venerdì 13 febbraio 2009

Vi racconto di Claude... - 1 parte

Sono a cena a casa di amici. La serata è piacevole, sui fornelli numerose pentole annunciano pietanze speciali, la musica si diffonde in tono non troppo alto dallo stereo, l’ambiente è confortevole e rilassante. La tavola è apparecchiata per cinque. Mi annunciano che ci sarà un ospite che non conosco, un loro amico, congolese, un ragazzo molto simpatico. Si chiama Claude. Quando “l’ospite” entra dalla porta ci presentiamo: è giovane, gli occhi grandi, i capelli corti e neri, un sorriso bianchissimo e timido, la pelle scura.
Manca ancora un po’ prima che il tutto sia pronto così, scoperto che Claude parla francese, iniziamo a discorrere: io da una parte rispolvero una lingua che se no rischio di non usare mai e dell’altra lui è ben felice di parlare la sua lingua madre. Ma non discutiamo delle solite cose. In quella cucina tutti sanno, tranne me. M’incuriosisco e ho voglia di capire. Così, con una naturalezza infinita, Claude mi parla di sé.
Claude è nato nella Repubblica Democratica del Congo, in una città normale, da una famiglia normale e ha sempre condotto una vita normale: i genitori erano abbastanza benestanti e gestivano un negozio, lui e i fratelli andavano a scuola dove veniva loro insegnato il francese e l’inglese (in famiglia si parlava una sorta di dialetto, mi specifica). Aveva sempre vissuto in quella città, moderna, come una qualunque città occidentale. La vita scorreva normalissima come scorre qui da noi.
Finchè le crepe già presenti da qualche anno in quella nazione, diventarono vere e proprie rotture: arrivò, arrivò la guerra civile.
I genitori di Claude capiscono subito, capiscono che la situazione diverrà infuocata. Guardano i loro figli: Claude, il più giovane, deve avere almeno una possibilità. Se resta tre i pericoli maggiori: essere forzatamente arruolato nell’esercito “regolare” o essere forzatamente arruolato nelle file dei ribelli. O morire.
I genitori si consultano, fanno la loro scelta. Raccolgono i risparmi, glieli danno. Lo portano da una persona di fiducia, da una sorta di “tassista” che invece dell’auto ha la bicicletta.
“Lui mi doveva portare fuori dal Congo” dice con voce pacata Claude, seduto davanti a me, con gli occhi che sembrano vedere immagini lontane. Il padre glielo affida, lo paga, lo rimette nelle sue mani. Claude comprende fin troppo bene, è intelligente, è sveglio, comprende quello che sta accadendo. Così, in pochi giorni, Claude deve dire addio: ai genitori, ai fratelli, ai parenti, agli amici, alla sua casa, ad una vita normale di un qualunque ragazzino di 14 anni. Istintivamente mi domando io come avrei reagito. “Raggiungere la Libia o la Tunisia” continua calmo Claude “Mio padre me lo ripetè più volte, dovevo arrivare in Europa e chiedere asilo politico, asilo politico”. Ripete la parola come se si immedesimasse in suo padre. A soli 14 anni Claude dice addio alla sua solita vita.
Mentre mi parla e il mio stomaco si fa granito, lui sembra sereno, ma gli occhi racchiudono uno stato che descrivere è difficile: accettazione, sofferenza, speranza, rabbia…
Claude saluta, saluta sapendo che chi lì rimane avrà poche probabilità di sopravvivere. Saluta tanto, prima di voltare le spalle, salire sulla bici e fissare la strada che lo porterà lontano.
Il viaggio nel Congo è unico: mi parla di foreste fittissime in cui muoversi per evitare la strade battute dai miliziani, di notti all’aperto sotto volte stellate infinite e un buio pesto. Poi, ogni tanto, lucine di fuochi di popoli tribali che li accoglievano senza problemi: “L’ospitalità per loro è sacra” mi dice ridacchiando. Scopre un Congo che neanche lui, congolese, conosceva.
Poi, Claude arriva al confine…
La mia amica ci annuncia che la cena è pronta. Tutti ci prepariamo alla gustosa cena.
“Continuiamo dopo?” chiedo a Claude con gran curiosità.
Mi fa di sì con la testa, abbozzando un sorriso da bambino. L’osservo, l’osservo in in quei suoi modi di fare discreti e timidi, e cerco di andare oltre le sue parole, cerco d’immaginare cosa deve aver provato. Perché non si fa compatire Claude, durante il racconto non parla di sofferenza, di tristezza…è riservato, è imbarazzato. Ma non è un blocco di ghiaccio, anzi, tutt’altro.
Mi chiedo incessantemente cosa si prova ad avere 14 anni e lasciare tutto per il nulla.
Penso a quelli come lui. Penso a chi si fa in quattro per aiutarli. Penso a chi li offende e li disprezza. Ma smetto di pensare, cerco di godermi la serata e attendo con ansia il continuo della sua storia, della vita di Claude.

