sabato 24 aprile 2010

Care amiche e cari amici di Blog ...

Care amiche e cari amici di Blog,

v'informo che per un periodo che ad oggi non so ancora definire, non riuscirò nè ad aggiornare nè a commentare i vostri post.
Non sto passando un bel momento della mia vita e questo mi impedisce di essere una blogger a tutti gli effetti.
Vi chiedo scusa.
Intanto auguro a tutte/i voi un buon 25 Aprile e un buon 1 Maggio.

Con affetto

Aly

sabato 17 aprile 2010

I SUPPORT EMERGENCY

Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.
Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.
On Saturday, April 10, soldiers of the Afghan army and the International Coalition Forces attacked the Emergency Surgical Centre of Lashkar-gah and arrested members of the national and international staff. Three of them are Italian citizens: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.
EMERGENCY is an independent and neutral organisation. Since 1999, EMERGENCY in Afghanistan has provided medical assistance free-of-charge to over 2,500,000 Afghan citizens, by establishing three surgical hospitals, a maternity centre and a network of 28 first aid posts.

giovedì 8 aprile 2010

Dear Rashid...

Dear Rashid,
thank you very much for your letter sent to me, I was really glad to hear you. But, sorry, I should stop your desire to come and find me.
No, not come Rashid, you do not come to Italy.
Italy has become an inhospitable country, and with her many Italians.
... ... ... ...
Caro Rashid,
ti ringrazio molto per la lettera speditami, mi ha fatto veramente piacere sentirti. Però mi spiace dover bloccare la tua gioiosa volontà di venirmi a trovare.
No, non venire Rashid, non venire in Italia.
L’Italia è diventata un paese inospitale, e con lei molti italiani.
Guarderebbero subito la tua pelle, vedrebbero che è scura, e ti darebbero certe occhiatacce, farfuglierebbero commenti razzisti, ti insulterebbero, magari ti metterebbero anche le mani addosso. Questo solitamente nell’indifferenza dei passanti. Se poi sentissero il tuo nome penserebbero “Ecco! L’ennesimo immigrato clandestino musulmano!”. E poco importa se tu sei protestante, loro penserebbero così. Lo so, Rashid, a cosa stai pensando. Tu hai passaporto statunitense, tu non sei clandestino. I tuoi nonni si trasferirono dalla Nigeria negli USA e tu nascesti lì. Tu non sei povero, non hai bisogno d’entrare illegalmente da nessuna parte. Ma loro non capiscono, loro non vogliono capire. Potresti parlar loro per ore, e ridirebbero le stesse frasi, magari dandoti del bugiardo. Ti sentiresti offeso e deluso amico mio. Tu, tu che sei laureato col massimo dei voti, tu che parli cinque lingue, tu che lavori addirittura alla NASA. Ma a loro non fregherebbe nulla. La loro ignoranza la sfoggiano come un premio. E sai che pena a vederli… Loro che fino a qualche tempo fa scappavano da questa Italia con le pezze al culo e le valige tenute insieme dallo spago, loro che lavoravano come muli senza diritti, che si ubriacavano al primo bar per non pensare al domani. Ma loro hanno dimenticato Rashid. Oggi si vantano di poche cose materiali che posseggono e scaricano ogni problema sugli immigrati. O su chi ritengono “diverso” da loro. Hanno una capicità di ragionamento pari a zero, devi fare discorsi semplici semplici e basilari con loro, se no non capiscono. Però pensano di saperla lunga.
Potresti umiliari con poche parole. Ma a che ti gioverebbe amico? Non capirebbero lo stesso.
Scusami Rashid, lo faccio per te, e forse un po’ anche per me, perché non voglio che tu veda con chi sono costretta a coabitare.
Un giorno forse verranno tempi migliori.
Per ora però visita altri luoghi, altre nazioni. Da altre parti non è molto diverso che da qui, ma preferisco che tu non venga. Ci vedremo da un’altra parte Rashid. Ma non qui.
Non venire qui in Italia.

lunedì 15 marzo 2010

Quanto mi manchi Gramsci?

