venerdì 27 marzo 2009

Vi racconto di Claude... - 2 parte

La cena viene servita. Oltre ai vari antipasti, il piatto forte sono tre ciotole che contengono riso, fagioli neri con pezzi di carne… tutto squisito, da leccarsi i baffi! Alla fine della cena io e Claude torniamo a discorrere in francese.
Ricomincia da “Ero arrivato al confine del Congo…”. Saluta il suo amico tassista, si guarda davanti e sa che da lì in poi sarà solo. A 14 anni è già da solo, ha la propria vita nelle sue mani. Non riesco a non fare paragoni: mi domando io, a quell’età e in quella situazione, cosa avrei fatto, come avrei reagito. Guardo i nuovi quattordicenni della mia città e penso sconsolata che avrebbero inizato a piangere e chiamare “Mamma”. Claude sorvola sui suoi sentimenti, devo tutti leggerli negli occhi, nelle sue espressioni; forse ancora troppo doloroso ricordare, forse ancora troppo aperta quella ferita. E così, dal Congo alla Libia, il racconto si fa veloce. “Con degli autobus, a piedi, con camion, sono arrivato in Libia”. Non chiedo i dettagli, mi sentirei troppo ficcanaso. Dalla Libia in Italia mi dice che non è difficile, basta avere dei soldi. Paga le guardie libiche, ne paga altre, paga coloro che lo trasporteranno sulle coste italiane, a Lampedusa per l’esattezza. Arrivato il giorno stabilito sale sul gommone. “Eravamo in tanti, non c’era cibo né acqua” mi dice, e comincia la traversata alla ricerca del rifugio politico. “In sei morirono” continua con quella sua voce pacata e rispettosa “Non ce l’hanno fatta, abbiamo dovuto buttarli in mare, per forza, non potevamo tenere dei cadaveri lì con noi”. Mentre parla è come se stesse cercando di giustificarsi, come se dovesse dare motivazione di quel gesto; faccio un mezzo sorriso, lo rassicuro, gli dico che era inevitabile, che hanno fatto bene. Poi, stremato e stanco, arriva a Lampedusa. Qui inizia prima la detenzione in un CPT, dopo, molto dopo, gli viene riconosciuto lo status di rifugiato politico, e infine inizia il balletto della ricerca di un lavoro, per vivere. “Quando vedono che ti iscrivi al Sindacato molti ti lasciano a casa” specifica da subito, con una rinnovata grinta; il mio amico, seduto vicino a Claude fa sconsolatamente ciondolare la testa avanti e indietro: è una realtà innegabile, se un extracomunitario al lavoro inizia a intendersela con i Sindacati, i capi lo guardano malissimo. Claude ha la fortuna di incontrare, tra tutti, anche brave persone, che l’aiutano a trovare casa, a districarsi nel lavoro e nella vita di tutti i giorni; e che gli fanno sentire che non è solo.
“Io vorrei studiare…” mi dice, con voce convinta “Io vorrei continuare gli studi”. Il mio amico al suo fianco aggiunge “Claude, lo sai che ora come ora devi pensare al lavoro per pagarti il cibo, la casa…”
Ma Claude non demorde “Sì, lo so, però…”
Cosa chiede di così innaturale Claude? Una cosa scontata per tantissimi ragazzi della mia età: studiare. Ma a lui non è concesso, lui deve per forza lavorare.
“Poi” continua “Vorrei provare a tornare in Congo, là ho tutti i miei attestati di studio, magari servirebbero e poi, un missionario m’ha detto che mamma è ancora viva…”
La notte pian piano avanza, il buio fuori è scuro, solo la luce della nostra abitazione lo rischiara.
Prima di salutarci, Claude mi fa una confidenza, abbozzando un sorriso “Sai…a casa dormo sempre con la luce accesa… ho paura, ho paura del buio…”
Mi viene da sorridere, di un sorriso triste e malinconico, amaro e buio, buio proprio come la notte, quella notte che Claude ha visto in tanti modi diversi e che io non posso neanche immaginare.

