrano voltare la testa dall’altra parte. Non sei uno che parla tanto, i tuoi genitori non lo sanno e poi sono sempre indaffarati. Non hai amici con cui sfogarti. Ti convinci che sei un perdente. E ti convinci che tanto vale farla finita.
Avevi tutto ciò che desideravi: i figli, una moglie, una casa che pian piano stavi comprando, un impiego stabile. Poi nel mezzo della tua vita piomba quel licenziamento inaspettato. I conti in casa non tornano più, non ce la fai a finire di pagare il mutuo, le bollette ti stanno addosso, reclamano i loro soldi, la sera litighi in continuazione con te stesso, non puoi portare la tua famiglia al mare. Ti senti un fallito. Ti vergogni davanti ai tuoi figli… Loro che dovrebbero vederti come un esempio. Se tu non ci fossi più tutti i problemi sparirebbero, pensi. E sparire per sempre è così facile…
Il lavoro è precario, non riesci a raggiungere gli obiettivi che ti sei fissato. Però sei giovane, ti dicono, hai tutta la vita davanti. Ma tu non riesci a vederla. Hai dei bravi genitori, degli amici con cui passare le serate, ridi e scherzi con quella maschera che ti sei messo davanti. Ma dentro stai marcendo e neanche tu capisci il perché. Sei stanco, fai pensieri bui che rimangono blindati nella tua testa, ti senti inutile. Un’ultima serata con gli amici, un arrivederci, neanche la forza per scrivere due righe. Senti solo una stanchezza insopportabile. Guardi il ponte davanti a te e sai già cosa fare.
Potrei continuare all’infinito amici, questi viaggi hanno tante di quelle strade da non poterle catalogare… Tante, troppe le storie che parlano di dolori interni strazianti che portano tutti ad una stessa conclusione. Ultimamente, guardando qua e là, ne sto vedendo sempre di più.
Un tempo non li capivo. Pensavo ai malati terminali, a chi muore di fame nel mondo, a chi è stato ammazzato, al mio amico Mat inchiodato per sempre su quella sedia a rotelle con una malattia catalogata come “rarissima”, e trovavo sbagliato sui caedere.
Finchè ci sono passata. Finchè ho percorso intensamente quel viaggio nel sui caedere. Una vita traballante, una salute non ottimale, vari colpi alle gambe, e uno dei pochi punti fissi che un bel giorno mi dice bye bye; il colpo di grazia. Scoprire che non è vero che "tocchi il fondo". Il fondo non c'è. Puoi andare sempre più giù, all'infinito. Non so dire se ne sono uscita. Però ora sono più comprensiva nei loro confronti. Ora, forse, capisco.
Che altro dire amici? …
Mi permetto un consiglio, forse banale, forse stupido, ma ascoltatelo per favore: non fermatevi all’apparenza delle persone che conoscete, cercate di comprendere come realmente stanno. Delle vostre parole, dei vostri semplici gesti, potrebbero salvare una vita. E non penso sia poco.