domenica 1 febbraio 2009

L'infanzia negata

Questa settimana su Italia 1, al mattino presto, inizierà un cartone animato dal titolo un po’ poetico “Spicchi di cielo tra baffi di fumo” (Romio no aoi sora). L’anime fu prodotto nel 1995 dalla Nippon Animation.
Perché dovrei parlarvi di questo cartone? Perché spendere un post a dedicargli spazio?
Perché questo non è un cartone animato. Questo non è un semplice anime, non è né banale, né divertente, né fantasioso, né irreale. Questo è serio. Questo è pesante se sapete guardare oltre. Questo tratta una tematica drammatica e intrisa di sofferenza.
Il cartone fu tratto da un romanzo della svizzera Lisa Tetzner, “I Fratelli Neri” (Die Schwarzen Brüder), scritto nel 1941. Il romanzo fu in realtà scritto dal marito Kurt ma in quanto rifugiato politico in Svizzera gli era imposto il divieto di pubblicazione. Il libro racconta la vera storia dei ragazzi ticinesi che, ancora a metà del XIX secolo, venivano venduti/affittati a loschi personaggi che li portavano a Milano per lavorare come spazzacamini. Nello specifico il romanzo è ambientato nel 1839 e viene narrato il destino di Giorgio, un quattordicenne originario della Valle Verzasca venduto dal padre a un uomo senza scrupoli che lo porta a Milano a lavorare come spazzacamino. Il ragazzo condivide il viaggio verso il suo triste destino con altri bambini tra cui Alfredo, che diventa suo amico. A Milano, Giorgio e Alfredo vengono rivenduti a due differenti mastri spazzacamini. Sfruttati e costretti a subire ogni sorta di soprusi, i due giovani si riscattano grazie all'incontro e alla solidarietà con altri spazzacamini, riuniti attorno alla società segreta de "I Fratelli Neri". Nel 2007 fu composto anche un musical.
L’anime si rifà a grandi linee a questa trama. Attuale come non mai la tematica dei vari scontri tra il gruppo de “I Fratelli Neri”, composto dagli spazzacamini immigrati, e “I Lupi”, banda di altrettanti bambini-ragazzini milanesi poveri e semi-delinquenti.
La realtà degli spazzicamini era una realtà dura, molte volte letale. Spinte dalle ristrettezze, molte famiglie vendevano per pochi soldi i propri figli a inquietanti personaggi che li portavano nelle grandi città del nord Italia (ma anche a Parigi e Rotterdam) e li costringevano a lavorare come spazzacamini. Venduti per mesi e a volte anche per anni, questi ragazzini tra i 6 e i 16 anni vivevano in condizioni di vera schiavitù. Senza protezione, minacciati, sfruttati e anche malnutriti perché i loro padroni temevano che se si irrobustivano non sarebbero più riusciti ad entrare nel camino; spesso questi bambini finivano col perdere la vita: tubercolosi, asma, bronchiti croniche, polmonite, affaticamento cardiaco, silicosi. Un'odissea infantile, che colpì in generale tutto l'arco alpino ma raggiunse dimensioni impressionanti nelle valli del Verbano (Verzasca, Centovalli, Vallemaggia, Vigezzo e Cannobina). I primi spazzacamini in assoluto furono i Vigezzini, che troviamo in giro per l’Europa nella prima metà del 1500. Determinante fu sempre stato in questo mestiere l’apporto dei bambini i quali, con la loro esile statura, riuscivano ad infilarsi sulle cappe e ad assicurare con la raspa e lo scopino, che maneggiavano al buio, a tentoni, avendo il capo avvolto dalla “caparüza”, berretto privo delle aperture per gli occhi, un lavoro particolarmente accurato. Per mesi poi i bambini restavano senza potersi lavare, perchè più erano sporchi e più davano l'impressione di essere diligenti. Immaginate poi la paura del buio, la claustrofobia, i maltrattamenti, le ferite e le sbucciature non curate, la fuliggine sulla pelle e nei polmoni per mesi…
All'inizio del '900 erano diventate popolari le cartoline e i calendari con foto patetiche del bambino nero con la sua raspa e i vestiti laceri. Le mamme di città additavano i piccoli valligiani ai loro figli per richiamarli alla disciplina: se non facevano i bravi, li avrebbero fatti portar via «dall'uomo nero». Il fenomeno dei piccoli «rüsca» terminò da solo, tra il 1940 e il 1950, con la scomparsa dei caminetti, sostituiti dalle stufe e dai moderni sistemi di riscaldamento.
Magari provate a guardare qualche puntata di questo anime, le trovate anche su You Tube. Provate a mettervi nei panni dei bambini che vedete, pensate alla vostra infanzia e a quella di questi bambini. Provate a pensare che quello che state vedendo non è un cartone, ma è stata realtà.