venerdì 20 marzo 2009

20 Marzo 1994: il più crudele dei giorni

Thanks Ilaria Alpi, grazie perchè sei stata una delle prime persone che mi ha fatto capire che bisogna non dimenticare mai... grazie di tutto.
"Il nostro, come disse Sciascia, è un paese senza memoria e verità, ed io per questo cerco di non dimenticare" -Ilaria Alpi-
Sono passati 15 anni dal tragico agguato in cui, a Mogadiscio, IlariaAlpi e Miran Hrovatin sono stati assassinati.
Prima della morte di Ilaria vorrei che ricordassimo la sua vita così breve e così intensa. Ricordare il suo impegno e la sua passione per i paesi, in particolare per l'Africa, tormentati dalla fame, dalla povertà e dalle guerre chei vari “signori”, sostenuti dai paesi occidentali, continuano ad alimentare: pensiamo a che cosa sta ancora accadendo proprio in Somalia anche in questo periodo. Tutti i suoi lavori testimoniano questa sua “vicinanza” alle donne, ai bambini, prime vittime delle ingiustizie dello squilibrato rapporto nord sud del mondo: non c’è servizio di Ilaria che racconti anche le questioni “grandi” come la guerra, la violenza, senza partire dalla vita quotidiana delle persone, con una volontà di conoscere e far conoscere, con una sensibilità, partecipazione al dolore e alle sofferenze evidente e coinvolgente. Un modo, il suo, di fare giornalismo, lontano dai frastuoni della celebrità, vicino a chi soffre. Un giornalismo e una storia, la sua, che raccontano di possibili inquietanti intrecci tra cooperazione e criminalità, tra aiuti allo sviluppo, traffico di armi e pratiche di smaltimento illegale di rifiuti tossici. “Dove sono finiti i 1400 miliardi della cooperazione italiana?” aveva scritto Ilaria prima di partire per quello che sarà il suo ultimo viaggio. Un giornalismo profondamente etico e rigoroso come scelta di conoscerei fatti di raccontarne la verità, di suscitare indignazione econtribuire così a cambiare questo mondo. E proprio per questo un modo di fare giornalismo più efficace. Anche “pericoloso” per chi ha interesse a che il mondo rimanga così com’è, profondamente ingiusto. Per chi ne ha commissionato l’omicidio, come si legge nell’ordinanzadi prosecuzione delle indagini con la quale il dottor Emanuele Cersosimo ha respinto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica di Roma il 2 dicembre 2007: “….la ricostruzione della vicenda…..quella dell’omicidio su commissione, assassinio posto in essere per impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal Hrovatin in ordine ai traffici di armi e dirifiuti tossici avvenuti tra l’Italia e la Somalia venissero portate a conoscenza dell’opinione pubblica…..”. Le diverse indagini della magistratura e delle commissioni d’inchiesta parlamentari hanno acquisito materiali, documentazioni, testimonianze dalle quali si può arrivare alla verità, a tutta la verità. E, invece, non si è voluto farlo, addirittura si sono ignorati fatti, si sono occultati documenti, si sono dette bugie, si è depistato, non si sono fatti tutti gli accertamenti necessari. L’ultimo esempio è riferito all'auto Toyota pick up che la commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’avvocato Carlo Taormina ha fatto giungere dalla Somalia con la collaborazione di Giancarlo Marocchino e presentato come quella dell’agguato mortale. Le tracce di sangue rinvenute e appartenenti a una persona di sesso femminile non sono di Ilaria: è quanto emerso dall’analisi comparativa del DNA con quello di Giorgio e Luciana Alpi disposta dalla Procura di Roma (come richiesto dal giudice Cersosimo al 25° punto dell’ordinanza citata) e che la maggioranza della commissione non aveva voluto fare. Questo risultato “incontestabile” demolisce le perizie compiute sulla Toyota e anche le conclusioni della maggioranza della commissione che su di esse erano in gran parte fondate. Anche questo risultato conferma che il caso non è chiuso ma apertissimo e da ragione alle relazioni di minoranza che hanno considerato le conclusioni della maggioranza inaccettabili e gravi proponendo una verità (e non la verità) senza prove o peggio falsificandone la lettura, non esitando nemmeno ad offendere la memoria di Ilaria e Miran, la loro vita, la loro professionalità. Nonostante ciò si sa ormai quasi tutto su quel che accadde in quei giorni a Mogadiscio, sul perché di quell’esecuzione, perfino su chi faceva parte del commando. Ma a chi ha armato quel gruppo di fuoco, ai mandanti, non si è ancora arrivati e gli esecutori sono ancora impuniti.
Perché alla verità non si è ancora arrivati? Chi non vuole la verità? Perché?
Luciana e Giorgio Alpi in questi 15 anni hanno lottato con tutte le loro energie per la verità e per la giustizia: 5479 giorni, spesso in solitudine, passati nel dolore e nell’impegno interpellando tutte le persone, le istituzioni che dovevano e potevano arrivare a mandanti ed esecutori e assicurarli alla giustizia. Hanno lottato e continuano a farlo.
Li ringraziamo perché il loro esempio è stato per tutti noi il motore per lottare, per cercare la verità.
Mariangela Gritta Grainer, portavoce associazione Ilaria Alpi

giovedì 19 marzo 2009

Senza Parole

Il ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta, tuona: "Gli studenti dell'Onda sono guerriglieri!" O.o
Non ho parole...scusate, ma non aggiungo altro perchè la demenzialità e l'idiozia di questa affermazione dice tutto.
Beh, se poi essere guerriglieri vuol dire battersi per questioni giuste, per difendere i propri diritti e la propria istruzione pubblica, allora fieri di essere guerriglieri!
(P.S. A Bergamo qualche mese fa Forza Nuova ha sfilato con caschi, mazze, bastoni e spranghe... lì perchè nessuno ha detto niente??)

venerdì 13 marzo 2009

Visas for 70,000 Bangladeshi immigrants revoke

Questo articolo è per far notare come l'immigrazione non sia solo una "questione" italiana, per mostrare a chi non sa guardare al di là del proprio naso che tutto il mondo è il paese. Perchè in qualunque angolo del mondo andiate ci sarà sempre l'immigrato da stigmatizzare e crocifiggere, e ci sarà sempre l'egoismo traboccante di questa società capitalista.
(Per l'articolo in italiano cliccate qua: "Revocati 70mila visti a immigrati bangladeshi").

