venerdì 25 luglio 2008

Certo hai ragione, la vita fugge via, ma il tempo non è altro che una dimensione...

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perchè con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perchè sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

(Eugenio Montale, Satura, Xenia II)



Per tutti quei viaggi che mi hai fatto fare stando fermi in casa, solo con la forza della tua voce e dei tuoi ricordi. Per avermi fatto viaggiare indietro nel tempo e avermi fatto conoscere un sacco di persone.
Perchè c'è chi sa far viaggiare anche anche solo a parole.
Grazie. Grazie di tutto.
Atque in perpetuum, ave atque vale...

martedì 15 luglio 2008

Buonanotte Italia...

Leonardo Sciascia disse "Il nostro è un paese senza memoria e verità. Ed io per questo cerco di non dimenticare".
Fu un ottimo scrittore, a volte scomodo, una di quelle personalità di spessore che per questo si studiano poco a scuola. Scrisse quella frase e ci azzeccò in pieno: spesso, siamo un paese senza memoria. E verità.

19-21 luglio 2001, G8 di Genova
Oggi, martedì 15 luglio 2008...

"Chiesti 76 anni. Condannati in 15 a 24. Grazie alla prescrizione nessuno pagherà.
Quindici condannati e 30 assolti dopo 11 ore di Camera di consiglio. Quando il giudice Delucchi legge la lunga sentenza sono in molti a scuotere la testa nei banchi occupati dalle parti civili e dai loro legali. Un calcolo sommario arriva a contare 24 anni complessivi comminati a un terzo dei 45 imputati, pene quasi tutte condonate, aggravanti tutte escluse. E nessuno è stato condannato per falso ideologico, l'unico reato che avrebbe resistito alla prescrizione. Una sentenza che nei fatti non riconosce le torture ma soltanto alcuni maltrattamenti specifici. La pena più alta (5 anni, 8 mesi e 5 giorni) era stata chiesta per Antonio Biagio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria, responsabile della sicurezza del centro di detenzione provvisorio. Non avrebbe avuto nulla da ridire che i detenuti fossero costretti dai suoi uomini faccia al muro, in piedi: la cosiddetta posizione del cigno. Di suo si sarebbe pure levato lo sfizio di prendere a calci, pugni e manganellate alcuni degli arrestati nel corso dell'identificazione. Tra gli imputati figura, tra gli altri, Alessandro Perugini, all'epoca dei fatti vice capo della Digos di Genova, per il quale i pm avevano chiesto 3 anni e 6 mesi. E' stato condannato a 2 anni e 4 mesi. Perugini è il più famoso per il cortometraggio di cui è protagonista assoluto: lui, in borghese, che prende un paio di volte la rincorsa per sfigurare meglio un minorenne di Ostia tenuto fermo da alcuni robocop travisati" (...)

Io dovevo andare al G8 di Genova, con un'amica. Ricordi Kiki? Un "disguido" proprio dell'ultimo minuto e tutto è saltato. Mi ricordo che mio nonno mi disse "Se fossi stato un pò più giovane ti avrei accompagnato io!" E i suoi occhi brillavano mentre mi diceva quelle parole, ci teneva proprio a venire. Chissà, avrei potuto esserci io fra le mani degli sciacalli con la divisa a prendere botte su botte, a vedermi spaccare la testa, ad incassare i loro calci; o magari la mia amica. O magari mio nonno. Tanto, lo si sa bene, non hanno guardato in faccia a nessuno: donne, uomini, minorenni...tutti da braccare e pestare, con la bava alla bocca, proprio come le belve. Ho visto un bel documentario sul G8, dal titolo "Bella Ciao". Sono riuscita a vederlo solo una volta, bloccando di continuo l'immagine; stavo male, non ce la facevo a reggerlo tutto d'un botto. E v'assicuro che non erano fotomontaggi, nè casi isolati: gente caricata all'improvviso, molta della quale aveva fatto sin lì una manifestazione pacifica, picchiata con una ferocia da camicie nere, da fanatici, da persone in divisa invasate che magari si sentivano protette dall'alto (chissà chi c'era al Governo allora...). Ci mancava solo che un altro Bava Beccaris ordinasse di sparare sulla folla...
Non tutti i poliziotti e i carabinieri sono belve. Generalizzare, fare del qualunquismo, non è da me. Però in quell'occasione molti si sporcarono la coscienza di sangue, con azioni da veri picchiatori, da branco, con sevizie e torture fisiche e psicologiche.
Aspettavamo la giustizia. Di quell'Italia della Breccia di Porta Pia, di quell'Italia che sconfisse unita i nazi-fascisti, di quell'Italia che nonostante tutto mi piace.
Non è arrivata.
E l'amaro in bocca è tanto. Di più la rabbia. E la volontà di non dimenticare, mai.
L'unica consolazione, per me, è sapere che almeno esiste una giustizia divina.