Vogliate scusarmi se questo post sarà diverso dagli altri.
In questo post vi porterò a fare un viaggio. Sì, un viaggio nella mia incazzatura personale. E magari non ve ne può fregare nulla. Ma chissà se qualcuno di voi s’è mai sentito come mi sento io in questi giorni.
Voglio iniziare con una frase di Gramsci: “Odio gli indifferenti. (…) Mi da noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto.”
Mi sono sempre messa in gioco, ho sempre preso le mie responsabilità, e ho anche pagato sulla mia pelle per questo. Ho avuto una vita non parassitaria, non abulica, ho sempre pensato che fare scelte era non giusto ma doveroso per una buona persona, per un buon cittadino. Ho lottato non per il mio piccolo giardino ma per la foresta di tutti. E l’ho sempre fatto senza sbandierare nulla, senza proclami, semplicemente perché mi sembrava la cosa giusta da fare. Certo, ho visto quelli che stavano alla finestra senza muovere un dito, e che muovevano il dito solo per evidenziare un tuo errore, ho visto quelli che cavalcavano la moda del momento per farsi fasulli paladini della giustizia, sulla strada che noi avevamo già spianato. Ma ho tenuto la calma, ho cercato di non farci caso. Ma qualcosa stava iniziando a incrinarsi. E allora ho afferrato un martello e con un colpo secco ho spaccato qualcosa dentro di me; così la rabbia è uscita e qui, con voi, la condivido. Mai furono più vere le parole di Gramsci che scrisse quell’11 Febbraio del 1917! Ci siamo (perché ovviamente non sono l’unica) sbattuti per una società migliore, per un mondo migliore, nel nostro piccolo, nel grande, nelle possibilità che ognuno di noi aveva; certo che abbiamo anche sbagliato! E chi lo nega? Ma solo chi si rimbocca le maniche sbaglia. Vi odiamo, dal profondo, voi che vivete immersi nella superficialità, nel menefreghismo, nel vostro stramaledetto egoismo, che non vi fa vedere al di là del vostro naso. Tanto carini e dolci con voi stessi e magari con le persone più care, ma totalmente indifferenti della società che vi circonda. Ignoranti in modo abissale nel non capire che il vostro misero benessere non è un regalo, ma una conquista fatta di sudore e sangue. Eppure sempre pronti a lamentarvi, sempre, sempre, con finto animo puro e angelico, puntando sempre il dito per un “tua culpa”, e non alzando mai un dito per fare qualcosa. E poi voi, voi! Arrivisti dell’ultimo momento, pronti ad issare la bandiera quando quel diritto noi ve lo abbiamo potuto dare dopo lotte e battaglie. I cadaveri per terra sono nostri, non vostri. Voi eravate persi in qualche salotto buono a bere il thè, a seguire l’ultima telenovela…ad armare il nemico… Poi d’un tratto vi siete svegliati e vi siete sentiti eroi e paladini, e via ad arruolare ingenui che si sono fatti abbagliare dalle vostre vuote parole. Voi, che vi siete lasciati così abbagliare…come avete potuto? Va bene che forse eravate arrabbiati, disillusi, ma farvi prendere così in giro…che delusione, che brutto spettacolo di voi state dando in questo squarcio d’epoca. E, mi spiace, io non mi sento vicina a voi, anche se la logica potrebbe dire di sì, come diceva Gramsci “E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.”
Vivo, sono partigiana. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

martedì 2 marzo 2010

Terremoto Chile

Seguimos a cavar a través de los escombros en Concepción, donde un toque de queda ha sido declarado en contra de la depredación.
Gobierno: "Las víctimas aumentará". Llamado a la ayuda internacional de la ONU.

Chile, de setecientos muertos y dos millones de desplazados. Declaró el estado de desastres excepcionales.

Aumentan despliegue militar en Chile ante saqueos tras sismo.

Los masivos saqueos en bodegas, centros comerciales y urbanizaciones continúan este lunes ante la inminente desesperación de los ciudadanos por el desabastecimiento de alimentos y agua potable.

