domenica 31 gennaio 2010

Boicotta! Boycott! 抵制!

Vivere consapevolmente. Vivere rispettando la natura e i suoi ritmi. Vivere rispettando il prossimo. Vivere cercando di fare qualcosa di buono.
Pochi principi basilari, che cerco di seguire.
Semplici, si direbbe, eppure difficili e complessi come non mai.
Vi faccio un esempio.
Immagino che ognuno di noi abbia dei soldi depositati in banca. Già… la banca. La maggioranza delle nostre banche sono per così dire “armate” ovvero investono nell’industria armiera. Con tutto ciò che ne consegue e che potete ben immaginare. La Banca nazionale del Lavoro, del gruppo Paribas, 3 anni fa ha supportato le aziende armiere per 62 milioni e spiccioli di euro. Nel 2009 per un miliardo e 253 milioni. Nel lungo elenco compare anche il Gruppo Intesa San Paolo (detiene ancora il 7,16 del mercato), nonostante le mille promesse di abbandonare il campo; anche il gruppo Unicredit, seppur con cifre (119 milioni) nettamente inferiori rispetto al 2007 (404 milioni di euro) compare nella top ten. Un bel balzo in avanti lo fa, invece, Ubi Banca, con i suoi satelliti finanziari piazzati geograficamente nel cuore del comparto armiero italiano: 209 milioni di euro e quasi un 6% del mercato complessivo (dato assai eloquente, visto che nel 2007 aveva lo 0,27%). Ed è meglio che mi fermo qua, perché molti dei miei principi basilari sono già andati ad escort.
Volete un altro esempio?
Apro il mio frigo: c’è dentro del cibo e delle bevande. Apro l’armadio di camera mia: ci sono dei vestiti.
Il colosso Coca Cola sfrutta la mano d’opera sud americana. Sulla Nestlè potrei parlarvi per ore: frodi e illeciti finanziari, abusi di potere, appoggio e sostegno di regimi dittatoriali, utilizzo di organismi geneticamente modificati nella pasta (Buitoni), nei latticini, nei dolci e nelle merendine; intere aree di foresta vengono distrutte per far posto alle sue piantagioni di cacao e di caffè, dove si utilizzano pesticidi molto pericolosi. E sulla stessa scia si pongono Nike, Adidas, Mattel, Chicco, Benetton, Reebok, Levis, Mondo… potrei andare avanti. Fatemi sottolineare però la Chiquita, che tratta i suoi operai peggio degli schiavi, tenendoli rinchiusi in veri e propri lager del lavoro, malmenati o peggio se protestano, con stipendi miserevoli, gettando loro addosso il diserbante dagli aereoplani .
Come vedete, potrei sembrarvi incoerente. Predico un “mondo migliore” e poi cado nel tranello di dare fiducia a chi di un mondo migliore non gliene può fregare di meno e pensa al solo dio in cui crede: il Denaro.
So benissimo che rivoluzionare completamente il mio modo di vivere risulterebbe per certi aspetti quasi improbabile e sotto altri costoso. E qui io non è che sguazzo nell’oro: se la pasta Barilla (bella marca sporca di sangue) costa meno di quella equo solidale, compro la prima, ben consapevole di cosa sto facendo, ma altrettanto consapevole di quali sono le mie capacità finanziarie.
Penso che la rivoluzione dei consumi possa però pian piano avvenire. Piccoli passi, che se fatti insieme, fanno un grande passo. Pensiamo, non so, a Natale: un bel cesto fatto con prodotti di Altromercato magari sì ci farà sentire tutti veramente più buoni. O prendere contatto con Altroconsumo non potrà che farci bene, in quanto è un'associazione di consumatori che ha un unico obiettivo: l'informazione e la tutela dei consumatori. Valutare le offerte di Banca Etica non costa nulla.
Nel mio piccolo, io sto boicottando il marchio Coca Cola da molti anni così come altri marchi…
Piccoli gesti, niente di ecclatante, perché so bene che la maggioranza di voi non sono “aristocratici” che possono sì cambiare completamente il proprio modo di vita. Piccoli gesti che possono far capire a chi sta in alto che noi siamo esseri pensanti, che abbiamo uno spirito critico e non siamo nelle loro mani; loro non sceglieranno mai per noi, noi siamo consapevoli.
Mostriamogli il nostro cervello: varrà come una rivoluzione.