giovedì 3 luglio 2008

Notizie dalla Mонгол Улс

Mongolia, lo zampino di Soros

L'Open Society Institute dietro la rivolta di Ulan Bator

Dietro la rivolta popolare che ieri ha messo a ferro e fuoco la capitale della Mongolai, Ulan Bator, c’è lo zampino di George Soros, il filantropo statunitense che per mezzo della sua organizzazione mondiale – l’Open Society Institute – ha pianificato e finanziato tutte le ‘rivoluzioni colorate’ che nei paesi ex-comunisti hanno prodotto cambi di regime a vantaggio degli interessi economici e geopolitici occidentali.

Oggi a Ulan Bator regna una calma apparente.
Si contano i morti di ieri, almeno cinque, e i feriti, centinaia, come le persone arrestate dalla polizia durante gli scontri. Il governo ha imposto lo stato d’emergenza e il coprifuoco notturno, ordinando alle forze dell’ordine di usare la forza per impedire nuove proteste. La sede centrale del Partito comunista mongolo (Mprp) e la Galleria d’arte nazionale sono stati distrutti dalle fiamme appiccate dai manifestanti. Devastati dai saccheggi tutti gli uffici governativi. La rivolta è esplosa dopo che il Partito democratico d’opposizione, guidato da Tsakhia Elbegdorj, ha disconosciuto la vittoria del partito comunista di governo alle elezioni parlamentari di domenica scorsa, dicendo che il voto è stato truccato per impedire il vero risultato, ovvero la vittoria dell’opposizione. In realtà, gli osservatori internazionali avevano giudicato regolare il voto del 29 giugno.

Un nuovo terreno di scontro tra est e ovest.
I due partiti – filo-russo e filo-cinese il comunista, più filo-occidentale e liberista il democratico – sono in disaccordo su come gestire i grandi giacimenti d’oro, rame e carbone appena scoperti sotto le steppe mongole. Per l’Occidente, un cambio di governo significherebbe la possibilità di avere concessioni di sfruttamento, che altrimenti andrebbero tutte a Russia e Cina. Inoltre, gli Stati Uniti sognano da tempo di aprire una base militare in Mongolia, strategicamente cruciale vista la sua posizione geografica. Ma questa opzione sarebbe teoricamente realizzabile solo con un governo diverso da quello attuale.
Tre mesi prima delle elezioni, il 27 e 28 maggio scorso, l’Open Society Institute ha organizzato a Ulan Bator una conferenza in vista delle elezioni, allo scopo di “preparare la società civile mongola a monitorare il voto di giugno”. Al seminario, tutto spesato dall’organizzazione si Soros, hanno partecipato i rappresentanti dell’opposizione mongola, ong locali e delegazioni straniere provenienti anche da Georgia e Ucraina, dove le rivoluzioni di piazza del 2003 e 2004 hanno portato al potere governi che hanno spalancato le loro porte agli investimenti occidentali e alla Nato.