A 6 mil 500 aumentó este lunes el número de militares que se desplegarán en las regiones del sur de Chile con el fin de frenar los saqueos producidos por la falta de ayuda hacia los miles de damnificados que dejó el terremoto de magnitud 8,8 que azotó a la nación el sábado.
La operación se une al decreto que amplía hasta dieciséis horas el toque de queda para la noche en la provincia de Concepción (centro). Desde las 20H00 locales (23H00 GMT) hasta las 12H00 (15H00 GMT). En esa zona se produjo un incendio provocado de uno de los más grandes almacenes y de un supermercado, lo que provocó el derrumbe de ambas edificaciones.
El despliegue militar consta de 13 aviones, 24 helicópteros y un número indeterminado de hospitales de campaña.
Bachelet adelantó que el ministro de Defensa, Francisco Vidal, viajará en los próximos días a la zona.
Los masivos saqueos en bodegas, centros comerciales y urbanizaciones continúan este lunes ante la inminente desesperación de los ciudadanos por el desabastecimiento de alimentos y agua potable.
El corresponsal de teleSUR en Chile, Alejandro Kirk reportó que las personas han saqueado unas bodegas que quedaron sumergidas tras el tsunami que se produjo en Concepción luego del terremoto de este sábado. "Vimos gente sumergidas nadando con alimentos", dijo.
Asimismo, señaló que existe una falta de presencia militar y de la Policía de Los Carabineros lo que podría generar una posible falta de control.
Por otro lado, Kirk indicó que el problema sanitario ha comenzado a hacerse presente en Concepción por la falta de agua.
Unas dos millones de personas han quedado damnificadas como consecuencia del desastre natural, por lo que la mandataria chilena, Michelle Bachelet, anunció un plan de ayuda para los afectados. Igualmente, declaró zona en estado de catástrofe a las dos regiones antes mencionadas.
Unas 1,5 millones de viviendas resultaron dañadas y medio millón de ellas quedaron en estado inservible.
El sismo de 8,8 de magnitud que azotó territorio chileno el sábado ha dejado hasta este lunes en la noche, según cifras oficiales, 795 muertos.
Extracto: TeleSUR

mercoledì 17 febbraio 2010

Pandillas

Visto quello che è successo in questi giorni a Milano, in Via Padova, ma che in verità accade in quasi tutta la periferia di Milano (per essere precisi da quella parte tra viale Monza e via Padova, delimitata da piazzale Loreto da una parte, e dai ponti ferroviari, dall’altra) e non solo Milano ma anche in altre città italiane e straniere, riporto un post che scrissi tempo fa. Non analizzavo tutta l'immigrazione in Italia, ma mi ero concentrata sui giovani sud americani che formano le pandillas. L'abbandono delle periferie, la non integrazione dovuta anche ai tagli terribili abbattutisi sulla scuola pubblica, l'assenza di spazi sociali e culturali che, anzi, finiscono nel mirino del Comune, il totale non-investimento in queste realtà... dove poi diventa facile abbandonarsi alla delinquenza, e dove giovani vite vengono segnate per sempre... come in quelle canzoni di Tupac e di Eminem... forse la 8 Mile e il Bronx non sono poi così distanti...

Gruppi che si muovono silenziosi e rumorosi al contempo, nelle periferie, lontani dai centri più “in” di Milano. Sono in banda, sono tanti, sono giovani e giovanissimi. I giornali ne parlano poco, ancor meno le tv. Eppure chi abita dove loro si ritrovano, dove loro agiscono, sanno bene che non sono fantasmi né leggende metropolitane, ma sono una costante assai presente. Lorenteggio, Giambellino, Crescensago, Stazione Lambrate, Stazione Centrale: sono solo alcuni dei luoghi da loro più frequentati. I nomi delle loro bande evocano film, evocano una realtà che è ben presente in centro e sud america ed anche negli States. Ma oggi sono anche qui, in Italia, specialmente a Milano, Genova e Roma, a fare banda, a scatenare guerriglia quando ne sentono il bisogno, quando l’onore viene offuscato e deriso. Perché così si comporta una banda, perché così fanno in ogni parte del mondo ove sono presenti, perché questo è il codice da seguire. I nomi che rieccheggiano nelle periferie metropolitane di Milano, nella notte, sono famosi: Latin Kings, Comando, Chicago, Maras 18, Mara Salvatrucha 13, Soldao Latinos, Vatos Locos, Neta e i nuovi entrati Trinitaria e New York. Le origini affondano radici in Ecuador, in El Salvador, in Perù, in Uruguay, a Portorico, nelle comunità centro e sud americane presenti negli USA. Oggi sono qui anche da noi e di solito non fanno molto notizia, sia perché operano nelle periferie più ghettizzate sia perché gli scontri, i pestaggi, le botte, avvengono quasi sempre fra di loro, senza coinvolgere gente comune. Certo, poi ci sono gli “errori”, come qualche mese fa, quando il gruppo MS 13 scambiò un normalissimo ragazzo sud americano per un appartenente alla Maras 18, e lo pestarono ferocemente fino a causargli la perdita di un occhio…
Ma chi sono i componenti di queste pandillas? Molti sono i sud americani, la maggioranza nati in Italia, seguiti da italiani e africani. Praticano forme di racket, atti vandalici, pestaggi, furti e rapine. Hanno una chiara gerarchia al loro interno, hanno un’identità comune, sfoggiano loro codici, loro colori nel vestiario, loro tatuaggi, marcano un territorio. Girando sulle metro di Milano non si possono non vedere. Musica rap, casse di birra su casse di birra, bombolette spry, vestiti hip-hop, bandane con i colori d’appartenenza. Si formano nei quartieri dormitorio, nelle periferie più buie, a scuola, provengono quasi tutti da situazioni di degrado, da famiglie problematiche, da quartieri difficili, da solitudini profonde. Emergono così facendo gruppo, facendo spalla contro spalla, si sentono realizzati, si sentono riconosciuti, si sentono forti all’interno della banda, non di rado sentono nella pandillas quella famiglia che non hanno mai avuto o che hanno avuto sfasciata. Ma c'è di più: questi giovani, sulla scia del linguaggio universale che propone la loro musica, il reaggeton, diffondono e credono in valori come giustizia, fratellanza, pace e amicizia. Combattono il razzismo che essi stessi subiscono.
Gruppi di certo complessi, oscillanti fra legalità e illegalità, giustizia e criminalità.
Andate, andate a fare un giro a Milano, in quella Milano che non è boutique firmate, che non è arte, che non è turismo. Venite tra i palazzoni di cemento gli uni vicino agli altri, venite all’ultima fermata della metro e del bus, venite nei quartieri duri lasciati al loro degrado. Lì troverete tutte queste pandillas, quiete nel loro caos giornaliero. E sperate solo che un giorno non decidano di dichiarare guerriglia verso il centro, verso il vostro quartire per bene, perché la battaglia sarebbe cruenta.