venerdì 8 gennaio 2010

Voglia di estero

Per festeggiare il nuovo anno sono scappata in Slovenia, a Ljubljana per la precisione.
Ed è proprio su questa cosa che voglio scrivere il mio primo post del 2010.
Sono andata in auto, 500 Km circa. Non è poi tanto distante Ljubljana e per di più, insomma, è la Slovenia, non è il Brasile o l’Egitto o la Cina. E’ la semplice Ljubljana, la normale e tranquilla Slovenia. Eppure amici, eppure non avete idea di che aria fresca ho respirato. Lo ammetto, in parte sarà dovuto al fatto che non ho fatto le vacanze quest’estate e che, abituata a girovagare per il mondo, l’imposizione del mio fisico al “per un po’ starai qui ferma” mi pesa come un macigno. Però c’è stato dell’altro… Potrei dirvi di quanto Ljubljana sia bella come città, delle attrattive che vi potrete trovare, della sua storia, della leggenda del suo drago, ma c’è ancora stato dell’altro… Cos’era, vi starete chiedendo, cos’avrà avuto Ljubljana di così speciale...
Ljubljana non è in Italia.
Sì, lo so, ho scoperto l’acqua calda, un atlante anche per bambini ve lo direbbe.
Eppure la sensazione è stata come quando siete assetati e vi danno una bottiglia d’acqua freschissima e purissima. Nessuno che parlava italiano (a parte il 31 dicembre), nessun connazionale in vista e quelli che vedavamo li schivavamo come fossero impestati, nessun telegiornale, nessun quotidiano, nessuna ennesima litigata politica alla tv, nessuno che elencava le ombre di questa Italia, nessuno che parlava dei casini giornalieri…
Tutto era lontano.
Tutto s’era fermato al confine, un po’ dopo Gorizia e un po’ prima di Nova Gorica.
Avevo ripreso a respirare bene, i miei occhi erano tornati a vedere come da tempo non accadeva. Sì amici, mi ero buttata ridendo e alzando il medio l’Italia e gli italiani alle spalle, e stavo benissimo.
Le giornate le passavo camminando per le vie della città, scoprendo Chiese, monumenti, palazzi importanti, inerpicandomi su su per la collina per visitare il Castello, chiaccherando del più e del meno, con io che leggevo gli appunti storici e architettonici quando ci fermavamo; e poi sul pomeriggio tardi tornavo in camera, una bella doccia, un po’ di relax guardando eurosport…
E il giorno della partenza, il fatidico giorno, la mia mente ha pensato “E se non torni? E se imbocchi la strada per la Croazia? Per l’Ungheria?”. Ma la risposta era scontata…
Ed ora eccomi qua, tornata, con attorno i soliti casini di questa mia Italia, con attorno i soliti casini della mia vita. Un po’ più determinata però, lo ammetto… anche un po’ più malinconica.
E pensare che sono solo andata a Ljubljana… A volte penso “Ma, Ali, e se eri a Il Cairo? A Kiev? A Hanoi?!”
Beh, se Ljubljana m’ha fatto questo effetto, non oso pensare una città più lontana cosa m’avrebbe scatenato… :)