Malaysia has revoked work visas for 70,000 Bangladeshis who were to begin arriving this week in response to a public outcry about migrants taking Malaysian jobs.
The would-be immigrants were to be employed in manufacturing, agriculture and construction, and would have joined an estimated 500,000 Bangladeshi already in the country, out of an estimated three million Asian migrant workers in the whole country.
These “workers are from poverty-stricken families and had to raise about 200,000 Bangladeshi taka [or about US$ 2,500] to send their son to Malaysia in the hope of escaping poverty,” said Irene Fernandez, executive director of Tenaganita, an NGO that helps migrant workers in distress. For purpose of comparison she noted that a primary school teacher in Bangladesh earned only about 800 taka (US$ 13) a month.
Malaysia’s about-face on the 70,000 visas is the direct result of the global economic crisis which is having major impact on the local labour market.
“Because of the downturn, factory owners are cutting costs by letting locals go and keeping foreigners because they are cheaper,” said Govindasamy Rajasegaran, secretary general of the Malaysian Trades Union Congress. “If this trend continues, by June we expect 400,000 local workers to be laid off.”
But foreign workers are also affected by cuts in jobs and lay-offs. Most are repatriated but many choose to go underground and take underpaid jobs just to avoid going home.
Under current rules, migrant workers are given 30 days to secure work after arriving in Malaysia or they are forced to leave the country.
“In theory, if there are no jobs they are repatriated, but in practice they . . . easily find extremely low-paid jobs that are shunned by locals,” Ms Fernandez said.

lunedì 2 marzo 2009

Dagli slums agli oscar a poi di nuovo negli slums

Vi ricordate il film "The Millionaire" del regista Danny Boyle? Il film che ha fatto incetta alla notte degli oscar (ben otto)?
Un film molto bello, l'ho visto io stessa, che apre uno squarcio sulla vita dell'India di oggi: i suoi slums, ovvero le baraccopoli di cui questa nazione è piena, la ferocia della polizia che opera senza regole, i mafiosi locali che sfruttano in modo brutale i bambini, l'estremismo indù, la povertà tagliente e l'ingegnosità del sopravvivere quotidiano. Tratta il tutto in modo per nulla pietistico o banale, con un'abilità e una bravura che gli fa meritare in pieno le otto statuette.
Ma c'è qualcosa di più.
I due attori bambini (Azharuddin Ismaile e Rubina Ali) che interpretano la parte del fratello e dell'amichetta del protagonista da piccolo, vivono realmente negli slums. E finita la premiazione, finita la festa, sono partiti i batti e ribatti delle agenzie stampa su questo argomento. Il regista sostiene che, oltre allo stipendo dato loro per il film, si è fatto carico delle spese scolastiche dei due piccoli attori e ha organizzato un fondo fiduciario per i loro 18 anni. Inoltre, le autorità di Mumbai hanno promesso di donare loro delle vere case. Diversa è la versione che arriva dall'India, dalle pagine del Daily Telegraph: del fondo fiduciario i genitori degli attori sostengono di non saperne nulla e, per quanto riguarda il compenso, Rabina avrebbe ricevuto 500 sterline (poco più di 500 €) per un anno di lavoro tra selezione, preparazione e riprese, e Azharuddin 1.700. Un portavoce della Fox, la casa di produzione del film, invece smentisce, sostenendo che in realtà i due bambini sono stati pagati "tre volte di più" del salario che un adulto riceverebbe nel loro quartiere, senza però rivelare la somma.
Che dire... il batti e ribatti di notizie sarà difficile da verificare, anche perchè dopo l'entusiasmo degli oscar l'informazione farà calare il sipario su questo storia. Posso solo sperare che tutto si risolva per il meglio, pur sapendo che le favole a lieto fine sono rare.
L'unica cosa veritiera che mi rimane sono queste foto, qui sotto, che mostrano Azharuddin e Rubina nelle loro attuali case.