domenica 31 gennaio 2010

Boicotta! Boycott! 抵制!

Vivere consapevolmente. Vivere rispettando la natura e i suoi ritmi. Vivere rispettando il prossimo. Vivere cercando di fare qualcosa di buono.
Pochi principi basilari, che cerco di seguire.
Semplici, si direbbe, eppure difficili e complessi come non mai.
Vi faccio un esempio.
Immagino che ognuno di noi abbia dei soldi depositati in banca. Già… la banca. La maggioranza delle nostre banche sono per così dire “armate” ovvero investono nell’industria armiera. Con tutto ciò che ne consegue e che potete ben immaginare. La Banca nazionale del Lavoro, del gruppo Paribas, 3 anni fa ha supportato le aziende armiere per 62 milioni e spiccioli di euro. Nel 2009 per un miliardo e 253 milioni. Nel lungo elenco compare anche il Gruppo Intesa San Paolo (detiene ancora il 7,16 del mercato), nonostante le mille promesse di abbandonare il campo; anche il gruppo Unicredit, seppur con cifre (119 milioni) nettamente inferiori rispetto al 2007 (404 milioni di euro) compare nella top ten. Un bel balzo in avanti lo fa, invece, Ubi Banca, con i suoi satelliti finanziari piazzati geograficamente nel cuore del comparto armiero italiano: 209 milioni di euro e quasi un 6% del mercato complessivo (dato assai eloquente, visto che nel 2007 aveva lo 0,27%). Ed è meglio che mi fermo qua, perché molti dei miei principi basilari sono già andati ad escort.
Volete un altro esempio?
Apro il mio frigo: c’è dentro del cibo e delle bevande. Apro l’armadio di camera mia: ci sono dei vestiti.
Il colosso Coca Cola sfrutta la mano d’opera sud americana. Sulla Nestlè potrei parlarvi per ore: frodi e illeciti finanziari, abusi di potere, appoggio e sostegno di regimi dittatoriali, utilizzo di organismi geneticamente modificati nella pasta (Buitoni), nei latticini, nei dolci e nelle merendine; intere aree di foresta vengono distrutte per far posto alle sue piantagioni di cacao e di caffè, dove si utilizzano pesticidi molto pericolosi. E sulla stessa scia si pongono Nike, Adidas, Mattel, Chicco, Benetton, Reebok, Levis, Mondo… potrei andare avanti. Fatemi sottolineare però la Chiquita, che tratta i suoi operai peggio degli schiavi, tenendoli rinchiusi in veri e propri lager del lavoro, malmenati o peggio se protestano, con stipendi miserevoli, gettando loro addosso il diserbante dagli aereoplani .
Come vedete, potrei sembrarvi incoerente. Predico un “mondo migliore” e poi cado nel tranello di dare fiducia a chi di un mondo migliore non gliene può fregare di meno e pensa al solo dio in cui crede: il Denaro.
So benissimo che rivoluzionare completamente il mio modo di vivere risulterebbe per certi aspetti quasi improbabile e sotto altri costoso. E qui io non è che sguazzo nell’oro: se la pasta Barilla (bella marca sporca di sangue) costa meno di quella equo solidale, compro la prima, ben consapevole di cosa sto facendo, ma altrettanto consapevole di quali sono le mie capacità finanziarie.
Penso che la rivoluzione dei consumi possa però pian piano avvenire. Piccoli passi, che se fatti insieme, fanno un grande passo. Pensiamo, non so, a Natale: un bel cesto fatto con prodotti di Altromercato magari sì ci farà sentire tutti veramente più buoni. O prendere contatto con Altroconsumo non potrà che farci bene, in quanto è un'associazione di consumatori che ha un unico obiettivo: l'informazione e la tutela dei consumatori. Valutare le offerte di Banca Etica non costa nulla.
Nel mio piccolo, io sto boicottando il marchio Coca Cola da molti anni così come altri marchi…
Piccoli gesti, niente di ecclatante, perché so bene che la maggioranza di voi non sono “aristocratici” che possono sì cambiare completamente il proprio modo di vita. Piccoli gesti che possono far capire a chi sta in alto che noi siamo esseri pensanti, che abbiamo uno spirito critico e non siamo nelle loro mani; loro non sceglieranno mai per noi, noi siamo consapevoli.
Mostriamogli il nostro cervello: varrà come una rivoluzione.