domenica 20 dicembre 2009

Una storia di Natale

Siamo a Dicembre, ed ecco come sempre il post degli auguri di Natale e di buon anno. :)
Ringrazio e faccio i migliori auguri a tutti gli amici di blog con i quali ci siamo scambiati idee, opinioni, faccio gli auguri anche a tutti coloro che per caso sono capitati qui. Un pensiero corre alle amiche e agli amici che ho sparsi per il mondo, alle persone care che non ci sono più ma so che mi possono sentire, a quell’amico in particolare che non so su quale strada starà dormendo, a coloro che oggi si sono allontanati ma che spero sempre possano tornare.
Vi vorrei lasciare con una sorta d’intervista; non prendetevi male se a tratti può sembrarvi troppo triste e amara per questo perido: il “protagonista” v’assicuro che non lo è per nulla, è uno abituato a combattere con il sorriso.
Vi voglio regalare la sua grinta. Che di questi tempi, serve molto.
Arrivo a casa sua e Alex viene ad aprirmi. Fa un mezzo sorriso imbarazzato e mi dice d’entrare, d’accomodarmi. E’ da solo in casa, i genitori al lavoro, i suoi fratelli uno a studiare a casa d’amici e l’altro al lavoro anche lui. Mi vuole offrire qualcosa da bere, e così dopo un po’ arriva con un vassoio con su due bicchieri e un cartone d’aranciata. L’andatura è evidentemente zoppicante, ma porta tutto con sicurezza. Si siede e mi guarda, sempre sorridente. Dopo i convenevoli, gli faccio una domanda semplice: di parlarmi di sé. Abbassa lo sguardo, strofina piano la mano sulla gamba. Poi sereno, comincia. “E’ dall’asilo che ho capito che la mia diversità non doveva fermarmi, che se anche il dolore a volte era forte, io dovevo stringere i denti…per me stesso e anche per la mia famiglia. Le cure costavano tanto, vedevo ogni giorno i sacrifici che in casa si facevano per me. Sai, non siamo mai stati messi bene a soldi, e con il mio arrivo il problema lo so, è aumentato. Ma nessuno qui me l’ha mai fatto pesare. Le differenze le vedevo all’asilo e a scuola: sai, tutti con i vestiti della disney, con l’astuccio dell’ultimo cartone animato, con le robe di marca…io e mio fratello ci passavamo i vestiti a vicenda e abbiamo iniziato a capire subito che certi bambini “potevano” e altri, come noi, “non potevano”. Ma non siamo stati troppo lì a farci problemi, quella era la nostra situazione, lo sapevamo, e noi si andava avanti ugualmente, tranquilli. Poi, crescendo, abbiamo anche capito che in casa i nostri genitori si facevano in otto per noi: doppi lavori per far quadrare i conti…mio padre lavora di giorno e di notte, mi sono sempre chiesto come fa a reggere…E che, vedi anche tu, non abitiamo in qualche periferia o zona degradata, qui nel nostro paese stanno tutti bene…o quasi…ma mamma ha sempre detto che noi chiederemo la carità a nessuno…e anche se il comune e lo Stato in generale non hanno mai fatto quasi nulla per noi, noi non andremo mai a bussare a cose tipo la Caritas…la dignità conta molto per i miei…e per noi…E così la vita è passata, tra chi mi guardava e mi guarderà sempre in modo diverso, tra risatine di chi si prende gioco di me perché non ho un pezzo di gamba, tra sacrifici, tra niente vacanze, niente sport, perché non gliene frega molto di come stai messo a soldi, la retta è quella e o paghi o non ti puoi iscrivere, niente oratori perché anche lì devi pagare l’iscrizione, niente giocattoli nuovi, niente bici ultimo modello, niente motorino per i miei fratelli…insomma…un bel po’ di “niente” direi!...Però nessuno si è mai lamentato, anche quando mio fratello grande non è potuto andare all’Università perché serviva che lavorasse, anche quando l’altro mio fratello mi faceva quasi da balia, anche quando ho capito che comunque la si mettesse, io ero un po’ diverso dagli altri…nessuno si è mai lamentato. Adesso siamo tutti cresciuti, i problemi sono rimasti e…lo ammetto, mi sento un po’ più solo….i miei fratelli però è giusto che vadano per la loro strada, e io prima o poi troverò la mia…Sai, tra un po’ è Natale…abbiamo fatto l’albero, vedi? Ma non m’interessa se ci saranno o no pacchi per me…la gamba che non ho nessuno me la ridarà, questo è un dato di fatto, ma a costo di zoppicare, d’andare avanti con le stampelle, io non mi fermo, non m’arrendo…”
Merry Christmas, Joyeux Noel, Froehliche Weihnachten, Feliz Navidad, Shinnen omedeto Kurisumasu, Chung Mung Giang Sinh, I'd milad said oua sana saida, Sretan Bozic, Merry Keshmish, Yukpa, Nitak Hollo Chito, Pozdrevlyayu s prazdnikom Rozhdestva is Novim Godom, Gesëebende Kersfees, Kung His Hsin Nien bing Chu Shen Tan.

venerdì 4 dicembre 2009

La journée sans immigrés: 24h sans nous!