martedì 18 maggio 2010

Ripartiamo con un miracolo

Care amiche e amici di blog,
è giunta l'ora di riprendere in mano la tastiera e ricominciare a scrivere. Non che le cose nella mia vita si siano sistemate, ma la voglia di raccontare è più forte. Così, non con poca fatica, mi sto rialzando e ritorno tra voi. Via avviso che per vari motivi non riuscirò ad essere molto costante nè con i miei post nè a commentarvi, ma farò del mio meglio.
Voglio ripartire con una storia vera, la storia di un amico accaduta circa due settimane fa.
Se avete un pò di tempo, ascoltatela.
Salvatore oggi ha una famiglia, è un padre felicemente sposato, con una casa che non è una reggia, ma è pur sempre di sua proprietà. La sua storia assomiglia a quella di tanti che come lui un giorno fecero le valige e dal Sud vennero al Nord in cerca di lavoro. Lui lo fece quando aveva 14 anni. Preparò la valigia, lasciò la sua Napoli dai mille volti, salutò i genitori, i fratelli, gli amici, e partì con quel treno che sapeva di nostalgia e povertà. Era ancora quella l'epoca dei cartelli "Non si affitta ai terroni". Non fu facile, ma Salvatore aveva voglia di fare, e non si arrese alle innumerevoli difficoltà che gli si pararono davanti. Non voleva la via più facile, troppe persone aveva visto a Napoli cadere nelle mani della mafia. Lui voleva un futuro diverso. Così, anno dopo anno, è riuscito a diventare muratore e a prendere anche varie specializzazioni.
Ma nel lavoro, si sa, gli incidenti sono dietro l'angolo, una lista infinita che grida nel silenzio dei media. Gli andò bene qualche anno fa: cadde da un'impalcatura, si fratturò varie ossa, ma si rimise in piedi.
Poi arrivò un giorno preciso di un mese preciso; due settimane fa, come vi dicevo.
Salvatore è in un grosso tubo, dall'alto gli calano cerchi di cemento da allineare e saldare. Tutto va normalmente. Poi dall'alto sente delle urla concitate. E' questione d'un secondo. Una valanga di terra lo sommerge. E' la morte, pensa, oggi è arrivata la fine. Riapre gli occhi. Non chiedetemi come, ma una sorta di bolla d'aria s'è creata intorno alla sua testa. A fatica, ma Salvatore, sotto quella terra, respira. I minuti diventano ore. Pensi che è questione di attimi, che morirai, eppure vorresti con tutte le tue forze vivere. Con uno sforso immane, con la mano e il polso fratturati, Salvatore alza un braccio nella terra: pensa, spera, che almeno così potranno trovarlo prima.
I suoi colleghi sono ai margini del grande tubo, e dall'alto lo chiamano a gran voce, ma si vede solo terra. C'è chi ha avvisato i soccorsi, chi pensa a come fare per tirarlo fuori di lì. Perchè non è semplice: della terra è in bilico e a saltare dentro si rischia di essere sommersi in qualunque momento. Ma in una manciata di minuti due colleghi fanno la loro scelta. Senza indugiare, saltano dentro e a mani nude inziano a scavare. Trovano la mano, ok, quello è il punto. A braccia, tirano fuori Salvatore. E' ammaccato, sotto choc, ma vivo.
Due angeli rumeni hanno salvato il mio amico.

martedì 4 maggio 2010

4 Maggio 1944

Ho pensato fosse doveroso rompere un attimo il mio silenzio per ricordare cosa accadde in Italia il 4 Maggio 1944: eccidio di Monte Sant'Angelo (AN), 63 italiani uccisi dai nazi-fascisti. Ricordiamo Palmira Mazzarini, che aveva solo 6 anni.
4 May 1944: slaughter Monte Sant'Angelo (AN), 63 Italians killed by the Nazi-Fascists.
Remember Palmira Mazzarini, 6 years.

sabato 24 aprile 2010

Care amiche e cari amici di Blog ...

Care amiche e cari amici di Blog,

v'informo che per un periodo che ad oggi non so ancora definire, non riuscirò nè ad aggiornare nè a commentare i vostri post.
Non sto passando un bel momento della mia vita e questo mi impedisce di essere una blogger a tutti gli effetti.
Vi chiedo scusa.
Intanto auguro a tutte/i voi un buon 25 Aprile e un buon 1 Maggio.

Con affetto

Aly

sabato 17 aprile 2010

I SUPPORT EMERGENCY

Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.
Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.
On Saturday, April 10, soldiers of the Afghan army and the International Coalition Forces attacked the Emergency Surgical Centre of Lashkar-gah and arrested members of the national and international staff. Three of them are Italian citizens: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.
EMERGENCY is an independent and neutral organisation. Since 1999, EMERGENCY in Afghanistan has provided medical assistance free-of-charge to over 2,500,000 Afghan citizens, by establishing three surgical hospitals, a maternity centre and a network of 28 first aid posts.

giovedì 8 aprile 2010

Dear Rashid...