venerdì 8 gennaio 2010

Voglia di estero

Per festeggiare il nuovo anno sono scappata in Slovenia, a Ljubljana per la precisione.
Ed è proprio su questa cosa che voglio scrivere il mio primo post del 2010.
Sono andata in auto, 500 Km circa. Non è poi tanto distante Ljubljana e per di più, insomma, è la Slovenia, non è il Brasile o l’Egitto o la Cina. E’ la semplice Ljubljana, la normale e tranquilla Slovenia. Eppure amici, eppure non avete idea di che aria fresca ho respirato. Lo ammetto, in parte sarà dovuto al fatto che non ho fatto le vacanze quest’estate e che, abituata a girovagare per il mondo, l’imposizione del mio fisico al “per un po’ starai qui ferma” mi pesa come un macigno. Però c’è stato dell’altro… Potrei dirvi di quanto Ljubljana sia bella come città, delle attrattive che vi potrete trovare, della sua storia, della leggenda del suo drago, ma c’è ancora stato dell’altro… Cos’era, vi starete chiedendo, cos’avrà avuto Ljubljana di così speciale...
Ljubljana non è in Italia.
Sì, lo so, ho scoperto l’acqua calda, un atlante anche per bambini ve lo direbbe.
Eppure la sensazione è stata come quando siete assetati e vi danno una bottiglia d’acqua freschissima e purissima. Nessuno che parlava italiano (a parte il 31 dicembre), nessun connazionale in vista e quelli che vedavamo li schivavamo come fossero impestati, nessun telegiornale, nessun quotidiano, nessuna ennesima litigata politica alla tv, nessuno che elencava le ombre di questa Italia, nessuno che parlava dei casini giornalieri…
Tutto era lontano.
Tutto s’era fermato al confine, un po’ dopo Gorizia e un po’ prima di Nova Gorica.
Avevo ripreso a respirare bene, i miei occhi erano tornati a vedere come da tempo non accadeva. Sì amici, mi ero buttata ridendo e alzando il medio l’Italia e gli italiani alle spalle, e stavo benissimo.
Le giornate le passavo camminando per le vie della città, scoprendo Chiese, monumenti, palazzi importanti, inerpicandomi su su per la collina per visitare il Castello, chiaccherando del più e del meno, con io che leggevo gli appunti storici e architettonici quando ci fermavamo; e poi sul pomeriggio tardi tornavo in camera, una bella doccia, un po’ di relax guardando eurosport…
E il giorno della partenza, il fatidico giorno, la mia mente ha pensato “E se non torni? E se imbocchi la strada per la Croazia? Per l’Ungheria?”. Ma la risposta era scontata…
Ed ora eccomi qua, tornata, con attorno i soliti casini di questa mia Italia, con attorno i soliti casini della mia vita. Un po’ più determinata però, lo ammetto… anche un po’ più malinconica.
E pensare che sono solo andata a Ljubljana… A volte penso “Ma, Ali, e se eri a Il Cairo? A Kiev? A Hanoi?!”
Beh, se Ljubljana m’ha fatto questo effetto, non oso pensare una città più lontana cosa m’avrebbe scatenato… :)