La giornalista francese Nadia Lamarkbi, ha lanciato sul web un’idea un po’ particolare: far scioperare tutti gli immigrati presenti in Francia. Ha aperto una pagina su Facebook dal titolo “La journée sans immigrés: 24h sans nous!” e ha già avuto un sacco di iscritti. L’idea è arrivata anche qui da noi (“Primo marzo 2010 primo sciopero italiano degli stranieri”) e sempre grazie a Facebook si sta propagando per tutta l’Italia. Per chi volesse iscriversi al gruppo può andare a questo indirizzo oppure qui. Chi voglia invece iscriversi al gruppo francese basta che vada qui.
Ma vi siete mai chiesti come sarebbe l’Italia se d’improvviso tutti gli immigrati sparissero? Di certo, ammettiamolo, qualcuno di noi festeggerebbe, ma ci sarebbe realmente da essere contenti? Perché non facciamo una prova? Dai, seguitemi nel gioco, proviamo…
Iniziamo con una cosa di cui noi italiani siamo famosi: la cucina. Improvvisamente avremmo una drastica riduzione di pomodori, olive, ortaggi in generale e frutta. Molti di coloro che raccolgono questi prodotti sono stranieri. Avremmo meno pane, quasi tutte le pizzerie chiuderebbero, seguite a ruota da ristoranti cinesi, ristoranti giapponesi e anche ristoranti italiani; eh sì, anche italiani: avete mai fatto caso che non pochi sono i cuochi, i camerieri e i lavapiatti stranieri?
Non meno importante penso sia la pulizia, a cui noi italiani teniamo molto. Però senza stranieri le nostre strade pullulerebbero di immondizia, perché molti degli operatori ecologici, meglio conosciuti come spazzini, sono stranieri. E i supermercati? E gli uffici? Da chi verrebbero puliti? Sono sempre stranieri coloro che si occupano di queste pulizie.
E gli anziani? Come faremmo senza badanti? Chi si prenderebbe a carico la nonnina novantenne che fa fatica a camminare e la si deve imboccare? Le case di riposo dite? Ok, guardate pure i costi…e spaventatevi.
Poi abbiamo le case in Italia. Beh, senza stranieri, penso che la casa nuova che ti stavano costruendo ritarderà di molti anni prima che risulti pronta. In fondo, tantissimi muratori sono stranieri.
I lavori sulle strade sarebbe qusi del tutto interrotti perché molti che lavorano nei cantieri stradali sono stranieri.
Poi abbiamo le ditte: operai, mulettisti, camionisti, magazzinieri, una ditta va avanti grazie a loro. Ma se il cinquanta per cento è costituito da immigrati e questi spariscono, le ditte come fanno a far quadrare tutto? Le produzione, i costi, i tempi, salterebbero totalmente.
Abbiamo poi gli ospedali: già gli infermieri sono pochi, vi immaginate se anche da qui gli stranieri se ne vanno? E senza dottori come faremmo? Eh sì, forse non lo sapete, ma abbiamo anche dottori stranieri.
E poi, scusate, noi amanti dello sport, senza stranieri che faremmo? Più della metà dei campionati italiani verrebbero sospesi; in primis il calcio. Chissà, magari ci appassioneremmo al curling…
La lista potrebbe continuare. E v’assicuro che questi vuoti non verrebbero riempiti dagli italiani, come molti sostengono. Molti di questi lavori nessun italiano vuole più farli.
Ma una delle cose che più mi toccherebbe sarebbe vedere amiche senza i rispettivi mariti. O vedere il mio cuginetto senza il suo amico del cuore. E vedere un sacco di miei amici sparire. E…oh cavolo! Sparito è anche il ex maestro di karate! In fondo, un giapponese è sempre uno straniero, no?
Eh sì, ci sarebbe poco da stare allegri se tutti gli stranieri sparissero.
Avanti allora, incrociate le braccia stranieri italiani, incrociamole anche noi con loro, e facciamo vedere a questa Italia dal passato emigrante, che senza di voi gli ingranaggi non girerebbero più.