Tratto da Peace Reporter (
http://www.peacereporter.net/)

C'è al mondo gente che crede di poter fare quello che vuole e ficca il naso in questioni che non la riguardano. Fossero poi almeno brave persone. Purtroppo non lo sono e a pagare non sono loro, perchè questa gente se ne sta nelle retrovie, manda avanti gli altri. E per cosa poi? Stupidi interessi economici, ovvero soldi. Sempre loro.
Spero con tutto il cuore che la situazione ad Ulan Bator torni tranquilla, che i legittimi vincitori (ovvero il Partito Popolare Rivoluzionario Mongolo) possano governare come spetta loro di diritto. E che l'Open Society Institute taccia per sempre.

venerdì 27 giugno 2008

Dall'Italia agli USA, dal Sudan al Kenya, e di nuovo in questa Italia...Lascio la parola a Padre Alex

E' agghiacciante quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese.

I campi Rom di Ponticelli (Na) in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza del ministro Maroni, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne offrono una agghiacciante fotografia dell'Italia 2008.
«Mi vergogno di essere italiano e cristiano», fu la mia reazione rientrato in Italia da Korogocho, all'approvazione della legge Bossi-Fini (2002). Questi sei anni hanno visto un notevole peggioramento del razzismo e xenofobia nella società italiana, cavalcata dalla Lega (la vera vincitrice delle elezioni 2008) e incarnata oggi nel governo Berlusconi (posso dire questo perché sono stato altrettanto duro con il governo Prodi e con i sindaci di sinistra da Cofferati a Dominici...).

Oggi doppiamente mi vergogno di essere italiano e cristiano.

Mi vergogno di appartenere ad una società sempre più razzista verso l'altro, il diverso, la gente di colore e soprattutto il musulmano che è diventato oggi il nemico per eccellenza.
Mi vergogno di appartenere ad un paese il cui governo ha varato un pacchetto-sicurezza dove essere clandestino è uguale a criminale. Ritengo che non è un crimine migrare, ma che invece criminale è un sistema economico-finanziario mondiale (l'11% della popolazione mondiale consuma l'88% delle risorse) che forza la gente a fuggire dalla propria terra per sopravvivere. L'Onu prevede che entro il 2050 avremo per i cambiamenti climatici un miliardo di rifugiati climatici. I ricchi inquinano, i poveri pagano. Dove andranno? Stiamo criminalizzando i poveri?
Mi vergogno di appartenere ad un paese che ha assoluto bisogno degli immigrati per funzionare, ma poi li rifiuta, li emargina, li umilia con un linguaggio leghista da far inorridire.
Mi vergogno di appartenere ad un paese che dà la caccia ai Rom come se fossero la feccia della società. Questa è la strada che ci porta dritti all'Olocausto (ricordiamoci che molti dei cremati nei lager nazisti erano Rom!). Noi abbiamo fatto dei Rom il nuovo capro espiatorio.
Mi vergogno di appartenere ad un popolo che non si ricorda che è stato fino a ieri un popolo di migranti («quando gli albanesi eravamo noi»): si tratta di oltre sessanta milioni di italiani che vivono oggi all'estero. I nostri migranti sono stati trattati male un po' ovunque e hanno dovuto lottare per i loro diritti. Perché ora trattiamo allo stesso modo gli immigrati in mezzo a noi? Cos'è che ci ha fatto perdere la memoria in tempi così brevi? Il benessere? Come possiamo criminalizzare il clandestino in mezzo a noi? Come possiamo accettare che migliaia di persone muoiano nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per arrivare nel nostro "Paradiso"? E' la nuova tratta degli schiavi che lascia una lunga scia di cadaveri dal cuore dell'Africa all'Europa.
Mi vergogno di appartenere ad un paese che si dice cristiano ma che di cristiano ha ben poco. I cristiani sono i seguaci di quel povero Gesù di Nazareth crocifisso fuori le mura e che si è identificato con gli affamati, carcerati, stranieri. «Quello che avrete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me». Come possiamo dirci cristiani mentre dalla nostra bocca escono parole di odio e disprezzo verso gli immigrati e i Rom? Come possiamo gloriarci di fare le adozioni a distanza mentre ci rifiutiamo di fare le "adozioni da vicino"? Come è possibile avere comunità cristiane che non si ribellano contro queste tendenze razziste e xenofobe? E quand'è che i pastori prenderanno posizione forte contro tutto questo, proprio perché tendenze necrofile?