giovedì 22 gennaio 2009

Mosh

La canzone che vi riporto tradotta qui sotto è di uno dei miei rapper preferiti, ovvero Eminem, dal titolo "Mosh". Trovo che il significato del testo sia stupendo, profondo e ribelle. Questo bel rap vuole essere una sorta di mio personale "bye bye" al signor W. Bush, ma anche un provocatorio "welcome" al signor Barack Obama, insediatosi da poco alla White House. E, perchè no, ritengo che questo duro rap possa essere dedicato a molti personaggi, presidenti e politici di varie nazioni.

MOSH
Io giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America e alla Repubblica, che significa.../Gente!/...Un’unica nazione, sotto Dio, indivisibile.../E' così bello essere tornati!/...Con libertà e giustizia per tutti.../Ora marciate insieme a me!
Controlli ogni parola che dico,/Memorizzi ogni rigo che butto fuori di getto, /Ricarichi, prendi energia e riavvolgi./Io dono la vista al cieco, /Il mio intuito attraverso la mente./Esercito il mio diritto /di espressione quando sento che è ora./È tutto nella tua testa./Come interpreti il fatto che/quando io dico di combattere tu intendi/ “Spaccherò il culo a qualcuno”?/Se non capisci, non avere timore/di chiedere spiegazioni./Sono un padre/ che è cresciuto senza padre/Che è esploso ora /Come un fenomeno del rap/ Non ho, o almeno non dimostro,/Difficoltà nell'affrontare le prove serie/E giocare di prestigio allo stesso tempo./Ho affinato le mie qualità d'imprenditore,/Ho contribuito a lanciare qualche nuovo rapper./Ho dovuto affronatre molti ostacoli/Durante l’ultima metà della mia carriera: /Sono le classiche "merdate"./Ho siperato il momento in cui/ero il Signor "Baciami-Il-Culo"./Ora faccio show di classe./Sono come "l’Uomo Elastico"/torno sempre indietro
Venite, seguitemi, /Perché io vi guido attraverso l’oscurità/Perché io vi offro abbastanza luce per poter procedere/Proseguite, datemi speranza, /Datemi forza, venite con me e non vi guiderò in modo sbagliato/Datemi la vostra fede e la vostra fiducia /Perché io guido tutti noi attraverso la nebbia/Verso la luce alla fine del tunnel/Lotteremo, caricheremo, /Cammineremo, /Marceremo attraverso il fango, passeremo attraverso la palude/Condurrò tutti noi dritto attraverso le porte /Andiamo!
Tutti i ricchi, /I poveri e quelli che stanno nel mezzo/Venite tutti insieme, /Raccoglietevi, accalcatevi/Lasciate che si costruisca dall’inizio alla fine./Tutto quello che puoi vedere è un oceano di uomini, /Alcuni bianchi, alcuni neri/Non importa il colore/Tutto ciò che importa è che/Siamo riuniti qui insieme/Per celebrare la stessa causa./Non importa come sia il tempo/Se piove lasciate che piova, /Si, più è bagnato meglio è/Loro non ci fermeranno, non possono,/Noi ora siamo più forti che mai/Loro ci dicono: No! Noi diciamo: Si! /Loro ci dicono: Basta! Noi diciamo: Avanti!/Ribelliamoci con un grido di rivolta, / Scateniamo l’inferno, gliela faremo vedere/Camminiamo, spingiamo, /Cacciamo, distruggiamo, / Gridate “Fanculo Bush!”/Finchè non riporteranno le nostre truppe a casa
Venite, seguitemi…
Immagina che piova e dirotto, /Che piova proprio su di noi/Mentre ci ripariamo nelle trincee/Fuori della Stanza Ovale/Qualcuno sta tentando di dirci qualcosa/Forse è Dio che ci dice solo /Che siamo responsabiliPer questo mostro, /Questo codardo a cui abbiamo dato il potere/Lui è il vero Bin Laden!/Guarda la sua testa china in avanti./Come potremmo permettere /Una cosa come questa/Senza agitare i pugni/Adesso è/Questa per noi l’ora decisiva/Lasciatemi essere la voce /E la vostra forza e la vostra scelta/Lasciatemi semplificare la rima /Giusto per amplificare il rumore/Cerco di amplificarlo, di eseguirlo a tempo, /E moltiplicarlo per sedici milioni di persone tutte uguali /A un volume così alto/Che forse possiamo raggiungere Al’ Qaeda /Attraverso la mia voce/Lascia che il presidente affronti da solo /Un’estrema anarchia/Dategli un AK-47,/Lascialo andare a combattere la sua guerra personale/In modo che possa impressionare suo padre/Non più sangue per il petrolio, /Noi abbiamo già le nostre battaglie /Da combattere nel nostro paese/Niente più guerra psicologica, /Per ingannarci a pensare che non siamo leali/Se non serviamo il nostro paese. /Stiamo patrocinando un eroe/Ma guarda nei suoi occhi: sono tutte bugie/Le stelle e le strisce /Sono state rubate, / Lavate via e asciugate /E sostituite con la sua stessa faccia, /Decidi se ribellarti oppure morire/Se questa notte verrò ucciso saprai il motivo/Perché ti ho detto di lottare!
Venite, seguitemi…
E se dovessero chiedrci il motivo/Per cui tentiamo di fa cessare/L’operazione “Tempesta nel Deserto”/ Dichiarandone ufficialmente la chiusura/Diremo loro che vogliamo fare la differenza/Perché noi mettiamo da parte le nostre differenze /E assembliamo il nostro esercito personale/Per disarmare quest’Arma di Distruzione di Massa /Che noi chiamiamo il nostro Presidente/Lo faremo per la generazione di oggi/E la generazione che verrà in futuro/Per parlare ed essere ascoltati/Signor Presidente! Signor Senatore!/Ci state ascoltando?!