Il film è molto bello ripeto, ve lo consiglio, anche se queste buie notizie me l'hanno reso più amaro.
A voi le conclusioni finali.

venerdì 13 febbraio 2009

Vi racconto di Claude... - 1 parte

Sono a cena a casa di amici. La serata è piacevole, sui fornelli numerose pentole annunciano pietanze speciali, la musica si diffonde in tono non troppo alto dallo stereo, l’ambiente è confortevole e rilassante. La tavola è apparecchiata per cinque. Mi annunciano che ci sarà un ospite che non conosco, un loro amico, congolese, un ragazzo molto simpatico. Si chiama Claude. Quando “l’ospite” entra dalla porta ci presentiamo: è giovane, gli occhi grandi, i capelli corti e neri, un sorriso bianchissimo e timido, la pelle scura.
Manca ancora un po’ prima che il tutto sia pronto così, scoperto che Claude parla francese, iniziamo a discorrere: io da una parte rispolvero una lingua che se no rischio di non usare mai e dell’altra lui è ben felice di parlare la sua lingua madre. Ma non discutiamo delle solite cose. In quella cucina tutti sanno, tranne me. M’incuriosisco e ho voglia di capire. Così, con una naturalezza infinita, Claude mi parla di sé.
Claude è nato nella Repubblica Democratica del Congo, in una città normale, da una famiglia normale e ha sempre condotto una vita normale: i genitori erano abbastanza benestanti e gestivano un negozio, lui e i fratelli andavano a scuola dove veniva loro insegnato il francese e l’inglese (in famiglia si parlava una sorta di dialetto, mi specifica). Aveva sempre vissuto in quella città, moderna, come una qualunque città occidentale. La vita scorreva normalissima come scorre qui da noi.
Finchè le crepe già presenti da qualche anno in quella nazione, diventarono vere e proprie rotture: arrivò, arrivò la guerra civile.
I genitori di Claude capiscono subito, capiscono che la situazione diverrà infuocata. Guardano i loro figli: Claude, il più giovane, deve avere almeno una possibilità. Se resta tre i pericoli maggiori: essere forzatamente arruolato nell’esercito “regolare” o essere forzatamente arruolato nelle file dei ribelli. O morire.
I genitori si consultano, fanno la loro scelta. Raccolgono i risparmi, glieli danno. Lo portano da una persona di fiducia, da una sorta di “tassista” che invece dell’auto ha la bicicletta.
“Lui mi doveva portare fuori dal Congo” dice con voce pacata Claude, seduto davanti a me, con gli occhi che sembrano vedere immagini lontane. Il padre glielo affida, lo paga, lo rimette nelle sue mani. Claude comprende fin troppo bene, è intelligente, è sveglio, comprende quello che sta accadendo. Così, in pochi giorni, Claude deve dire addio: ai genitori, ai fratelli, ai parenti, agli amici, alla sua casa, ad una vita normale di un qualunque ragazzino di 14 anni. Istintivamente mi domando io come avrei reagito. “Raggiungere la Libia o la Tunisia” continua calmo Claude “Mio padre me lo ripetè più volte, dovevo arrivare in Europa e chiedere asilo politico, asilo politico”. Ripete la parola come se si immedesimasse in suo padre. A soli 14 anni Claude dice addio alla sua solita vita.
Mentre mi parla e il mio stomaco si fa granito, lui sembra sereno, ma gli occhi racchiudono uno stato che descrivere è difficile: accettazione, sofferenza, speranza, rabbia…
Claude saluta, saluta sapendo che chi lì rimane avrà poche probabilità di sopravvivere. Saluta tanto, prima di voltare le spalle, salire sulla bici e fissare la strada che lo porterà lontano.
Il viaggio nel Congo è unico: mi parla di foreste fittissime in cui muoversi per evitare la strade battute dai miliziani, di notti all’aperto sotto volte stellate infinite e un buio pesto. Poi, ogni tanto, lucine di fuochi di popoli tribali che li accoglievano senza problemi: “L’ospitalità per loro è sacra” mi dice ridacchiando. Scopre un Congo che neanche lui, congolese, conosceva.
Poi, Claude arriva al confine…
La mia amica ci annuncia che la cena è pronta. Tutti ci prepariamo alla gustosa cena.
“Continuiamo dopo?” chiedo a Claude con gran curiosità.
Mi fa di sì con la testa, abbozzando un sorriso da bambino. L’osservo, l’osservo in in quei suoi modi di fare discreti e timidi, e cerco di andare oltre le sue parole, cerco d’immaginare cosa deve aver provato. Perché non si fa compatire Claude, durante il racconto non parla di sofferenza, di tristezza…è riservato, è imbarazzato. Ma non è un blocco di ghiaccio, anzi, tutt’altro.
Mi chiedo incessantemente cosa si prova ad avere 14 anni e lasciare tutto per il nulla.
Penso a quelli come lui. Penso a chi si fa in quattro per aiutarli. Penso a chi li offende e li disprezza. Ma smetto di pensare, cerco di godermi la serata e attendo con ansia il continuo della sua storia, della vita di Claude.