sabato 21 novembre 2009

Hijos bastardos de la Globalización - Bastard children of Globalization

"Comincio la mia giornata quando sorge il sole, ho 12 anni e vivo nella desolazione in un'altra dimensione...". Così comincia la canzone degli Ska-p che vi ho riportato qui sotto. A quanti bambini del mondo si adatterebbero queste parole? Bambini sparsi per il mondo che sono obbligati a lavorare, lavori di solito duri, faticosi, che il più delle volte causano danni alla loro salute. Ma devono. Perchè la povertà da cui sono attanagliati li obbliga. Non hanno scelta. E spesso capita che ciò che loro producono noi lo ritroviamo nelle nostre case. La beffa è che a volte costruiscono giocattoli, gli stessi per cui i nostri figli occidentali battono i piedi pur di averli. Se parli con questi bambini lavoratori scopri che il loro sogno è andare a scuola, ma sono consapevoli che il lavoro serve alla famiglia, che quei miseri soldi servono. Ci si stupisce di quanta consapevolezza hanno, di quanta maturità posseggono a soli 1o, 11 anni. Però ci si chiede quale sitema produttivo può aver ridotto il mondo così, con una parte, piccola, di bambini che giocano e vanno a scuola, e l'altra parte, grande, che lavora. Piccoli lavoratori schiavi del sitema, schiavi non raramente di persone adulte che li sfruttano, con le cattive e non certo con le buone.
Nel girovagare qua e là li ho visti, e vi assicuro che il cuore si stringe, lo stomaco vi diventa di granito. E poi, tornata a casa, sentire il mio vicino di casa che faceva i capricci perchè non gli avevano comprato il gioco che voleva, e sentire il mio sangue che ribolle. E andare al supermercato e leggere tutti quei "Made in...", vedere le grandi marche che costano anche caro, e cominciare a chiedersi chi ha prodotto il tutto; e alla fine non comprare nulla.

lunedì 9 novembre 2009

Berlin Mauer

Il Muro di Berlino divideva la Germania Ovest dalla Germania Est. La sua costruzione fu iniziata il 13 agosto del 1961 ad opera del governo della Germania Est. Il Muro fu smantellato il 9 novembre 1989.
Di principio, fu sbagliato costruirlo. Nella pratica, evitava la fuga dei "cervelli" nella Germania Ovest. Quando cadde tante erano le aspettative, specialmente da molti cittadini della Germania Est. Ma il sospirato capitalismo che avrebbe dovuto rendere tutti più ricchi, più felici e più liberi, disilluse e portò sgomento, al pari dell'erezione del Muro.
Non sono pochi oggi, fra i cittadini tedeschi che vissero in quegli anni all'Est, quelli che rimpiangono la Germania Est. Ma la storia ha fatto il suo corso, ed oggi i tedeschi di nuova generazione vorrebbero quasi dimenticare, pensare più al futuro che fare i conti con il passato. Andando a Berlino lo si comprende: ovunque ricordi di ciò che fu il Muro, i simboli della DDR, i souvenir per i turisti, le foto dell'epoca, ma una generale freddezza dei tedeschi verso questi simboli sparsi un pò ovunque. Preferiscono osservare gli imponenti palazzi recenti di famosi architetti che costellano la nuova Berlino.
Personalmente l'amaro in bocca rimane. Ed è forse per questo che la prima cosa che ho fatto arrivata a Berlino è stata comprare una bandiera della DDR. Ce l'ho qui, appesa in camera. Ci fissiamo a vicenda, sospirando. E i nostri dialoghi sono molto intensi.
...E forse, penso, per concludere, sarebbe il caso di ricordare che il 9 novembre del '38 iniziò la "Notte dei Cristalli", e il piano diabolico del nazismo, messo a tacere grazie anche ai comunisti, gli stessi della DDR.