mercoledì 21 gennaio 2009

Premio Dardos

E' con gratitudine che ricevo dall'amico di blog LuCa il premio Dardos, riconoscimento che viene consegnato ai blogger che hanno dimostrato impegno nel trasmettere valori culturali, etici, letterari o personali.

Il regolamento prevede che quando si accetta (ovviamente non si è obbligati) il premio si deve comunicare il regolamento, visualizzare il logo del premio, linkare il blog che ci ha premiato e premiare altri 15 blog meritevoli, avvisandoli .

Obiettivamente per me premiare 15 blog è troppo, quindi decido di conferirlo ad un solo blog, che penso incarni in pieno il valore di questo premio. Ovvero:

- Lo SpaziAle

domenica 11 gennaio 2009

L'odio delle nuove generazioni

Vorrei che guardaste per qualche secondo queste immagini. Soffermatevi un attimo, lasciate che la vostra mente pensi, rifletta.









Forse il governo d’Israele מדינת ישראל non riesce o non vuole capire un concetto molto semplice ed elementare, sostenuto anche dalla storia del passato. Se porti la fame, la disperazione, il lutto, se non fai passare i medicinali, se distruggi tutto, cosa pensi resti alla maggioranza del popolo palestinese? L’odio. Come scrive il palestinese Raed Debie su Peace Reporter Cosa vi aspettate da bambini che crescono sotto i missili e i bombardamenti israeliani? Cosa vi aspettate da bambini come Dalal Abu Aishy, a cui un razzo israeliano ha rubato tutta la famiglia? (…) Qualsiasi sondaggio renderà manifesto l'odio verso Israele nel mondo arabo, e mostrerà anche la dimensione del consenso verso Hamas. Questa è la più grande minaccia che Israele si trova a fronteggiare: l'estremismo delle prossime generazioni di oppressi. C'è un proverbio arabo che dice "se semini sangue non cresceranno rose". "Seminare" missili non porterà sicurezza e la "coltivazione" di barriere non produrrà pace. La comunità internazionale dovrebbe tornare a guardare alla sostanza e comprendere la storia dei bambini della Palestina فلسطين, quando in futuro diventeranno adulti”. Prima di lui questo concetto fu espresso da un certo Publio Cornelio Tacito che scrisse “Metus ac terror sunt infirma vincla caritatis; quae ubi removeris, qui timere desierint, odisse incipient". (La paura e il terrore sono fiacchi vincoli d’affetto; quando li avrai spezzati, coloro che avranno cessato di temere, cominceranno ad odiare). Se togli tutto, rimarrà solo l’odio. Che verrà coltivato, con cura, anno dopo anno, dolore dopo dolore; e non si dovranno rapire i bambini, come sta accadendo nelle guerre in vari stati dell’Africa, no, qui è più simile allo Sri Lanka, dove i ragazzini Tamil vanno spontaneamente con le Tigri, o come i guerriglieri ragazzini Karen della Birmania. Perché se ti hanno portato via tutto, se vivi nella miseria, è facile imparare ad odiare e sei tu stesso che vuoi combattere.
Così avviene ed avverrà nella Striscia di Gaza.
Poi si troveranno sempre persone estremiste di natura e di convinzione che su questa cosa ci campano, e allora fare un lavaggio del cervello ai ragazzini della Striscia sarà molto semplice, insegnar loro ad odiare ancora di più, ad odiore tutto il popolo d’Israele, tutta l’America, tutto ciò che non è islamico, sarà troppo semplice.
Governo d’Israele, possibile che non capisci tutto questo? Non capisci che più rifiuterai il dialogo più l’estremismo avanzerà? E sarà sempre più difficile mettersi ad un tavolo a parlare…
E poi le manifestazioni aumentano, a dismisura,
anche se l’Arabia Saudita e l’Egitto per ora stanno abbastanza in silenzio, dalle altre parti tutti gli islamici solidarizzano con i palestinesi. E io li ammiro, ammiro questa loro coesione, questo loro senso di fratellanza; sapete perché? Perché anch’io, che non sono islamica, solidarizzo in questo momento con i palestinesei, ma solidarizzo anche con i fratelli cristiani dell’Orissa उड़ीसा, che stanno venendo massacrati dagli estremisti indù nel silenzio non solo del governo indiano ma anche del mondo. E provo invidia verso la solidarietà degli islamici, che non vedo invece nei miei cari fratelli cristiani.