domenica 1 febbraio 2009

L'infanzia negata

Questa settimana su Italia 1, al mattino presto, inizierà un cartone animato dal titolo un po’ poetico “Spicchi di cielo tra baffi di fumo” (Romio no aoi sora). L’anime fu prodotto nel 1995 dalla Nippon Animation.
Perché dovrei parlarvi di questo cartone? Perché spendere un post a dedicargli spazio?
Perché questo non è un cartone animato. Questo non è un semplice anime, non è né banale, né divertente, né fantasioso, né irreale. Questo è serio. Questo è pesante se sapete guardare oltre. Questo tratta una tematica drammatica e intrisa di sofferenza.
Il cartone fu tratto da un romanzo della svizzera Lisa Tetzner, “I Fratelli Neri” (Die Schwarzen Brüder), scritto nel 1941. Il romanzo fu in realtà scritto dal marito Kurt ma in quanto rifugiato politico in Svizzera gli era imposto il divieto di pubblicazione. Il libro racconta la vera storia dei ragazzi ticinesi che, ancora a metà del XIX secolo, venivano venduti/affittati a loschi personaggi che li portavano a Milano per lavorare come spazzacamini. Nello specifico il romanzo è ambientato nel 1839 e viene narrato il destino di Giorgio, un quattordicenne originario della Valle Verzasca venduto dal padre a un uomo senza scrupoli che lo porta a Milano a lavorare come spazzacamino. Il ragazzo condivide il viaggio verso il suo triste destino con altri bambini tra cui Alfredo, che diventa suo amico. A Milano, Giorgio e Alfredo vengono rivenduti a due differenti mastri spazzacamini. Sfruttati e costretti a subire ogni sorta di soprusi, i due giovani si riscattano grazie all'incontro e alla solidarietà con altri spazzacamini, riuniti attorno alla società segreta de "I Fratelli Neri". Nel 2007 fu composto anche un musical.
L’anime si rifà a grandi linee a questa trama. Attuale come non mai la tematica dei vari scontri tra il gruppo de “I Fratelli Neri”, composto dagli spazzacamini immigrati, e “I Lupi”, banda di altrettanti bambini-ragazzini milanesi poveri e semi-delinquenti.
La realtà degli spazzicamini era una realtà dura, molte volte letale. Spinte dalle ristrettezze, molte famiglie vendevano per pochi soldi i propri figli a inquietanti personaggi che li portavano nelle grandi città del nord Italia (ma anche a Parigi e Rotterdam) e li costringevano a lavorare come spazzacamini. Venduti per mesi e a volte anche per anni, questi ragazzini tra i 6 e i 16 anni vivevano in condizioni di vera schiavitù. Senza protezione, minacciati, sfruttati e anche malnutriti perché i loro padroni temevano che se si irrobustivano non sarebbero più riusciti ad entrare nel camino; spesso questi bambini finivano col perdere la vita: tubercolosi, asma, bronchiti croniche, polmonite, affaticamento cardiaco, silicosi. Un'odissea infantile, che colpì in generale tutto l'arco alpino ma raggiunse dimensioni impressionanti nelle valli del Verbano (Verzasca, Centovalli, Vallemaggia, Vigezzo e Cannobina). I primi spazzacamini in assoluto furono i Vigezzini, che troviamo in giro per l’Europa nella prima metà del 1500. Determinante fu sempre stato in questo mestiere l’apporto dei bambini i quali, con la loro esile statura, riuscivano ad infilarsi sulle cappe e ad assicurare con la raspa e lo scopino, che maneggiavano al buio, a tentoni, avendo il capo avvolto dalla “caparüza”, berretto privo delle aperture per gli occhi, un lavoro particolarmente accurato. Per mesi poi i bambini restavano senza potersi lavare, perchè più erano sporchi e più davano l'impressione di essere diligenti. Immaginate poi la paura del buio, la claustrofobia, i maltrattamenti, le ferite e le sbucciature non curate, la fuliggine sulla pelle e nei polmoni per mesi…
All'inizio del '900 erano diventate popolari le cartoline e i calendari con foto patetiche del bambino nero con la sua raspa e i vestiti laceri. Le mamme di città additavano i piccoli valligiani ai loro figli per richiamarli alla disciplina: se non facevano i bravi, li avrebbero fatti portar via «dall'uomo nero». Il fenomeno dei piccoli «rüsca» terminò da solo, tra il 1940 e il 1950, con la scomparsa dei caminetti, sostituiti dalle stufe e dai moderni sistemi di riscaldamento.
Magari provate a guardare qualche puntata di questo anime, le trovate anche su You Tube. Provate a mettervi nei panni dei bambini che vedete, pensate alla vostra infanzia e a quella di questi bambini. Provate a pensare che quello che state vedendo non è un cartone, ma è stata realtà.

giovedì 22 gennaio 2009

Mosh

La canzone che vi riporto tradotta qui sotto è di uno dei miei rapper preferiti, ovvero Eminem, dal titolo "Mosh". Trovo che il significato del testo sia stupendo, profondo e ribelle. Questo bel rap vuole essere una sorta di mio personale "bye bye" al signor W. Bush, ma anche un provocatorio "welcome" al signor Barack Obama, insediatosi da poco alla White House. E, perchè no, ritengo che questo duro rap possa essere dedicato a molti personaggi, presidenti e politici di varie nazioni.