Come missionario, che da una vita si è impegnato a fianco degli impoveriti della terra, oggi che opero su Napoli, sento che devo schierarmi dalla parte degli emarginati, degli immigrati, dei Rom contro ogni tendenza razzista della società e del nostro governo. Rimanere in silenzio oggi vuol dire essere responsabili dei disastri di domani.
Vorrei ricordare le parole del pastore Martin Niemoeller della Chiesa confessante sotto Hitler:
«Quando le SS sono venute ad arrestare i sindacalisti, non ho protestato perché non ero un sindacalista.
Quando sono venute ad arrestare i Rom non ho protestato perché non ero un Rom.
Quando sono venute ad arrestare gli Ebrei non ho protestato perché non ero un Ebreo.
Quando alla fine sono venute ad arrestare me non c'era più nessuno a protestare».

Non possiamo stare zitti, dobbiamo parlare, gridare, urlare. E' in ballo il futuro del nostro paese, ma soprattutto è in ballo il futuro dell'umanità anzi della vita stessa.

Diamoci da fare perché vinca la vita!

Di
Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano (http://www.nigrizia.it/)

sabato 14 giugno 2008

Ricordi vivissimi d'una foto

In questi giorni mi sono messa a sfogliare qualche album di foto, durante una pausa tra un capitolo di studio e l’altro.
Mi sono tornate in mano le foto degli Stati Uniti, di quando feci quel viaggio nel lontano 1994. E’ passato moltissimo tempo da allora, eppure una cosa m’è rimasta impressa dentro, come se fosse ieri: i giorni che passammo a contatto con i Nativi Americani, che vedemmo dove vivevano, che visitammo i luoghi della loro storia, che parlammo con quel nativo, un Navajo, di cui ricordo ancora il nome…Roy...
La memoria ha fatto scattare qualcosa dentro di me e la mia mente s’è messa a ricordare come in un film. Quegli spazi infiniti, quella terra impregnata di sangue, quei nativi pieni di dignità e coraggio nonostante l'arroganza dei "coloni", quelle memorie mai degnamente ricordate dall’ufficialità della storia di stato americano…quei fili di ferro in quella specie di deserto che delimitavano ciò che il governo americano aveva “donato” ai nativi, ovvero le cosidette riserve (sulle quali le nostre TV tacciono da sempre, mentre ce ne sarebbero di cose da dire! Per esempio tirare in ballo qui il concetto di "genocidio culturale")
Un groppo alla gola, terribile; gli occhi offuscati non solo dalla miopia; lo stomaco di granito. Ho estratto una foto e richiuso l’album. La mia mente è partita per un viaggio di quasi un’ora, tra ricordi, emozioni, domande, insulti…In sottofondo quella canzone, Creek Mary's Blood, dei Nightwish.
Ho pianto, di rabbia e tristezza.
Roy...dove sei? Where are you?...