I bambini, i ragazzini soldato mi fanno una grande tristezza, perché non hanno infanzia nè futuro, e perché l’odio, purtroppo, ti cancella tanti di quei sentimenti che varrebbe la pena avere. Sì, anch’io mi faccio la stessa domanda di Raed Debie e mio malgrado vedo la sua stessa, identica risposta.

giovedì 8 gennaio 2009

Premio Kreativ Blogger

Ammetto che è con piacevole stupore che ricevo da Andrew il premio Kreativ Blogger, premio assegnato ai blog che si sono distinti per il modo esauriente e personale in cui trattano le notizie.
Che dire Andrew, non me l'aspettavo ^^ e ti ringrazio molto.

Il regolamento del premio è quello di scrivere un post, citando il nome di chi ti ha assegnato il premio e il link del suo blog e premiare un minimo di 7 blog (o anche più) se credi siano
meritevoli.

Ora tocca a me...visto il tema del premio, 7 blog per me sono un pò tanti anche perchè non ho una lista "amici" lunghissima, mi limiterò quindi a 5; ma questi 5 se lo meritano in pieno!
Il premio lo assegno (in ordine alfabetico) ai seguenti blog amici:

venerdì 2 gennaio 2009

50 aniversario del triunfo de la Revolución

Discurso pronunciado por el Presidente de los Consejos de Estado y de Ministros de la República de Cuba, General de Ejército Raúl Castro Ruz, en el acto por el aniversario 50 del triunfo de la Revolución, efectuado en Santiago de Cuba, el 1ro. de enero de 2009, “Año del 50 aniversario del triunfo de la Revolución”
Santiagueras y santiagueros;
Orientales;
Combatientes del Ejército Rebelde, la lucha clandestina y de cada combate en defensa de la Revolución durante estos 50 años;
Compatriotas:
El primer pensamiento, un día como hoy, para los caídos en esta larga lucha. Ellos son paradigma y símbolo del esfuerzo y el sacrificio de millones de cubanos. En estrecha unión, empuñando las poderosas armas que han significado la dirección, las enseñanzas y el ejemplo de Fidel, aprendimos en el rigor de la lucha a transformar sueños en realidades; a no perder la calma y la confianza frente a peligros y amenazas; a levantar el ánimo tras los grandes reveses; a convertir en victoria cada reto y a superar las adversidades, por insuperables que pudieran parecer.
Por primera vez el pueblo cubano alcanzaba el poder político. En esta ocasión, junto a Fidel, los mambises sí entraron a Santiago de Cuba. Atrás quedaban 60 años exactos de dominación absoluta del naciente imperialismo norteamericano, que no tardaría en mostrar sus verdaderos propósitos, al impedir la entrada a esta ciudad del Ejército Libertador.
Para nosotros quedó claro que la lucha armada era la única vía. A los revolucionarios se nos planteaba nuevamente, como a Martí antes, el dilema de la guerra necesaria por la independencia que quedó trunca en 1898. El Ejército Rebelde retomó las armas mambisas y después del triunfo se transformó para siempre en las invictas Fuerzas Armadas Revolucionarias.
La síntesis magistral de Nicolás Guillén resumió el significado para el pueblo del triunfo de enero de 1959: “Tengo lo que tenía que tener”, dice uno de sus versos, refiriéndose no a riquezas materiales, sino a ser dueños de nuestro destino.
Es una victoria doblemente meritoria, porque ha sido alcanzada a pesar del odio enfermizo y vengativo del poderoso vecino.
Esta heroica ciudad de Santiago, y Cuba entera, fue testigo del sacrificio de miles de compatriotas; de la ira acumulada ante tanta vida tronchada por el crimen; del dolor infinito de nuestras madres y del valor sublime de sus hijas e hijos.
¡Nunca más volverán la miseria, la ignominia, el abuso y la injusticia a nuestra tierra!
¡Jamás regresará el dolor al corazón de las madres ni la vergüenza al alma de cada cubano honesto!
Es la firme decisión de una nación en pie de lucha, consciente de su deber y orgullosa de su historia.
No creemos que todos los problemas se vayan a resolver fácilmente, sabemos que el camino está trillado de obstáculos, pero nosotros somos hombres de fe, que nos enfrentamos siempre a las grandes dificultades. Podrá estar seguro el pueblo de una cosa, que es que podemos equivocarnos una y muchas veces, lo único que no podrá decir jamás de nosotros es que robamos, que traicionamos.
Hagámoslo con la satisfacción de haber cumplido el deber hasta el presente; con el aval de haber vivido con dignidad el más intenso y fecundo medio siglo de historia patria y con el firme compromiso de que en esta tierra siempre podremos exclamar con orgullo:
¡Gloria a nuestros héroes y mártires!
¡Viva Fidel!
¡Viva la Revolución!
¡Viva Cuba libre!
( Per il testo integrale vedi sito: http://www.granma.cu/index.html )