Dear Rashid,
thank you very much for your letter sent to me, I was really glad to hear you. But, sorry, I should stop your desire to come and find me.
No, not come Rashid, you do not come to Italy.
Italy has become an inhospitable country, and with her many Italians.
... ... ... ...
Caro Rashid,
ti ringrazio molto per la lettera speditami, mi ha fatto veramente piacere sentirti. Però mi spiace dover bloccare la tua gioiosa volontà di venirmi a trovare.
No, non venire Rashid, non venire in Italia.
L’Italia è diventata un paese inospitale, e con lei molti italiani.
Guarderebbero subito la tua pelle, vedrebbero che è scura, e ti darebbero certe occhiatacce, farfuglierebbero commenti razzisti, ti insulterebbero, magari ti metterebbero anche le mani addosso. Questo solitamente nell’indifferenza dei passanti. Se poi sentissero il tuo nome penserebbero “Ecco! L’ennesimo immigrato clandestino musulmano!”. E poco importa se tu sei protestante, loro penserebbero così. Lo so, Rashid, a cosa stai pensando. Tu hai passaporto statunitense, tu non sei clandestino. I tuoi nonni si trasferirono dalla Nigeria negli USA e tu nascesti lì. Tu non sei povero, non hai bisogno d’entrare illegalmente da nessuna parte. Ma loro non capiscono, loro non vogliono capire. Potresti parlar loro per ore, e ridirebbero le stesse frasi, magari dandoti del bugiardo. Ti sentiresti offeso e deluso amico mio. Tu, tu che sei laureato col massimo dei voti, tu che parli cinque lingue, tu che lavori addirittura alla NASA. Ma a loro non fregherebbe nulla. La loro ignoranza la sfoggiano come un premio. E sai che pena a vederli… Loro che fino a qualche tempo fa scappavano da questa Italia con le pezze al culo e le valige tenute insieme dallo spago, loro che lavoravano come muli senza diritti, che si ubriacavano al primo bar per non pensare al domani. Ma loro hanno dimenticato Rashid. Oggi si vantano di poche cose materiali che posseggono e scaricano ogni problema sugli immigrati. O su chi ritengono “diverso” da loro. Hanno una capicità di ragionamento pari a zero, devi fare discorsi semplici semplici e basilari con loro, se no non capiscono. Però pensano di saperla lunga.
Potresti umiliari con poche parole. Ma a che ti gioverebbe amico? Non capirebbero lo stesso.
Scusami Rashid, lo faccio per te, e forse un po’ anche per me, perché non voglio che tu veda con chi sono costretta a coabitare.
Un giorno forse verranno tempi migliori.
Per ora però visita altri luoghi, altre nazioni. Da altre parti non è molto diverso che da qui, ma preferisco che tu non venga. Ci vedremo da un’altra parte Rashid. Ma non qui.
Non venire qui in Italia.

lunedì 15 marzo 2010

Quanto mi manchi Gramsci?

Vogliate scusarmi se questo post sarà diverso dagli altri.
In questo post vi porterò a fare un viaggio. Sì, un viaggio nella mia incazzatura personale. E magari non ve ne può fregare nulla. Ma chissà se qualcuno di voi s’è mai sentito come mi sento io in questi giorni.
Voglio iniziare con una frase di Gramsci: “Odio gli indifferenti. (…) Mi da noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto.”
Mi sono sempre messa in gioco, ho sempre preso le mie responsabilità, e ho anche pagato sulla mia pelle per questo. Ho avuto una vita non parassitaria, non abulica, ho sempre pensato che fare scelte era non giusto ma doveroso per una buona persona, per un buon cittadino. Ho lottato non per il mio piccolo giardino ma per la foresta di tutti. E l’ho sempre fatto senza sbandierare nulla, senza proclami, semplicemente perché mi sembrava la cosa giusta da fare. Certo, ho visto quelli che stavano alla finestra senza muovere un dito, e che muovevano il dito solo per evidenziare un tuo errore, ho visto quelli che cavalcavano la moda del momento per farsi fasulli paladini della giustizia, sulla strada che noi avevamo già spianato. Ma ho tenuto la calma, ho cercato di non farci caso. Ma qualcosa stava iniziando a incrinarsi. E allora ho afferrato un martello e con un colpo secco ho spaccato qualcosa dentro di me; così la rabbia è uscita e qui, con voi, la condivido. Mai furono più vere le parole di Gramsci che scrisse quell’11 Febbraio del 1917! Ci siamo (perché ovviamente non sono l’unica) sbattuti per una società migliore, per un mondo migliore, nel nostro piccolo, nel grande, nelle possibilità che ognuno di noi aveva; certo che abbiamo anche sbagliato! E chi lo nega? Ma solo chi si rimbocca le maniche sbaglia. Vi odiamo, dal profondo, voi che vivete immersi nella superficialità, nel menefreghismo, nel vostro stramaledetto egoismo, che non vi fa vedere al di là del vostro naso. Tanto carini e dolci con voi stessi e magari con le persone più care, ma totalmente indifferenti della società che vi circonda. Ignoranti in modo abissale nel non capire che il vostro misero benessere non è un regalo, ma una conquista fatta di sudore e sangue. Eppure sempre pronti a lamentarvi, sempre, sempre, con finto animo puro e angelico, puntando sempre il dito per un “tua culpa”, e non alzando mai un dito per fare qualcosa. E poi voi, voi! Arrivisti dell’ultimo momento, pronti ad issare la bandiera quando quel diritto noi ve lo abbiamo potuto dare dopo lotte e battaglie. I cadaveri per terra sono nostri, non vostri. Voi eravate persi in qualche salotto buono a bere il thè, a seguire l’ultima telenovela…ad armare il nemico… Poi d’un tratto vi siete svegliati e vi siete sentiti eroi e paladini, e via ad arruolare ingenui che si sono fatti abbagliare dalle vostre vuote parole. Voi, che vi siete lasciati così abbagliare…come avete potuto? Va bene che forse eravate arrabbiati, disillusi, ma farvi prendere così in giro…che delusione, che brutto spettacolo di voi state dando in questo squarcio d’epoca. E, mi spiace, io non mi sento vicina a voi, anche se la logica potrebbe dire di sì, come diceva Gramsci “E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.”
Vivo, sono partigiana. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