Sangue di Creek Mary
Presto io non sarò più qui / Sentirai questa storia / Attraverso il mio sangue / Attraverso la mia gente / E il pianto dell'aquila / L'orso dentro di me non si sdraierà mai per riposare / Camminando sulla Strada per l'Orizzonte / Seguendo la scia delle lacrime / L'uomo bianco venne / Vide la terra benedetta / Noi ci tenevamo, voi la prendeste / Tu combattesti, noi perdemmo / Non una guerra, ma una battaglia sleale / Paesaggi dipinti magnificamente con il sangue / Camminando sulla Strada per l'Orizzonte / Seguendo la scia delle lacrime / Un tempo noi eravamo qui /Dove abbiamo sempre vissuto sin dall'inizio del mondo / Dal tempo in cui lui stesso ci diede questa terra / Le nostre anime incontreranno di nuovo la natura / La nostra casa nella pace, nella guerra, nella morte /Camminando sulla Strada per l'Orizzonte...
"Continuo a sognare tutte le notti / I lupi, i bisonti, le infinite praterie / I venti agitati sopra le cime delle montagne / La frontiera incontaminata dei mie amici e parenti /La terra consacrata al Grande Spirito / Continuo a credere / In ogni notte / In ogni giorno / Io sono come il caribù /E voi come i lupi che mi fanno più forte / Noi non vi abbiamo mai dovuto niente / Il nostro unico debito è una vita per nostra Madre / E' stato un buon giorno per cantare questa canzone / Per Lei / Il nostro spirito era qui da tempo prima di voi / Prima di noi / E a lungo sarà dopo che il vostro orgoglio vi porterà / alla vostra fine".
"Hanhepi iyuho mi ihanbla ohinni yelo / O sunkmanitutankapi hena, / sunkawakanpi watogha hena, / oblaye t’ankapi oihankesni hena / T’at’epi kin asni kiyasni hea / katanhanpi iwankal / Oblaye t’anka kinosicesni mitakuyepi òn / Makoce kin wakan / WakanTanka kin òn / Miwicala ohinni - Hanhepi iyuha / kici - Anpetu iyuha kici halo / Mi yececa hehaka kin yelo, nani yececa sunkmanitutankapi / kin ka mikaga wowasaka isom / Uncipi tuweni nitaku keyas ta k’u / Unwakupi e’cela e wiconi / wanji unmakainapi ta halo /Anpetu waste e wan olowan / le talowan winyan ta yelo / Unwanagi pi lel e nita it’okab o’ta ye /Untapi it’okab o’ta / Na e kte ena òn hanska ohakap / ni itansni a’u nita ihanke halo

