"C'è chi la vita la gode, chi la subisce, noi la combattiamo"
"Some peopleenjoythelife,the ones whosufferthelife,wefight thelife"
(motto Urka siberiani)
C'è da dire subito che la trama del film è diversa dal libro e in parte ciò mi ha un pò deluso. Meglio il libro. Ma non disdegnerei un'occhiata al film, fatto molto bene.
E poco mi importa se la storia (in teoria un'autobiografia romanzata) sia vera, in parte vera o tutta falsa. Vale la pena leggerla, penso, scorre bene e fa riflettere.
In addition to
worrying political instability and worsening economic and social
situation in the Middle East / North Africa following the so-called
"Arab spring", there is an alarming fact, and it is the re-emergence of
religious extremism in a virulent matrix directly or indirectly
attributable to the Islamic organization Al-Qaeda. To facilitate this
triumphant return of militarism jihadist has been the emergence of
Islamist movements to power after the fall of the dictatorial Arab
regimes "laity."
Oltre alla preoccupante instabilità politica e
all’aggravarsi della situazione economica e sociale nei paesi del Medio
Oriente/Maghreb in seguito alle cosiddette “primavere arabe”, vi è un
dato ancor più allarmante ed è il riemergere in maniera virulenta
dell’estremismo religioso di matrice islamica direttamente o
indirettamente riconducibile alla nebulosa organizzazione Al-Qaida.
A favorire questo ritorno trionfale del militarismo jihadista è stato
l’affermarsi al potere di movimenti islamisti dopo la caduta
di alcuni
regimi dittatoriali arabi “laici”. I più coinvolti nelle rivolte –
spontanee in alcuni casi ed eterodirette in altri – sono stati i paesi
del Nordafrica. Questa regione è diventata la base operativa del
movimento transnazionale guidato fino a due anni fa da Osama Bin Laden.
Tale base in passato era collocata in Afghanistan e Pakistan. Il centro
di potere decisionale, tuttavia, era ed è rimasto la Penisola arabica,
dove fu ideato il movimento ai tempi della guerra fredda.
Oggi il ramo nordafricano di questo movimento jihadista, ovvero
Al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi), è il più attivo. E ha ormai
costituito le sue basi “indigene” in Mali, Somalia e Nigeria. E agisce
soprattutto in Medio Oriente, specie in Siria.
Dopo la caduta di Gheddafi, con il contributo di Aqmi attraverso la
sua filiale libica, la Libia è diventata il centro di reclutamento di
formazione e smistamento dei jihadisti verso la Siria. Secondo diverse
stime, i combattenti jihadisti presenti oggi sul territorio siriano sono
oltre 60mila, di cui più di un terzo è costituito da nordafricani. I
più numerosi sono i libici (circa 15 mila) che dopo la “liberazione” di
Tripoli si sono trasferiti armi e bagagli in Siria passando soprattutto
per la Turchia. L’altro paese africano che fornisce manovalanza alle organizzazioni
jihadiste in Siria è la Tunisia. Il numero dei combattenti tunisini
varia da 5 a 10 mila unità. Il sito maghribia.com riferisce che
il 14 febbraio scorso, in uno scontro con i soldati siriani nella
periferia di Aleppo, sono morti un centinaio di jihadisti provenienti
quasi tutti dalla zona di Sidi Bouzid dove è nata la rivoluzione
tunisina.
Ma qual è il profilo di questi tunisini che lasciano dietro di loro
un paese dove si muore ancora per le proprie idee politiche, vedi il
caso del militante Chokri Belaïd ucciso il 6 febbraio scorso? E come
finiscono nella rete di Aqmi?La maggioranza delle reclute per il jihad sono giovani appartenenti
ai ceti poveri, senza lavoro e senza speranza per il futuro. C’è chi si
arruola perché crede nel martirio come mezzo per accedere all’Eden e c’è
invece – e sono molti – chi lo fa per i soldi: di fronte ai
petrodollari di paesi arabi del Golfo, offerti dagli intermediari
libici, persino i non credenti diventano dei pii musulmani pronti a
partire per il fronte al grido di Allah'o akbar! In Tunisia, come altrove, le tante moschee controllate dai salafiti e
dagli altri gruppi qaidisti sono spesso luoghi di indottrinamento per
il jihad e il martirio. I tanti e seguiti canali tv via satellite in
chiaro, popolati da telepredicatori islamisti, sono un altro strumento
per avvicinare potenziali jihadisti. I siti web sono anch’essi
utilizzati per incitare i giovani a seguire la via del jihad “sulla via
di Allah”. Molti blog diffondono fatwa che incitano ad andare a
combattere l’alawita Bashar al Assad, “in nome di Dio”! Fatwa che
riguardano persino le donne: circola nella rete una sentenza teologica,
attribuita a un predicatore salafita di origine saudita, che invita le
donne di età superiore a 14 anni, divorziate o vedove, a recarsi in
Siria per compiere il jihad attraverso il rapporto sessuale con i
combattenti islamisti, costretti da una “causa nobile” a stare lontano
dalle loro spose.
Il sito Algerie1.com ha pubblicato il 26 febbraio scorso il
video che denuncia la scomparsa di una sedicenne. I suoi familiari
accusano i salafiti di aver fatto il lavaggio del cervello alla ragazza e
di averla portata in Siria per «prostituirsi» per i jihadisti.