mercoledì 24 dicembre 2008

E arriva Natale...

Eccoci qua, anche quest’anno Natale sta arrivando. Per me, che sono cattolica, ha un significato del tutto particolare, ma di solito anche per chi non lo è questo periodo assume un carattere speciale. Guardo fuori dalla mia finestra, guardo il cupo cielo invernale che tanto mi piace, e istintivamente ripenso a tutto ciò che è accaduto quest’anno a me e al mondo. Già, perché subito dopo il Natale sarà prossimo il 2009…
E allora penso agli amici sparsi in giro per il mondo che non riuscirò a vedere a quattr’occhi: penso a Julivan, a São Paulo, in Brazil, che con enorme coraggio porta avanti in modo straordinario una vita non facile, fatta di mille difficoltà…penso a Manu, sorridente, nel suo piccolo villaggio in Madagscar, che cura persone su persone, bambini su bambini, ora dopo ora, e mi domando se lì una fetta di pandoro riuscirà mai a procurarsela…penso a Yasu e al suo amore per l’Italia, alla sua scuola di canto là in Giappone, ai suoi concerti, alle prove…penso ad Arastu, a lottare nel suo Bangladesh con un libro di Gramsci in mano…e poi in questo periodo penso a Betlemme, alla canzone a lei dedicata da De Gregori… “Signore lo vedi /il panorama di Betlemme /questo cielo senza riparo /questo sipario di fiamme”…
Il mondo non è un posto facile dove vivere ed essere gioiosi a Natale non mi è facile: potrei scrivervi pagine e pagine di guerre, malattie, violenze. Ma permettetemi una fuoriuscita di ottimistica e determinata volontà: le cose possono cambiare e anche se il mio, o il nostro, contributo sarà piccolo, sarà sempre qualcosa. Non voglio cedere al pessimismo, non voglio.
Amiche e amici di blog, voi che magari siete capitati qui per la prima volta, e tu, che non sei più qui con me, ma di certo dentro di me, mi auguro che possiate passare questo periodo in gran serenità, in tranquillità o in gioiosa ribellione, a secondo del vostro carattere^^ Spero solo che possiate sentirvi bene, fisicamente e moralmente.
Sia che siate cattolici, ortodossi, musulmani, atei, buddisti, ebrei… vi auguro Buon Natale!
Merry Christmas! Joyeux Noel! Froehliche Weihnachten! Feliz Navidad! I'd milad said oua sana saida! Shinnen omedeto. Kurisumasu! Kung His Hsin Nien bing Chu Shen Tan! Noeliniz Ve Yeni Yiliniz Kutlu Olsun! Chung Mung Giang Sinh! Sretan Bozic! Shub Naya Baras! Hyvaa joulua! Maligayan Pasko! Sarbatori vesele! God Jul! Selamat Hari Natal! Natale hilare et Annum Faustum!

lunedì 22 dicembre 2008

Assurdità natalizie bosniache

Scritto da: Azra Nuhefendić
Quest'anno Babbo Natale non porterà i suoi regali ai bambini di Sarajevo.
Così ha deciso la direttrice dei 25 asili nido della città, Arzia Mahmutović. La signora Mahmutović ha dato corso alla decisione presa dai vertici del partito musulmano SDA (Stranka Demokratske Akcije), di cui è membro.
Dopo aver introdotto nei nidi le lezioni di religione musulmana (invano le proteste e le petizioni dei genitori, che non volevano che i bambini si dividessero già da piccoli), le autorità di Sarajevo, dove il partito SDA ha la maggioranza, hanno deciso che "Babbo Natale non appartiene alla tradizione dei bosgnacchi (bosniaco musulmani)". Già negli anni precedenti avevano preso misure per ridurre o almeno ostacolare la celebrazione del Capodanno. Non è proibito farlo, ma si trovano scuse o si ostacolano i festeggiamenti nei locali pubblici. Si sta realizzando così quello che l'ex presidente bosniaco Alija Izetbegović prometteva nel 1996. Il presidente domandava ai media "di non imporre vari Babbi Natali e altri simboli strani al nostro popolo… Noi certamente non insisteremo su censure o divieti, ma prenderemo misure perché il nostro popolo, con disprezzo, respinga i valori sospetti".

venerdì 12 dicembre 2008

Abbiamo vinto !