venerdì 6 giugno 2008

Propagande incrociate: due o tre cose sul Tibet che nessuno osa dire

Quando gli elefanti combattono, dice un proverbio africano, a rimetterci è l'erba.
Nel caso poi in cui gli elefanti sono pesi massimi come Cina e Stati Uniti, entrambi molto abili nell'utilizzare il circo mediatico, il destino dell'erba (i tibetani) sembra segnato.
A noi spettatori dell'ennesima tragedia, ormai consapevoli che le cose peggiori sono quelle che nessuno racconta, non resta che scegliere a caso fra una valanga di informazioni impossibili da verificare. Pochi, fra i giornalisti e i simpatizzanti dei monaci arancioni, amano ricordare il ruolo recitato dalla Cia in questa regione da cinquant'anni, un ruolo importante per la sopravvivenza della leadership tibetana in esilio ma decisamente controproducente per quelli che sono restati nel territorio occupato dai cinesi.
La Cia ha cominciato a condurre operazioni su vasta scala in Tibet fin dal 1956, cosa che ha condotto alla disastrosa sollevazione del '59, con decine di migliaia di morti e la fuga del Dalai Lama e dei suoi seguaci in India e in Nepal. Quel primo insuccesso non portò il Dipartimento di Stato a più miti consigli, al contrario: venne allestito un campo di addestramento per la guerriglia tibetana a Leadville, in Colorado, che continuerà a funzionare fino al 1966. La Tibetan Task Force della Cia, invece, continuerà a operare fino al 1974 - presumibilmente la fine di questo programma fu una delle promesse che Nixon fece nel suo storico incontro con la leadership cinese a Pechino. Secondo un reportage dedicato a questa storia dal Washington Post nel 1999, gli insuccessi della Cia furono dovuti ad alcune circostanze decisamente sottostimate dagli analisti, come ad esempio il risentimento della popolazione verso il passato regime. I tibetani avevano paura del ritorno degli aristocratici fuggiti con il Dalai Lama perchè, soprattutto i contadini, temevano di dover restituire ai nobili la terra che era stata loro assegnata con la riforma agraria. Insomma, nemmeno i più ferventi buddisti volevano tornare a fare i servi della gleba per i potenti latifondisti che erano la spina dorsale della teocrazia di Lhasa.
Con l'apertura al capitalismo voluta da Deng Xiaoping, però, i tibetani finiscono col perdere i pochi benefici conquistati sotto i cinesi e la Cia, approfittando dello scontento, ci riprova. Il suo contributo alla rivolta del 1987 non è documentato come i precedenti ma è abbastanza certo, così com'è certo che andò a finire male: la repressione cinese fu durissima e continuò fino al 1993, con il risultato che le timide aperture verso una maggiore autonomia del Tibet vennero soffocate nel sangue. La Cia comunque continuò attivamente a lavorare secondo la strategia utilizzata in Afghanistan e, più tardi, in Kosovo: tanta propaganda e tante armi leggere, contrabbandate nel paese da ogni luogo del mondo.
Oggi, con la vetrina delle Olimpiadi già aperta, l'occasione di dare una spallata al gigante, già in precario equilibrio per le rivendicazioni della minoranza musulmana, è troppo ghiotta per non approfittarne. Se gli occidentali tacciono queste informazioni importanti, anche i cinesi non scherzano. Nessuno ha detto, per esempio, che Pechino ha inviato in zona l'esercito - la 149° divisione di fanteria meccanizzata - e ha allestito un Centro di comando a Lhasa affidato a Zhang Qingli, segretario del Partito tibetano vicinissimo al presidente Hu Jintao. Inutile dire che, se si fosse trattato di semplici disordini provocati da elementi criminali, come sostiene Pechino, sarebbe stata mandata la polizia, non certo reggimenti dotati dei più moderni mezzi corazzati. Con questa decisione il governo centrale dimostra di temere la sollevazione su larga scala, un'ingerenza diretta di Washington oppure le due cose insieme. Molto probabilmente Pechino è consapevole che stavolta lo scontento è ben più ampio proprio per via delle riforme turbo-capitaliste con cui si è cercato di modernizzare il paese. E qui veniamo all'ultimo punto di cui nessuno scrive: la sollevazione tibetana, che con il suo carico di violenza ha messo in imbarazzo perfino il Dalai Lama, è causata soprattutto dall'inasprimento delle condizioni di vita degli abitanti autoctoni, prevalentemente contadini, cui è stato riservato lo stesso trattamento che provoca ogni anno decine di migliaia di rivolte nell'intero paese. Gli effetti deleteri delle riforme che hanno cancellato importanti conquiste - come ad esempio il sistema sanitario generalizzato - mentre la marcia devastante delle fabbriche a basso costo inquina i fiumi e sottrae terra coltivabile agli agricoltori, si somma in Tibet con il risentimento causato da una colonizzazione che mira a cancellare le specificità culturali e a mettere il guinzaglio alla religione.
A tutto ciò si aggiunge l'effetto Kosovo: la disinvoltura con cui Washington e alcuni paesi europei (fra cui l'Italia) hanno violato l'integrità territoriale di una nazione sovrana, induce Pechino ad avere la mano particolarmente pesante.


E, come al solito, a rimetterci è l'erba.



Articolo di Sabina Morandi (Brianza Popolare)

giovedì 29 maggio 2008

Con inmenso pesar informamos...

Con inmenso pesar informamos que nuestro comandante en jefe, Manuel Marulanda Vélez, murió el pasado 26 de marzo como consecuencia de un infarto cardíaco en brazos de sus compañera, acompañado de su guardia personal y de sus compañeros

El miembro del secretariado y vocero de las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC), Timoleón Jimenez, confirmó a través de un video enviado a TeleSUR, la muerte del líder y fundador de este grupo armado, Manuel Marulanda, también conocido como "Tirofijo".