giovedì 22 ottobre 2009

Inside the cambodian hell

Se vi parlo della Cambogia forse dovrei parlarvi del suo favoloso Tempio di Preah Vihear, situato in cima ad un'altura di 525 metri, sui monti Dângrêk. O forse dovrei parlarvi del bellissimo fiume Mekong o della natura ricca e verdeggiante che si trova fuori le città. O magari potrei soffermarmi sulla terribile storia di Pol Pot. Ma non vi parlerò di questo. Vi parlerò di un articolo letto sul Corriere della Sera e di alcuni documentari visti. Che iniziano tutti con la stessa domanda: "La vuoi una bambina di dieci anni? O preferisci il suo fratellino, che di anni ne ha otto?".
Eh sì, assieme alla marijuana e all'anfetamina, questo offrono i papponi agli occidentali che scendono negli alberghi da due soldi attorno al lago Bung Kak di Phnom Penh. Anche l'autista di tuk-tuk propone creature di cui abusare: "Conosco un bordello pieno di ragazzine. Costano care, però. Almeno venti dollari".
Le bambine vendute ai bordelli a volte hanno solo cinque anni. Almeno un terzo delle prostitute cambogiane è minorenne.
Gli orchi sono spesso europei, australiani o statunitensi. Sì, anche italiani. Ma ci sono altri mostri, più insidiosi, perché si confondono tra i cambogiani, quindi più difficili da intercettare. Sono quei pedofili, numerosissimi, che arrivano da Taipei, Hong-Kong, Pechino. Ci sono asiatici che festeggiano la firma d'un contratto comprandosi una vergine cambogiana.
Spesso sono le famiglie stesse a fornire loro le bimbe. Bimbe che, quando tornano a casa dopo aver trascorso un paio di notti con il loro stupratore, sono prese a sassate dagli uomini del villaggio, perché considerate srey kouc, anime rotte. Perciò, dopo che una madre ha venduto la verginità di una bimba di 10 anni per 500 dollari, la piccola finisce in un bordello.
La nuova maledizione poi del porto di Sihanoukville è la yahma, così viene chiamata una micidiale metanfetamina fabbricata in Thailandia, di cui ne fa uso l'80 per cento delle prostitute cambogiane. La vecchia, ma sempre attuale, maledizione del luogo sono i pedofili occidentali, che qui addescano le loro prede sulla spiaggia; il 65 per cento sono maschietti dagli otto ai quindici anni.
E il governo cambogiano? E la polizia del luogo? Certo, qualcosa si sta muovendo in questi anni, ma la strada è ancora desolatamente lunga e ricca d'ostacoli; perchè, in fondo, il turismo sessuale porta soldi, e questi per alcuni possono essere più importanti della vita di un bambino.
Questo è l'inferno cambogiano, un inferno sceso in terra, dove padri esemplari di famiglia, gran lavoratori, di quelli che portano i figli alle partite, di quelli che fanno regali, mostrano la loro vera faccia da demoni.

lunedì 12 ottobre 2009

Stop Columbus Day

Conoscete il Columbus Day?

E' una festa che si celebra in America per ricordare l'arrivo di Cristoforo Colombo nel "Nuovo Mondo" nel 1942; a partire dal 1971 fu proclamata festa nazionale degli Stati Uniti.
Non ho nulla contro la scoperta di Colombo, fatto storico immodificabile, ma ho qualcosa da dire contro questa celebrazione.
Prima di tutto sarebbe bene ricordare che la "scoperta", in realtà scoperta non fu: i primi a sbarcare sulle coste canadesi furoni i Vichinghi nel 1100 d.C. e le prove si possono vedere in quanto permangono i resti del loro primo villaggio chiamato l'Anse aux Meadows (riconosciuto dall'UNESCO).
Ma andando oltre a ciò, c'è da dire che anche i Nativi Americani festeggiano questo giorno, come un giorno di lutto. In Venezuela è stato infatti ribattezzato come "Día de la Resistencia Indígena" (Day of Indigenous Resistance).
Perchè per loro fu l'inizio della fine.
Non ci fu tolleranza, non ci fu integrazione, non ci fu dialogo, non ci furono scambi culturali e civili: ci fu solo un genocidio da parte di arroganti colonizzatori. Distruzione fisica e culturale, riserve ed alienazione per i superstiti. Celebrare il Columbus Day vorrebbe dire dimenticare tutto questo, dimenticare quegli orrori mai del tutto ammessi, che attualmente anche sui libri di storia americani non vengono proprio ricordati, vorrebbe dire dimenticare il loro inquadramento dentro schemi occidentali che non appartenevano loro: obbligati dentro a certi vestiti, obbligati dentro certe case, obbligati a una certa religione, obbligati a certe scuole. Non ci fu un'arricchimento (e quanto poteva essercene!) reciproco. No. Solo annientamento da parte di quegli uomini che venivano dal mare.
Ma c'è di più: la violenza verso i Nativi è continuata, anno dopo anno, anche tutt'oggi. Oggi che i Nativi e varie Associazioni protestano distribuendo volantini dove spiegano le ragioni del loro dissenso, dove fanno sit in di protesta, e vengono arrestati in massa. Festeggiare il Columbus Day equivarrebbe a dire "Va tutto bene, non accadde nulla!".
No, non va tutto bene.
Permettetemi d'essere arrabbiata, permettetemi di avere il sangue che ribolle.
I Nativi sono stati schiavizzati, torturati, violentati, oggi vivono nelle riserve, in mezzo al deserto, chissà perchè hanno meno diritti rispetto agli altri.