domenica 20 dicembre 2009

Una storia di Natale

Siamo a Dicembre, ed ecco come sempre il post degli auguri di Natale e di buon anno. :)
Ringrazio e faccio i migliori auguri a tutti gli amici di blog con i quali ci siamo scambiati idee, opinioni, faccio gli auguri anche a tutti coloro che per caso sono capitati qui. Un pensiero corre alle amiche e agli amici che ho sparsi per il mondo, alle persone care che non ci sono più ma so che mi possono sentire, a quell’amico in particolare che non so su quale strada starà dormendo, a coloro che oggi si sono allontanati ma che spero sempre possano tornare.
Vi vorrei lasciare con una sorta d’intervista; non prendetevi male se a tratti può sembrarvi troppo triste e amara per questo perido: il “protagonista” v’assicuro che non lo è per nulla, è uno abituato a combattere con il sorriso.
Vi voglio regalare la sua grinta. Che di questi tempi, serve molto.
Arrivo a casa sua e Alex viene ad aprirmi. Fa un mezzo sorriso imbarazzato e mi dice d’entrare, d’accomodarmi. E’ da solo in casa, i genitori al lavoro, i suoi fratelli uno a studiare a casa d’amici e l’altro al lavoro anche lui. Mi vuole offrire qualcosa da bere, e così dopo un po’ arriva con un vassoio con su due bicchieri e un cartone d’aranciata. L’andatura è evidentemente zoppicante, ma porta tutto con sicurezza. Si siede e mi guarda, sempre sorridente. Dopo i convenevoli, gli faccio una domanda semplice: di parlarmi di sé. Abbassa lo sguardo, strofina piano la mano sulla gamba. Poi sereno, comincia. “E’ dall’asilo che ho capito che la mia diversità non doveva fermarmi, che se anche il dolore a volte era forte, io dovevo stringere i denti…per me stesso e anche per la mia famiglia. Le cure costavano tanto, vedevo ogni giorno i sacrifici che in casa si facevano per me. Sai, non siamo mai stati messi bene a soldi, e con il mio arrivo il problema lo so, è aumentato. Ma nessuno qui me l’ha mai fatto pesare. Le differenze le vedevo all’asilo e a scuola: sai, tutti con i vestiti della disney, con l’astuccio dell’ultimo cartone animato, con le robe di marca…io e mio fratello ci passavamo i vestiti a vicenda e abbiamo iniziato a capire subito che certi bambini “potevano” e altri, come noi, “non potevano”. Ma non siamo stati troppo lì a farci problemi, quella era la nostra situazione, lo sapevamo, e noi si andava avanti ugualmente, tranquilli. Poi, crescendo, abbiamo anche capito che in casa i nostri genitori si facevano in otto per noi: doppi lavori per far quadrare i conti…mio padre lavora di giorno e di notte, mi sono sempre chiesto come fa a reggere…E che, vedi anche tu, non abitiamo in qualche periferia o zona degradata, qui nel nostro paese stanno tutti bene…o quasi…ma mamma ha sempre detto che noi chiederemo la carità a nessuno…e anche se il comune e lo Stato in generale non hanno mai fatto quasi nulla per noi, noi non andremo mai a bussare a cose tipo la Caritas…la dignità conta molto per i miei…e per noi…E così la vita è passata, tra chi mi guardava e mi guarderà sempre in modo diverso, tra risatine di chi si prende gioco di me perché non ho un pezzo di gamba, tra sacrifici, tra niente vacanze, niente sport, perché non gliene frega molto di come stai messo a soldi, la retta è quella e o paghi o non ti puoi iscrivere, niente oratori perché anche lì devi pagare l’iscrizione, niente giocattoli nuovi, niente bici ultimo modello, niente motorino per i miei fratelli…insomma…un bel po’ di “niente” direi!...Però nessuno si è mai lamentato, anche quando mio fratello grande non è potuto andare all’Università perché serviva che lavorasse, anche quando l’altro mio fratello mi faceva quasi da balia, anche quando ho capito che comunque la si mettesse, io ero un po’ diverso dagli altri…nessuno si è mai lamentato. Adesso siamo tutti cresciuti, i problemi sono rimasti e…lo ammetto, mi sento un po’ più solo….i miei fratelli però è giusto che vadano per la loro strada, e io prima o poi troverò la mia…Sai, tra un po’ è Natale…abbiamo fatto l’albero, vedi? Ma non m’interessa se ci saranno o no pacchi per me…la gamba che non ho nessuno me la ridarà, questo è un dato di fatto, ma a costo di zoppicare, d’andare avanti con le stampelle, io non mi fermo, non m’arrendo…”
Merry Christmas, Joyeux Noel, Froehliche Weihnachten, Feliz Navidad, Shinnen omedeto Kurisumasu, Chung Mung Giang Sinh, I'd milad said oua sana saida, Sretan Bozic, Merry Keshmish, Yukpa, Nitak Hollo Chito, Pozdrevlyayu s prazdnikom Rozhdestva is Novim Godom, Gesëebende Kersfees, Kung His Hsin Nien bing Chu Shen Tan.