Pedro Antonio Marin (Tirofijo) nasce nel maggio del 1930 da una famiglia contadina.
Dopo la morte del leader del Partito Liberale, Jorge Eliecer Gaitán, entra a far parte della guerriglia e partecipa alla guerra civile colombiana. Tra il 1948 e il 1953 combatte contro le forze governative e in favore dei diritti degli agricoltori più poveri; nel 1953 assume il comando di un gruppo di autodifesa agraria comunista. Nello stesso anno avviene il golpe con il quale il generale Gustavo Rojas rovescia il presidente e leader dei conservatori Laureano Gómez. Nel 1958 cade il regime e finisce la guerra civile e i due principali partiti colombiani, i Conservatori moderati e i Liberali, sottoscrivono un accordo per la formazione del Fronte nazionale, un mostro antidemocratico attraverso il quale governano il Paese escludendo dalla partecipazione elettorale tutti gli altri movimenti politici. Marquetalia, enclave rurale dove la guerriglia aveva combattuto e vinto durante la guerra civile, viene attaccata nell’ottica di una strategia globale anti-comunista (i contadini che si erano rifiutati di collaborare con il regime avevano creato nuove forme di convivenza, Marquetalia ne era un esempio). Nel 1964 il governo, appoggiato dall'aviazione statunitense, scatena una gigantesca offensiva militare. Uno degli insediamenti colpiti è appunto Marquetalia, villaggio rurale composto da non più di 50 agricoltori e capeggiato da Tirofijo. E’ da quella resistenza che nascono le Farc-EP, le Forze Armate Rivoluzionarie che combattono incessantemente fino al 1984, anno in cui viene siglato un accordo di pace con il governo conservatore di Belisario Betancur, che si impegna a lanciare un programma di riforme sociali e istituzionali in cambio di un impegno che permetta di promuovere un ampio movimento politico di sinistra, l'Unión Patriotica (Up). Dopo soli sei mesi l’Up ottiene un imprevedibile consenso elettorale e diventa il punto di riferimento delle masse operaie e contadine. Il cambiamento è tale che il partito conservatore e liberale non lo accettano: la repressione non tarda ad arrivare. Nell ’86 cominciano «los años de los sicarios». I sicari, molto spesso agenti dei servizi segreti, organizzati da generali dell’esercito e dalla destra, cominciano ad ammazzare, a matar, sistematicamente, chiunque è (o è sospettato) comunista, dirigente di sinistra, sindacalista, militante, studente impegnato.
E’ una strage. Es una masacre.
Le organizzazioni di guerriglia, precedentemente smobilitate, riprendono a combattere e Tirofijo torna a guidare le Farc-Ep.

"Ante el altar de la patria juramos vencer"

lunedì 19 maggio 2008

Alla ricerca del Nirvana perduto...

Non so voi, ma io a volte vorrei lasciare il caos metropolitano e periferico, vorrei non vedere più palazzi, strade asfaltate, auto...problemi, dubbi, preoccupazioni...vorrei abbandonare tutto e potermi tuffare in un mondo parallelo fatto di natura e tempi di vita che seguono il ciclo della terra. A volte invece no, a volte l'esplosione di voci, di folla, di vita, mi rivitalizzano. A volte però. Non sempre.
Terre sconfinate abbondanti e quasi sopraffatte dagli arbusti, dove svettano montagne che sembrano toccare il cielo, sentieri poco più che abbozzati che s'immergono in foreste da leggenda. E scovare d'improvviso qualche persona e sorridere istintivamente perchè di fronte a tanta prorompenza di natura fa piacere ritrovare un proprio simile. Sì, penso d'aver trovato la mia realtà parallela...ma non è fantascienza o frutto d'un sogno...è realtà concreta e tangibile. Certo, nella mia ricerca ne ho trovate più di una, ma molte erano costellate da orde di saccoapelisti e visitatori con zaino in spalla... Io vi parlo di una nazione incastonata tra i monti, chiamata Druk Yul (Terra del Drago Tonante) dai suoi abitanti. A vederlo oggi sembra un luogo dimenticato dal tempo: antichi templi appollaiati su alti precipizi avvolti dalla nebbia, sacre vette mai conquistate, fiumi e foreste incontaminate. Con una particolarità a livello statale a partire dagli anni '70, ovvero la FIL. Sapete cos'è?^^Semplice! La "Felicità Interna Lorda". E con questo pilastro questa nazione s'è tirata fuori dalla miseria in cui versava. Beh, ovvio, per tener lontane le invasioni turistiche c'è una pesante tassa da pagare se si vuole entrare e molti vincoli da seguire, ma così facendo gli orologi hanno rallentato di molto la cadenza del tempo.
Vi sto parlando del Bhutan, tra Cina ed India, che solo di recente è diventato democrazia per volontà del monarca che ha abdicato, e che quindi s'appresta ad affrontare un futuro pieno d'incognite. Ma ad oggi, nelle aree rurali del paese, si respira una sorta d'antichità, d'avventura, di sorpresa, di "Ohh" incantati. La terra perfetta per accogliermi, per accogliermi nei momenti in cui vorrei scappare da tutto e da tutti, in cui vorrei silenzio per capire, per affrontare...tante cose...tante questioni... Vorrei partire, veramente, per questo regno buddhista che sa di magico.