MOSH
Io giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America e alla Repubblica, che significa.../Gente!/...Un’unica nazione, sotto Dio, indivisibile.../E' così bello essere tornati!/...Con libertà e giustizia per tutti.../Ora marciate insieme a me!
Controlli ogni parola che dico,/Memorizzi ogni rigo che butto fuori di getto, /Ricarichi, prendi energia e riavvolgi./Io dono la vista al cieco, /Il mio intuito attraverso la mente./Esercito il mio diritto /di espressione quando sento che è ora./È tutto nella tua testa./Come interpreti il fatto che/quando io dico di combattere tu intendi/ “Spaccherò il culo a qualcuno”?/Se non capisci, non avere timore/di chiedere spiegazioni./Sono un padre/ che è cresciuto senza padre/Che è esploso ora /Come un fenomeno del rap/ Non ho, o almeno non dimostro,/Difficoltà nell'affrontare le prove serie/E giocare di prestigio allo stesso tempo./Ho affinato le mie qualità d'imprenditore,/Ho contribuito a lanciare qualche nuovo rapper./Ho dovuto affronatre molti ostacoli/Durante l’ultima metà della mia carriera: /Sono le classiche "merdate"./Ho siperato il momento in cui/ero il Signor "Baciami-Il-Culo"./Ora faccio show di classe./Sono come "l’Uomo Elastico"/torno sempre indietro
Venite, seguitemi, /Perché io vi guido attraverso l’oscurità/Perché io vi offro abbastanza luce per poter procedere/Proseguite, datemi speranza, /Datemi forza, venite con me e non vi guiderò in modo sbagliato/Datemi la vostra fede e la vostra fiducia /Perché io guido tutti noi attraverso la nebbia/Verso la luce alla fine del tunnel/Lotteremo, caricheremo, /Cammineremo, /Marceremo attraverso il fango, passeremo attraverso la palude/Condurrò tutti noi dritto attraverso le porte /Andiamo!
Tutti i ricchi, /I poveri e quelli che stanno nel mezzo/Venite tutti insieme, /Raccoglietevi, accalcatevi/Lasciate che si costruisca dall’inizio alla fine./Tutto quello che puoi vedere è un oceano di uomini, /Alcuni bianchi, alcuni neri/Non importa il colore/Tutto ciò che importa è che/Siamo riuniti qui insieme/Per celebrare la stessa causa./Non importa come sia il tempo/Se piove lasciate che piova, /Si, più è bagnato meglio è/Loro non ci fermeranno, non possono,/Noi ora siamo più forti che mai/Loro ci dicono: No! Noi diciamo: Si! /Loro ci dicono: Basta! Noi diciamo: Avanti!/Ribelliamoci con un grido di rivolta, / Scateniamo l’inferno, gliela faremo vedere/Camminiamo, spingiamo, /Cacciamo, distruggiamo, / Gridate “Fanculo Bush!”/Finchè non riporteranno le nostre truppe a casa
Venite, seguitemi…
Immagina che piova e dirotto, /Che piova proprio su di noi/Mentre ci ripariamo nelle trincee/Fuori della Stanza Ovale/Qualcuno sta tentando di dirci qualcosa/Forse è Dio che ci dice solo /Che siamo responsabiliPer questo mostro, /Questo codardo a cui abbiamo dato il potere/Lui è il vero Bin Laden!/Guarda la sua testa china in avanti./Come potremmo permettere /Una cosa come questa/Senza agitare i pugni/Adesso è/Questa per noi l’ora decisiva/Lasciatemi essere la voce /E la vostra forza e la vostra scelta/Lasciatemi semplificare la rima /Giusto per amplificare il rumore/Cerco di amplificarlo, di eseguirlo a tempo, /E moltiplicarlo per sedici milioni di persone tutte uguali /A un volume così alto/Che forse possiamo raggiungere Al’ Qaeda /Attraverso la mia voce/Lascia che il presidente affronti da solo /Un’estrema anarchia/Dategli un AK-47,/Lascialo andare a combattere la sua guerra personale/In modo che possa impressionare suo padre/Non più sangue per il petrolio, /Noi abbiamo già le nostre battaglie /Da combattere nel nostro paese/Niente più guerra psicologica, /Per ingannarci a pensare che non siamo leali/Se non serviamo il nostro paese. /Stiamo patrocinando un eroe/Ma guarda nei suoi occhi: sono tutte bugie/Le stelle e le strisce /Sono state rubate, / Lavate via e asciugate /E sostituite con la sua stessa faccia, /Decidi se ribellarti oppure morire/Se questa notte verrò ucciso saprai il motivo/Perché ti ho detto di lottare!
Venite, seguitemi…
E se dovessero chiedrci il motivo/Per cui tentiamo di fa cessare/L’operazione “Tempesta nel Deserto”/ Dichiarandone ufficialmente la chiusura/Diremo loro che vogliamo fare la differenza/Perché noi mettiamo da parte le nostre differenze /E assembliamo il nostro esercito personale/Per disarmare quest’Arma di Distruzione di Massa /Che noi chiamiamo il nostro Presidente/Lo faremo per la generazione di oggi/E la generazione che verrà in futuro/Per parlare ed essere ascoltati/Signor Presidente! Signor Senatore!/Ci state ascoltando?!