Ora spiegatemi, cosa c'è da festeggiare?

Per firmare la petizione "Stop Columbus Day" vi invito a questo sito:
http://www.nativiamericani.it/


giovedì 1 ottobre 2009

Happy birthday China! 生日快乐 中华人民共和国!

Il 1° ottobre 2009 la Repubblica Popolare Cinese 中华人民共和国 compie 60 anni dalla sua fondazione, ad opera di Mao Zedong.
Mao, figlio di contadini, nasce il 26 dicembre del 1893 nel villaggio di Shaoshan nella contea di Xiangtan nella provincia dello Hunan. Durante la rivoluzione del 1911 si arruola nell'armata provinciale della provincia dello Hunan. Nel 1918 si diploma presso la Hunan Normal School. L'anno successivo, accompagnato dal professore Yang Changji, giunge a Pechino in occasione del Movimento del 4 Maggio. A 27 anni, Mao partecipa al Primo Congresso del Partito Comunista, tenutosi nel luglio del 1921 a Shanghai. Due anni dopo, durante il terzo congresso, viene eletto nella Commisione Centrale. Nel 1931 viene nominato presidente della neonata Repubblica Sovietica Cinese. Per evitare la distruzione da parte dell'esercito di Chang Kai-sheck, Mao, insieme agli altri esponenti del PCC, intraprende una coraggiosa e geniale ritirata, la Lunga Marcia, che dal Jiangxi lo porterà sino alllo Shaanxi, attraversando buona parte della Cina meridionale (9600 km). Durante questo periodo della durata di un anno, Mao diventa la guida incontrastata del PCC. Il 21 gennaio del 1949 le forze comuniste infliggono una durissima sconfitta ai nazionalisti. Il 1° ottobre viene proclamata la fondazione della Repubblica Popolare Cinese.


giovedì 17 settembre 2009

PARADA

1992. All'inizio dell'inverno. Romania.
Miloud Oukili, ventisettenne, franco-algerino: "Ho perso il treno. E mi sono ritrovato da solo alla Gara du Nord, a Bucarest, una notte di febbraio. Si trattava di aspettare fino al mattino per riprendere il viaggio verso casa, Parigi. (...) Sono andato in Romania per starci un mese e mezzo, e ci sono rimasto sette anni. Neanche fossi Brad Pitt in Tibet. Almeno lui si è scelto un posto con le montagne e un’atmosfera, almeno lui è il sex symbol più famoso del mondo...".