Magari installarmi un pò in un villaggio come quello di Nebji, nascosto nel cuore delle Montagne Nere, nel Buthan centrale, dove non arrivano strade ed elettricità, circondata da foreste e montagne. Tornare alla quiete del silenzio, al respiro profondo, agli spazi senza barriere che bloccano la vista...tornare alla pura semplicità.

Ma qui, scusate, mi devo fermare. Non credo nè alle favole nè agli eden in terra; e neanche il Buthan lo è. Magari si avvicina per me, ma non lo è. Mentirei a voi e a me se vi dicessi il contrario.
Anche qui i problemi ci sono.

Il maggior gruppo etnico del paese era quello degli induisti nepalesi, giunti in Buthan agli inizi del '900. Allarmata da una immigrazione costante, l'élite al potere buddhista e di origine tibetana (Drukpa) decretò che tutti i buthanesi dovessero seguire il codice linguistico, religioso, d'abbigliamento e condotta proprio dei Drukpa. E più ancora: tutti i bhutanesi non "puri" dovevano lasciare il paese entro 4 giorni. Ondate di proteste e conseguenti arresti si abbatterono negli anni '90, con decine di migliaia di bhutanesi d'origine nepalese che si dovettero rifugiare oltre confine. E qui, in questi campi profughi (che di certo non sono a 5 stelle...ma neanche 1 di stella!), si gioca tutt'oggi una delle dispute internazionali più spinose al mondo.

No...neanche il Buthan è il paradiso.

E non è neanche così immobile nel tempo.
Me ne accorgo meglio quando leggo un'intervista sul National Geograpich a Norbu Kinzang, un bambino di 7 anni abitante della capitale bhutanese, Thimphu (ཐིམ་ཕུ་); alla domanda del giornalista "Secondo te chi è il più cool del mondo?" lui risponde senza problemi "Mah...sia 50 Cent sia il quarto re del Bhutan...mi piacciono tutti e due!".

Sì...sentitevi spiazzati quanto me... O.o
E così, alla fine, la mia realtà parallela fatta di pura natura dove rifugiarmi, assume sfumature non certo da idillo.
Chissà, forse la "pace" esterna la si può cercare nel mondo (con un pò di pazienza...), si possono trovare luoghi che molto hanno da donare e molto da insegnare, nonostante i problemi interni che, d'altronde, ci sono in tutti i paesi.
Ma la "pace" interna, quella profonda, a costo di sembrare scontata, forse la troviamo solo dentro di noi. E non c'è luogo che regga, usi e costumi che servano, se prima non affrontiamo noi stessi, in quei discorsi a volte silenziosissimi, a volte chiassosi, a volte spietatamente veritieri, a volte spudoratamente bugiardi, che facciamo da soli con l'altro "io". In un dialogo tutto nostro, intimo e privato. A noi la scelta di tessere discorsi originali o falsi. Solo noi poi ne pagheremo le conseguenze. Magari non subito, magari tra qualche anno, magari tra molti anni.

E la ricerca della mia "pace" interna, del mio nirvana, allora, mi sa che diviene più complessa del previsto...