mercoledì 21 gennaio 2009

Premio Dardos

E' con gratitudine che ricevo dall'amico di blog LuCa il premio Dardos, riconoscimento che viene consegnato ai blogger che hanno dimostrato impegno nel trasmettere valori culturali, etici, letterari o personali.

Il regolamento prevede che quando si accetta (ovviamente non si è obbligati) il premio si deve comunicare il regolamento, visualizzare il logo del premio, linkare il blog che ci ha premiato e premiare altri 15 blog meritevoli, avvisandoli .

Obiettivamente per me premiare 15 blog è troppo, quindi decido di conferirlo ad un solo blog, che penso incarni in pieno il valore di questo premio. Ovvero:

- Lo SpaziAle

domenica 11 gennaio 2009

L'odio delle nuove generazioni

Vorrei che guardaste per qualche secondo queste immagini. Soffermatevi un attimo, lasciate che la vostra mente pensi, rifletta.









Forse il governo d’Israele מדינת ישראל non riesce o non vuole capire un concetto molto semplice ed elementare, sostenuto anche dalla storia del passato. Se porti la fame, la disperazione, il lutto, se non fai passare i medicinali, se distruggi tutto, cosa pensi resti alla maggioranza del popolo palestinese? L’odio. Come scrive il palestinese Raed Debie su Peace Reporter Cosa vi aspettate da bambini che crescono sotto i missili e i bombardamenti israeliani? Cosa vi aspettate da bambini come Dalal Abu Aishy, a cui un razzo israeliano ha rubato tutta la famiglia? (…) Qualsiasi sondaggio renderà manifesto l'odio verso Israele nel mondo arabo, e mostrerà anche la dimensione del consenso verso Hamas. Questa è la più grande minaccia che Israele si trova a fronteggiare: l'estremismo delle prossime generazioni di oppressi. C'è un proverbio arabo che dice "se semini sangue non cresceranno rose". "Seminare" missili non porterà sicurezza e la "coltivazione" di barriere non produrrà pace. La comunità internazionale dovrebbe tornare a guardare alla sostanza e comprendere la storia dei bambini della Palestina فلسطين, quando in futuro diventeranno adulti”. Prima di lui questo concetto fu espresso da un certo Publio Cornelio Tacito che scrisse “Metus ac terror sunt infirma vincla caritatis; quae ubi removeris, qui timere desierint, odisse incipient". (La paura e il terrore sono fiacchi vincoli d’affetto; quando li avrai spezzati, coloro che avranno cessato di temere, cominceranno ad odiare). Se togli tutto, rimarrà solo l’odio. Che verrà coltivato, con cura, anno dopo anno, dolore dopo dolore; e non si dovranno rapire i bambini, come sta accadendo nelle guerre in vari stati dell’Africa, no, qui è più simile allo Sri Lanka, dove i ragazzini Tamil vanno spontaneamente con le Tigri, o come i guerriglieri ragazzini Karen della Birmania. Perché se ti hanno portato via tutto, se vivi nella miseria, è facile imparare ad odiare e sei tu stesso che vuoi combattere.
Così avviene ed avverrà nella Striscia di Gaza.
Poi si troveranno sempre persone estremiste di natura e di convinzione che su questa cosa ci campano, e allora fare un lavaggio del cervello ai ragazzini della Striscia sarà molto semplice, insegnar loro ad odiare ancora di più, ad odiore tutto il popolo d’Israele, tutta l’America, tutto ciò che non è islamico, sarà troppo semplice.
Governo d’Israele, possibile che non capisci tutto questo? Non capisci che più rifiuterai il dialogo più l’estremismo avanzerà? E sarà sempre più difficile mettersi ad un tavolo a parlare…
E poi le manifestazioni aumentano, a dismisura,
anche se l’Arabia Saudita e l’Egitto per ora stanno abbastanza in silenzio, dalle altre parti tutti gli islamici solidarizzano con i palestinesi. E io li ammiro, ammiro questa loro coesione, questo loro senso di fratellanza; sapete perché? Perché anch’io, che non sono islamica, solidarizzo in questo momento con i palestinesei, ma solidarizzo anche con i fratelli cristiani dell’Orissa उड़ीसा, che stanno venendo massacrati dagli estremisti indù nel silenzio non solo del governo indiano ma anche del mondo. E provo invidia verso la solidarietà degli islamici, che non vedo invece nei miei cari fratelli cristiani.