Una battaglia, una battaglia è stata vinta.
Ieri sera ho riletto almeno cinque volte incredula la notizia.
Ieri sera s'è dimostrato che non si può decidere da Dux, che i diretti interessati vogliono partecipare alle decisioni perchè se no non sarebbe democrazia. Ci siamo mobilitati in massa, abbiamo riempito piazze, fatto corteii affollatissimi, occupato, autogestito, scioperato, abbiamo raccolto firme su firme. E alla fine la maggioranza ha vinto. Una vittoria, certo, di tutti coloro che si sono mobilitati, ricordando però che alcuni si sono mobilitati più di altri: non voglio dare un solo ed unico colore a questa vittoria, perchè c'era molta gente di centro-destra che ha firmato e manifestato, però è dato di fatto lampante che i militanti (siano stati studenti, genitori, insegnati o professori) che si sono "fatti il culo", che si sono sbattuti all'inverosimile, sono stati quelli di Sinistra. Non ho paura ad ammettere la verità.
"(...) Sul tempo pieno, si garantisce prioritariamente il tempo di 40 ore con l'assegnazione di due insegnanti per sezione e, solo come residuale lo svolgimento delle attività didattiche nella fascia antimeridiana, sulla base della esplicita richiesta delle famiglie. Prevista, inoltre, l'attivazione del modello a 24 ore (che comporta il cosiddetto "maestro unico") solo nelle prime classi e solo su esplicita richiesta delle famiglie."
Il maestro unico sarà facoltativo.
Uno dei passi indietro nell'istruzione pubblica italiana è stato fermato. Da noi, da noi tutti che ci siamo attivati e ci siamo fatti sentire, da noi che eravamo sì la vera maggioranza, da noi che avevamo dalla nostra ragioni pedagogiche, psicologiche, ma anche umane, in quanto ricordiamo che l'obbligo del maestro unico avrebbe comportato mobilità e licenziamenti di massa, verso persone anche loro con una famiglia da mantenere e col mutuo da pagare!
Oggi, giorno dello sciopero generale proclamato dalla CGIL, al quale hanno aderito alcuni Sindacati di Base, oltre che Unione degli Studenti, Unione degli Universitari, Coministi Italiani, Rifondazione Comunista e Verdi, oggi possiamo esultare che una battaglia è stata vinta.
Inoltre, non meno importante, le incandescenti proteste hanno fatto tremare la Gelmini che ha dichiarato "(...) La riforma del secondo ciclo scolastico, cioè le scuole superiori, è stata rinviata di un anno al 1 settembre del 2010."
Questa è democrazia. Quando dall'alto non ascoltano, quando dall'alto non dialogano con una maggioranza popolare evidente che grida "Non ci stiamo!", allora è pieno diritto attuare tutte le forme di protesta possibili. Sono stati costretti a guardarci loro, là dall'alto, e hanno avuto seriamente paura.
I nostri nonni, i nostri genitori, così fecero importanti conquiste nel passato. Noi oggi non siamo stati da meno.
Certo, la guerra è ancora lì, tutta da combattere.
Ma una importante battaglia è stata vinta.