venerdì 4 dicembre 2009

La journée sans immigrés: 24h sans nous!

La giornalista francese Nadia Lamarkbi, ha lanciato sul web un’idea un po’ particolare: far scioperare tutti gli immigrati presenti in Francia. Ha aperto una pagina su Facebook dal titolo “La journée sans immigrés: 24h sans nous!” e ha già avuto un sacco di iscritti. L’idea è arrivata anche qui da noi (“Primo marzo 2010 primo sciopero italiano degli stranieri”) e sempre grazie a Facebook si sta propagando per tutta l’Italia. Per chi volesse iscriversi al gruppo può andare a questo indirizzo oppure qui. Chi voglia invece iscriversi al gruppo francese basta che vada qui.
Ma vi siete mai chiesti come sarebbe l’Italia se d’improvviso tutti gli immigrati sparissero? Di certo, ammettiamolo, qualcuno di noi festeggerebbe, ma ci sarebbe realmente da essere contenti? Perché non facciamo una prova? Dai, seguitemi nel gioco, proviamo…
Iniziamo con una cosa di cui noi italiani siamo famosi: la cucina. Improvvisamente avremmo una drastica riduzione di pomodori, olive, ortaggi in generale e frutta. Molti di coloro che raccolgono questi prodotti sono stranieri. Avremmo meno pane, quasi tutte le pizzerie chiuderebbero, seguite a ruota da ristoranti cinesi, ristoranti giapponesi e anche ristoranti italiani; eh sì, anche italiani: avete mai fatto caso che non pochi sono i cuochi, i camerieri e i lavapiatti stranieri?
Non meno importante penso sia la pulizia, a cui noi italiani teniamo molto. Però senza stranieri le nostre strade pullulerebbero di immondizia, perché molti degli operatori ecologici, meglio conosciuti come spazzini, sono stranieri. E i supermercati? E gli uffici? Da chi verrebbero puliti? Sono sempre stranieri coloro che si occupano di queste pulizie.
E gli anziani? Come faremmo senza badanti? Chi si prenderebbe a carico la nonnina novantenne che fa fatica a camminare e la si deve imboccare? Le case di riposo dite? Ok, guardate pure i costi…e spaventatevi.
Poi abbiamo le case in Italia. Beh, senza stranieri, penso che la casa nuova che ti stavano costruendo ritarderà di molti anni prima che risulti pronta. In fondo, tantissimi muratori sono stranieri.
I lavori sulle strade sarebbe qusi del tutto interrotti perché molti che lavorano nei cantieri stradali sono stranieri.
Poi abbiamo le ditte: operai, mulettisti, camionisti, magazzinieri, una ditta va avanti grazie a loro. Ma se il cinquanta per cento è costituito da immigrati e questi spariscono, le ditte come fanno a far quadrare tutto? Le produzione, i costi, i tempi, salterebbero totalmente.
Abbiamo poi gli ospedali: già gli infermieri sono pochi, vi immaginate se anche da qui gli stranieri se ne vanno? E senza dottori come faremmo? Eh sì, forse non lo sapete, ma abbiamo anche dottori stranieri.
E poi, scusate, noi amanti dello sport, senza stranieri che faremmo? Più della metà dei campionati italiani verrebbero sospesi; in primis il calcio. Chissà, magari ci appassioneremmo al curling…
La lista potrebbe continuare. E v’assicuro che questi vuoti non verrebbero riempiti dagli italiani, come molti sostengono. Molti di questi lavori nessun italiano vuole più farli.
Ma una delle cose che più mi toccherebbe sarebbe vedere amiche senza i rispettivi mariti. O vedere il mio cuginetto senza il suo amico del cuore. E vedere un sacco di miei amici sparire. E…oh cavolo! Sparito è anche il ex maestro di karate! In fondo, un giapponese è sempre uno straniero, no?
Eh sì, ci sarebbe poco da stare allegri se tutti gli stranieri sparissero.
Avanti allora, incrociate le braccia stranieri italiani, incrociamole anche noi con loro, e facciamo vedere a questa Italia dal passato emigrante, che senza di voi gli ingranaggi non girerebbero più.