I bambini, i ragazzini soldato mi fanno una grande tristezza, perché non hanno infanzia nè futuro, e perché l’odio, purtroppo, ti cancella tanti di quei sentimenti che varrebbe la pena avere. Sì, anch’io mi faccio la stessa domanda di Raed Debie e mio malgrado vedo la sua stessa, identica risposta.

giovedì 8 gennaio 2009

Premio Kreativ Blogger

Ammetto che è con piacevole stupore che ricevo da Andrew il premio Kreativ Blogger, premio assegnato ai blog che si sono distinti per il modo esauriente e personale in cui trattano le notizie.
Che dire Andrew, non me l'aspettavo ^^ e ti ringrazio molto.

Il regolamento del premio è quello di scrivere un post, citando il nome di chi ti ha assegnato il premio e il link del suo blog e premiare un minimo di 7 blog (o anche più) se credi siano
meritevoli.

Ora tocca a me...visto il tema del premio, 7 blog per me sono un pò tanti anche perchè non ho una lista "amici" lunghissima, mi limiterò quindi a 5; ma questi 5 se lo meritano in pieno!
Il premio lo assegno (in ordine alfabetico) ai seguenti blog amici:

venerdì 2 gennaio 2009

50 aniversario del triunfo de la Revolución

Discurso pronunciado por el Presidente de los Consejos de Estado y de Ministros de la República de Cuba, General de Ejército Raúl Castro Ruz, en el acto por el aniversario 50 del triunfo de la Revolución, efectuado en Santiago de Cuba, el 1ro. de enero de 2009, “Año del 50 aniversario del triunfo de la Revolución”
Santiagueras y santiagueros;
Orientales;
Combatientes del Ejército Rebelde, la lucha clandestina y de cada combate en defensa de la Revolución durante estos 50 años;
Compatriotas:
El primer pensamiento, un día como hoy, para los caídos en esta larga lucha. Ellos son paradigma y símbolo del esfuerzo y el sacrificio de millones de cubanos. En estrecha unión, empuñando las poderosas armas que han significado la dirección, las enseñanzas y el ejemplo de Fidel, aprendimos en el rigor de la lucha a transformar sueños en realidades; a no perder la calma y la confianza frente a peligros y amenazas; a levantar el ánimo tras los grandes reveses; a convertir en victoria cada reto y a superar las adversidades, por insuperables que pudieran parecer.
Por primera vez el pueblo cubano alcanzaba el poder político. En esta ocasión, junto a Fidel, los mambises sí entraron a Santiago de Cuba. Atrás quedaban 60 años exactos de dominación absoluta del naciente imperialismo norteamericano, que no tardaría en mostrar sus verdaderos propósitos, al impedir la entrada a esta ciudad del Ejército Libertador.
Para nosotros quedó claro que la lucha armada era la única vía. A los revolucionarios se nos planteaba nuevamente, como a Martí antes, el dilema de la guerra necesaria por la independencia que quedó trunca en 1898. El Ejército Rebelde retomó las armas mambisas y después del triunfo se transformó para siempre en las invictas Fuerzas Armadas Revolucionarias.
La síntesis magistral de Nicolás Guillén resumió el significado para el pueblo del triunfo de enero de 1959: “Tengo lo que tenía que tener”, dice uno de sus versos, refiriéndose no a riquezas materiales, sino a ser dueños de nuestro destino.
Es una victoria doblemente meritoria, porque ha sido alcanzada a pesar del odio enfermizo y vengativo del poderoso vecino.
Esta heroica ciudad de Santiago, y Cuba entera, fue testigo del sacrificio de miles de compatriotas; de la ira acumulada ante tanta vida tronchada por el crimen; del dolor infinito de nuestras madres y del valor sublime de sus hijas e hijos.
¡Nunca más volverán la miseria, la ignominia, el abuso y la injusticia a nuestra tierra!
¡Jamás regresará el dolor al corazón de las madres ni la vergüenza al alma de cada cubano honesto!
Es la firme decisión de una nación en pie de lucha, consciente de su deber y orgullosa de su historia.
No creemos que todos los problemas se vayan a resolver fácilmente, sabemos que el camino está trillado de obstáculos, pero nosotros somos hombres de fe, que nos enfrentamos siempre a las grandes dificultades. Podrá estar seguro el pueblo de una cosa, que es que podemos equivocarnos una y muchas veces, lo único que no podrá decir jamás de nosotros es que robamos, que traicionamos.
Hagámoslo con la satisfacción de haber cumplido el deber hasta el presente; con el aval de haber vivido con dignidad el más intenso y fecundo medio siglo de historia patria y con el firme compromiso de que en esta tierra siempre podremos exclamar con orgullo:
¡Gloria a nuestros héroes y mártires!
¡Viva Fidel!
¡Viva la Revolución!
¡Viva Cuba libre!
( Per il testo integrale vedi sito: http://www.granma.cu/index.html )