domenica 6 settembre 2009

Il regista scomodo

Il fotografo e regista franco-spagnolo Christian Poveda è stato trovato morto vicino alla sua auto con quattro colpi di pistola in faccia in un'area che si chiama El Limòn vicino a Tonacatepeque, a nord della capitale del Salvador. Un anno fa Poveda aveva girato un bellissimo film documentario, "La vida loca", sulle maras, le bande di giovani assassini che infestano il Centro America. Proprio una delle maras più forti del Salvador, la M-18, controlla la zona del Limòn e la polizia non esclude che l'omicidio di Poveda abbia a che fare con le sue inchieste e il suo documentario. Prima di essere ucciso il fotoreporter, 54 anni, aveva girato nuove immagini e stava rientrando nella capitale.
Poveda era nato in Algeria nel 1955 da genitori spagnoli fuggiti in esilio dalla dittatura franchista. Cresciuto a Parigi era arrivato in Salvador giovanissimo, trent'anni fa, grazie ad un contratto con Time, il newsmagazine americano, per seguire come fotografo la guerra civile. Dopo il '92, quando la guerriglia del Farabundo Martì -oggi al governo- iniziò le trattative di pace, Poveda lasciò il paese per documentare nuove guerre: dall'Iran, all'Iraq, al Libano; pubblicando le sue foto nei maggiori giornali internazionali come El Pais, Le Monde, Paris Match e New York Times. Qualche anno fa Poveda era tornato a stabilirsi in Salvador e a lavorare sul fenomeno della criminalità giovanile. Il film "La vida loca", in gran parte girato nel sobborgo della Campanera, documenta l'estrema violenza di queste bande di giovanissimi -l'iniziazione avviene intorno ai dodici massimo tredici anni- che spacciano droga e dominano il contrabbando, ma è molto critico anche verso la polizia e l'atteggiamento super repressivo dello Stato.
Le bande criminali giovanili come la M-18 o la Salvatrucha (o M-13), le due più grandi del Salvador, nascono negli anni Ottanta tra i ragazzi delle comunità di immigrati ispanici di Los Angeles. Negli anni Novanta il fenomeno si estende in Centroamericana grazie ad una legge che consente al governo americano di rispedire nei paesi d'origine piccoli e grandi criminali dopo che hanno scontato la loro condanna negli Usa. Fu così che i giovani capi gang di Los Angeles rimpatriati in Salvador formarono le nuove bande per gestire droga e contrabbando. Il fenomeno è esploso in America centrale negli ultimi dieci anni ed oggi si calcola che l'esercito delle gang sia composto da un numero di membri che varia dai 30 ai 50 mila.
Tratto da: Repubblica.it


sabato 29 agosto 2009

Risk of revolt in refugee camps on the border between Bhutan and Nepal

RISCHIO RIVOLTA NEI CAMPI PROFUGHI AL CONFINE TRA BHUTAN E NEPAL
(Per la traduzione in italiano cliccare qui)
The plight of the over 120 thousand Bhutanese exiles in Nepal has led to the emergence of Maoist groups in refugee camps. Indian sources raise the possibility of an armed insurrection in the coming months. Meanwhile, the Bhutanese government promises by year’s end better conditions for the Nepalese minority.
In the little kingdom on the slopes of the Himalayas, there is the risk of an armed insurgency by Maoist groups born in refugee camps on the border with Nepal, where for years more than 120 thousand citizens of Nepalese origin live in exile.
According to Indian intelligence sources, the recent alliance of the Communist Party of Bhutan with some Indian separatist groups operating on the border, risks turning the tensions of recent years into open armed conflict. The sources say that "Through this alliance, the militant Bhutanese may learn how to make more powerful bombs, acquire more experience in handling weapons and fight it more effectively."
Bill Frelick, head of political refugees for Human Rights Watch, says that the militants are little more than a thousand, and are a long way from organising a real revolution. But other analysts see in the alliance with the armed groups in India and the ongoing recruitment of volunteers within the camps a signal to an actual armed rebellion.
Between '77 and 85 the Nepalese minority in Bhutan, then about one third of the population, were subjected to a cross-border deportation, commissioned by the then King Jigme Singye Wangchuck. The campaign, which aimed to build a state based on Buddhist culture and devoid of outside influences, ended in the '90s with the deportation of over 105 thousand civilians of Nepalese origin. In 2008, the ascent to the throne of 28-year old King Jigme Khesar brought new hopes of opening the country and a possible way out for the refugee population in Nepal.
Until now the government of Bhutan has been committed alongside the international community to promoting democratic change. By the end of the year 15 schools are expected to be reopened as well as the construction of medical centres in the border area still inhabited by the minority Nepali.