martedì 2 marzo 2010

Terremoto Chile

Seguimos a cavar a través de los escombros en Concepción, donde un toque de queda ha sido declarado en contra de la depredación.
Gobierno: "Las víctimas aumentará". Llamado a la ayuda internacional de la ONU.

Chile, de setecientos muertos y dos millones de desplazados. Declaró el estado de desastres excepcionales.

Aumentan despliegue militar en Chile ante saqueos tras sismo.

Los masivos saqueos en bodegas, centros comerciales y urbanizaciones continúan este lunes ante la inminente desesperación de los ciudadanos por el desabastecimiento de alimentos y agua potable.

A 6 mil 500 aumentó este lunes el número de militares que se desplegarán en las regiones del sur de Chile con el fin de frenar los saqueos producidos por la falta de ayuda hacia los miles de damnificados que dejó el terremoto de magnitud 8,8 que azotó a la nación el sábado.
La operación se une al decreto que amplía hasta dieciséis horas el toque de queda para la noche en la provincia de Concepción (centro). Desde las 20H00 locales (23H00 GMT) hasta las 12H00 (15H00 GMT). En esa zona se produjo un incendio provocado de uno de los más grandes almacenes y de un supermercado, lo que provocó el derrumbe de ambas edificaciones.
El despliegue militar consta de 13 aviones, 24 helicópteros y un número indeterminado de hospitales de campaña.
Bachelet adelantó que el ministro de Defensa, Francisco Vidal, viajará en los próximos días a la zona.
Los masivos saqueos en bodegas, centros comerciales y urbanizaciones continúan este lunes ante la inminente desesperación de los ciudadanos por el desabastecimiento de alimentos y agua potable.
El corresponsal de teleSUR en Chile, Alejandro Kirk reportó que las personas han saqueado unas bodegas que quedaron sumergidas tras el tsunami que se produjo en Concepción luego del terremoto de este sábado. "Vimos gente sumergidas nadando con alimentos", dijo.
Asimismo, señaló que existe una falta de presencia militar y de la Policía de Los Carabineros lo que podría generar una posible falta de control.
Por otro lado, Kirk indicó que el problema sanitario ha comenzado a hacerse presente en Concepción por la falta de agua.
Unas dos millones de personas han quedado damnificadas como consecuencia del desastre natural, por lo que la mandataria chilena, Michelle Bachelet, anunció un plan de ayuda para los afectados. Igualmente, declaró zona en estado de catástrofe a las dos regiones antes mencionadas.
Unas 1,5 millones de viviendas resultaron dañadas y medio millón de ellas quedaron en estado inservible.
El sismo de 8,8 de magnitud que azotó territorio chileno el sábado ha dejado hasta este lunes en la noche, según cifras oficiales, 795 muertos.
Extracto: TeleSUR

mercoledì 17 febbraio 2010

Pandillas

Visto quello che è successo in questi giorni a Milano, in Via Padova, ma che in verità accade in quasi tutta la periferia di Milano (per essere precisi da quella parte tra viale Monza e via Padova, delimitata da piazzale Loreto da una parte, e dai ponti ferroviari, dall’altra) e non solo Milano ma anche in altre città italiane e straniere, riporto un post che scrissi tempo fa. Non analizzavo tutta l'immigrazione in Italia, ma mi ero concentrata sui giovani sud americani che formano le pandillas. L'abbandono delle periferie, la non integrazione dovuta anche ai tagli terribili abbattutisi sulla scuola pubblica, l'assenza di spazi sociali e culturali che, anzi, finiscono nel mirino del Comune, il totale non-investimento in queste realtà... dove poi diventa facile abbandonarsi alla delinquenza, e dove giovani vite vengono segnate per sempre... come in quelle canzoni di Tupac e di Eminem... forse la 8 Mile e il Bronx non sono poi così distanti...