sabato 21 novembre 2009

Hijos bastardos de la Globalización - Bastard children of Globalization

"Comincio la mia giornata quando sorge il sole, ho 12 anni e vivo nella desolazione in un'altra dimensione...". Così comincia la canzone degli Ska-p che vi ho riportato qui sotto. A quanti bambini del mondo si adatterebbero queste parole? Bambini sparsi per il mondo che sono obbligati a lavorare, lavori di solito duri, faticosi, che il più delle volte causano danni alla loro salute. Ma devono. Perchè la povertà da cui sono attanagliati li obbliga. Non hanno scelta. E spesso capita che ciò che loro producono noi lo ritroviamo nelle nostre case. La beffa è che a volte costruiscono giocattoli, gli stessi per cui i nostri figli occidentali battono i piedi pur di averli. Se parli con questi bambini lavoratori scopri che il loro sogno è andare a scuola, ma sono consapevoli che il lavoro serve alla famiglia, che quei miseri soldi servono. Ci si stupisce di quanta consapevolezza hanno, di quanta maturità posseggono a soli 1o, 11 anni. Però ci si chiede quale sitema produttivo può aver ridotto il mondo così, con una parte, piccola, di bambini che giocano e vanno a scuola, e l'altra parte, grande, che lavora. Piccoli lavoratori schiavi del sitema, schiavi non raramente di persone adulte che li sfruttano, con le cattive e non certo con le buone.
Nel girovagare qua e là li ho visti, e vi assicuro che il cuore si stringe, lo stomaco vi diventa di granito. E poi, tornata a casa, sentire il mio vicino di casa che faceva i capricci perchè non gli avevano comprato il gioco che voleva, e sentire il mio sangue che ribolle. E andare al supermercato e leggere tutti quei "Made in...", vedere le grandi marche che costano anche caro, e cominciare a chiedersi chi ha prodotto il tutto; e alla fine non comprare nulla.

lunedì 9 novembre 2009

Berlin Mauer

Il Muro di Berlino divideva la Germania Ovest dalla Germania Est. La sua costruzione fu iniziata il 13 agosto del 1961 ad opera del governo della Germania Est. Il Muro fu smantellato il 9 novembre 1989.
Di principio, fu sbagliato costruirlo. Nella pratica, evitava la fuga dei "cervelli" nella Germania Ovest. Quando cadde tante erano le aspettative, specialmente da molti cittadini della Germania Est. Ma il sospirato capitalismo che avrebbe dovuto rendere tutti più ricchi, più felici e più liberi, disilluse e portò sgomento, al pari dell'erezione del Muro.
Non sono pochi oggi, fra i cittadini tedeschi che vissero in quegli anni all'Est, quelli che rimpiangono la Germania Est. Ma la storia ha fatto il suo corso, ed oggi i tedeschi di nuova generazione vorrebbero quasi dimenticare, pensare più al futuro che fare i conti con il passato. Andando a Berlino lo si comprende: ovunque ricordi di ciò che fu il Muro, i simboli della DDR, i souvenir per i turisti, le foto dell'epoca, ma una generale freddezza dei tedeschi verso questi simboli sparsi un pò ovunque. Preferiscono osservare gli imponenti palazzi recenti di famosi architetti che costellano la nuova Berlino.
Personalmente l'amaro in bocca rimane. Ed è forse per questo che la prima cosa che ho fatto arrivata a Berlino è stata comprare una bandiera della DDR. Ce l'ho qui, appesa in camera. Ci fissiamo a vicenda, sospirando. E i nostri dialoghi sono molto intensi.
...E forse, penso, per concludere, sarebbe il caso di ricordare che il 9 novembre del '38 iniziò la "Notte dei Cristalli", e il piano diabolico del nazismo, messo a tacere grazie anche ai comunisti, gli stessi della DDR.