lunedì 1 dicembre 2008

Una storia italiana

Qui l’inverno è ormai arrivato. Spruzzi di neve qua e là, veri e propri metri di neve sulle montagne lombarde, pioggia, clima freddo. Per uscire di casa ormai di prassi va la roba pesante: felpe o maglioni, giubbotto invernale, sciarpa, guanti, a volte ci sta bene anche un bel cappello caldo. I caloriferi sono accesi, i camini emettono fumo. Il pomeriggio una cioccolata bollente ci sta divinamente, e poi minestrone, polenta e funghi, pizzoccheri, vin Brulè…piatti che in casa mia si vedono spesso d’inverno.
E’ proprio adesso, entrati nel mese di Dicembre, che ripenso alle chiaccherate con un amico fatte l’anno scorso…
Fermata Duomo, metro rossa, Milano.
Anto è lì seduto per terra, gambe incrociate, a leggere il Metro. Di fianco a lui, accucciato e buonissimo, un pastore tedesco di un’umanità mai vista. M’avvicino e Anto mi saluta, ricambio. Il suo cane mi porge il muso e non posso non strapazzarmelo per un po’, è dolcissimo e mansueto. Poi mi siedo anch’io e inizio la chiaccherata con il mio amico.
Anto mi dice che il freddo quest’anno è micidiale, entra nelle ossa e si rende insopportabile. Dove vive lui non c’è acqua calda né riscaldamento e gli spifferi sono ovunque. La sua casa, uno dei tanti vecchi stabilimenti decadenti alla periferia di Milano.
“Tra un po’ ce ne dovremo andare” mi dice, accarezzando il suo cane che s’è rimesso accucciato di fianco a lui “Ci hanno detto che devono farci sgomberare”
Gli domando, un po’ stupidamente, se non conosce un altro posto dove stare.
Accenna un sorriso “Boh, si vedrà…”
Fa una pausa, poi riprende con tono quasi allegro “Sai, in questi giorni ero tentato anch’io di occupare, il freddo era terribile ma, sfigato come sono, il giorno che lo faccio è l’unico giorno che faranno una retata e m’arrestarebbero”
Sorrido anch’io e gli dico che se dovesse occupare farebbe benissimo. Occupare vorrebbe dire entrare in uno dei tantissimi appartamenti comunali milanesi non ancora assegnati. Parliamo ancora un po’ del più e del meno, mi dice che spera presto di poter trovare un lavoro, uno qualsiasi, perché così “Tutto pian piano si sistemerebbe. Con un lavoro tutto cambia, posso cominciare a pensare ad una vita diversa…perché io non voglio stare per sempre così”. E se le cose qui, a Milano, non migliorano “Allora penso che ce ne andiamo (lui e il suo fedele cane) a Roma. Sono stato lì per qualche mese e sono più attrezzati per quelli nella mia situazione rispetto a qui”
Gli domando se non torna per un po’ (giusto per non congelare in questo glaciale inverno e ammalarsi) a casa sua. Abbassa un po’ la testa, lo sguardo si fa triste, perso nel vuoto, in immagini che solo lui può vedere, e io mi mordo la lingua perché certe cose non dovrei domandarle. Però Anto mi risponde.
“Quest’estate ci ho fatto un salto…però voglio tornarci il meno possibile”
Anto viene dalla Sardegna, eppure non lo si direbbe perché ha perso del tutto l’accento tipico sardo. La sua è una delle tante storie di famiglie italiane sfasciate che ci sono ancora. Chissà perché, ma nella mia ingenuità non pensavo che anche in Sardegna ci fossero realtà familiari così degradate, così al limite.
Anto oggi ha 26 anni e, senza volerlo, ha la mia stassa data di nascita (a parte l’anno). Ha fatto per un po’ il militare “volontario”, è stato in Serbia, ne è uscito perché la rigidità di quella vita non riusciva più a reggerla; si pente di non aver continuato gli studi dopo la terza media.
“Oggi avrei un’occasione in più se avessi un titolo di studio…io sono disposto a fare qualunque lavoro ma spesso, quando chiedo, mi dicono che preferiscono i clandestini a me perché sono più ricattabili”
Sgrano gli occhi “E te lo dicono così apertamente?”
Abbozza un sorriso “Sì, me lo dicono così…poi altri lavori non posso farli…non so, il cameriere…non ho la possibilità di farmi sempre la doccia, di avere vestiti eleganti e puliti…capisci?”
Faccio di sì con la testa, consapevole, amareggiata.
Troppo giovane Anto, troppo “solo”, troppo bloccato dalla burocrazia per poter anche solo sperare d’avere un appoggio comunale; la lista di quelli prima di lui è lunghissima. Anto non è stupido, non ci sta a quella vita per sempre.
“Un lavoro, con un lavoro tutto si sistemerebbe” mi ripete come se fosse una preghiera.
Lui ha sì il diritto, tutto il diritto, di dirmi “Perché lo Stato non mi aiuta? Io non voglio la carità, voglio solo lavorare” … “La politica non risolve certi problemi, non ci tengo neanche ad andare a votare”: questi discorsi da lui li accetto in pieno, perché non sono i classici discorsi qualunquisti di chi fa d’un erba un fascio, di chi oltre che criticare non sa fare altro, di chi pensa che solo lui avrebbe la soluzione giusta, di chi non si mette in gioco per migliorare le cose ma sa però parlare tanto…no, Anto non è tra questi. Da lui ho imparato molto. Grazie a lui ho ragionato sul “mio” modo di fare politica, su certi aspetti…mi ha dato davvero tanto. E allora mi chiedo cosa io ho dato a lui. A parte un po’ di compagnia, io non ho potuto fare nulla. Sono in debito con Anto.
Ed oggi, entrati in Dicembre, non posso che ripensare a lui ed alle nostre chiaccherate…
La sua storia merita molto più spazio. Per oggi mi fermo qui. Magari in un altro post continuerò il racconto.
A presto Anto, a presto…