Gruppi che si muovono silenziosi e rumorosi al contempo, nelle periferie, lontani dai centri più “in” di Milano. Sono in banda, sono tanti, sono giovani e giovanissimi. I giornali ne parlano poco, ancor meno le tv. Eppure chi abita dove loro si ritrovano, dove loro agiscono, sanno bene che non sono fantasmi né leggende metropolitane, ma sono una costante assai presente. Lorenteggio, Giambellino, Crescensago, Stazione Lambrate, Stazione Centrale: sono solo alcuni dei luoghi da loro più frequentati. I nomi delle loro bande evocano film, evocano una realtà che è ben presente in centro e sud america ed anche negli States. Ma oggi sono anche qui, in Italia, specialmente a Milano, Genova e Roma, a fare banda, a scatenare guerriglia quando ne sentono il bisogno, quando l’onore viene offuscato e deriso. Perché così si comporta una banda, perché così fanno in ogni parte del mondo ove sono presenti, perché questo è il codice da seguire. I nomi che rieccheggiano nelle periferie metropolitane di Milano, nella notte, sono famosi: Latin Kings, Comando, Chicago, Maras 18, Mara Salvatrucha 13, Soldao Latinos, Vatos Locos, Neta e i nuovi entrati Trinitaria e New York. Le origini affondano radici in Ecuador, in El Salvador, in Perù, in Uruguay, a Portorico, nelle comunità centro e sud americane presenti negli USA. Oggi sono qui anche da noi e di solito non fanno molto notizia, sia perché operano nelle periferie più ghettizzate sia perché gli scontri, i pestaggi, le botte, avvengono quasi sempre fra di loro, senza coinvolgere gente comune. Certo, poi ci sono gli “errori”, come qualche mese fa, quando il gruppo MS 13 scambiò un normalissimo ragazzo sud americano per un appartenente alla Maras 18, e lo pestarono ferocemente fino a causargli la perdita di un occhio…
Ma chi sono i componenti di queste pandillas? Molti sono i sud americani, la maggioranza nati in Italia, seguiti da italiani e africani. Praticano forme di racket, atti vandalici, pestaggi, furti e rapine. Hanno una chiara gerarchia al loro interno, hanno un’identità comune, sfoggiano loro codici, loro colori nel vestiario, loro tatuaggi, marcano un territorio. Girando sulle metro di Milano non si possono non vedere. Musica rap, casse di birra su casse di birra, bombolette spry, vestiti hip-hop, bandane con i colori d’appartenenza. Si formano nei quartieri dormitorio, nelle periferie più buie, a scuola, provengono quasi tutti da situazioni di degrado, da famiglie problematiche, da quartieri difficili, da solitudini profonde. Emergono così facendo gruppo, facendo spalla contro spalla, si sentono realizzati, si sentono riconosciuti, si sentono forti all’interno della banda, non di rado sentono nella pandillas quella famiglia che non hanno mai avuto o che hanno avuto sfasciata. Ma c'è di più: questi giovani, sulla scia del linguaggio universale che propone la loro musica, il reaggeton, diffondono e credono in valori come giustizia, fratellanza, pace e amicizia. Combattono il razzismo che essi stessi subiscono.
Gruppi di certo complessi, oscillanti fra legalità e illegalità, giustizia e criminalità.
Andate, andate a fare un giro a Milano, in quella Milano che non è boutique firmate, che non è arte, che non è turismo. Venite tra i palazzoni di cemento gli uni vicino agli altri, venite all’ultima fermata della metro e del bus, venite nei quartieri duri lasciati al loro degrado. Lì troverete tutte queste pandillas, quiete nel loro caos giornaliero. E sperate solo che un giorno non decidano di dichiarare guerriglia verso il centro, verso il vostro quartire per bene, perché la battaglia sarebbe cruenta.