Ricordiamo che i salafiti in Arabia praticano la lapidazione nei
confronti delle donne che vanno a letto con un uomo che non sia il
marito e in Siria invece rendono halal (leciti) i rapporti sessuali extra coniugali. Quindi in nome di quale islam sentenziano le loro fatwa?
Attraverso Aqmi, il cancro jihadista rischia di contaminare
gravemente l’Africa e potrebbe anche raggiungere la sponda nord del
Mediterraneo e propagarsi in Europa. Oggi, come ha ricordato di recente
la presidente dell’agenzia europea Eurojust, Michelle Coninsx, centinaia
di giovani europei di origine maghrebina combattono nelle file dei
gruppi estremisti in Siria. Un giorno questi giovani faranno rientro a
casa e, forti della loro esperienza siriana, saranno più jihadisti che
mai. (Nigrizia)
December 26, 1862: la più grande esecuzione di massa nella storia degli Stati Uniti, ordinata da Abraham Lincoln. Sì, proprio lui, proprio l'acclamato Lincoln. Ordinò l'impiccagione di 38 Nativi Dakota a Mankato, Minnesota, durante la rivolta del 1862 conosciuta come “Guerra di Piccolo Corvo”.
Ma cosa accadde? Nel 1862, dopo un raccolto andato male e prima dell’inevitabile
carestia invernale, il pagamento federale tardò a giungere (i soldi e il cibo destinati ai Nativi, come spesso accadeva, erano rubati e spartiti tra gli agenti federali).
I trafficanti locali non vollero concedere ulteriori crediti ai Santee e
l’agente federale della riserva disse ai Santee che erano “liberi di mangiare l’erba oppure i loro escrementi”. Come conseguenza, il 7 agosto 1862 cominciò la rivolta dei Sioux,
allorché pochi Santee uccisero un agricoltore bianco, innescando ulteriori attacchi contro gli insediamenti dei
bianchi lungo il fiume Minnesota. I Santee aggredirono poi l’emporio e
l’agente federale della riserva fu trovato ucciso con la sua bocca
riempita di erba. Le Corti marziali processarono e condannarono a morte
per impiccagione 303 Santee per “crimini di guerra”. Il Presidente
Abraham Lincoln commutò la sentenza di morte per 284 di quei guerrieri,
convalidando l’esecuzione per impiccagione di 38 Santee il 26 dicembre
1862.(Nota: ma non per senso di giustizia; Lincoln si
preoccupava di come questo avrebbe influenzato gli europei, che aveva
paura stessero per entrare in guerra a fianco del sud. Offrì quindi
questo compromesso ai politici del Minnesota: avrebbe ridotto la lista
di quelli da impiccare fino a 39, promettendo in cambio di uccidere o
rimuovere ogni indiano e di fornire al Minnesota 2 milioni di dollari in
fondi federali. La lista fu poi portata a 38, ad uno dei condannati fu
sospesa la pena. Fonte: www.unitednativeamerica.com). Nella primavera del 2005, Jim Miller, un leader
spirituale Nativo Americano e veterano del Vietnam, sognò di
trovarsi a cavallo attraverso le grandi pianure del Sud Dakota. Poco
prima di svegliarsi, nel sogno, arrivato ad un fiume in Minnesota, vide 38 suoi antenati Dakota impiccati. A quel tempo, Jim non sapeva nulla della più grande esecuzione di massa nella storia degli Stati Uniti. “Quando
si hanno dei sogni, sai se vengono dal creatore … Ho provato a metterlo
fuori dalla mia mente, ma è uno di quei sogni che ti dà fastidio notte e
giorno” dichiarò in seguito Jim.
Ora, abbracciando il messaggio del sogno, il 26 dicembre 2012, nel
150° anniversario dell’impiccagione di 38 Nativi Dakota, l’accadimento fu solennemente ricordato presso il luogo dell’eccidio, in quello che è oggi chiamato il “Parco della Riconciliazione”.
Jim ha potuto così ripercorre i 330 km di lunghezza del suo sogno a
cavallo da Lower Brule, South Dakota a Mankato, Minnesota per arrivare
al sito dell’esecuzione. Fu prodotto un documentario, "Dakota 38", nel quale si vede la storia del loro viaggio, le bufere di neve che hanno
sopportato, le comunità dei Nativi e non Nativi che li hanno aiutati
lungo la strada, e la storia oscura che stanno cominciando a spazzare
via. Arvol Looking Horse, Custode della Sacra Pipa della diciannovesima Generazione, dichiarò che questo evento ha segnato la fine di un lungo cammino. “Sono
fiero di essere qui oggi, e di aver partecipato alla commemorazione. Sia
pace nei nostri cuori. E che una nuova stagione abbia inizio”. Nel “Parco della Riconciliazione” è stata posta una lapide, che reca i nomi dei 38 uomini con una poesia e una preghiera. Sidney Byrd, anziano Lakota – Dakota, dopo aver letto i nomi in lingua Dakota, ha dichiarato: “Sono
orgoglioso d’esser con voi oggi. Il mio bisnonno era uno di quelli che
hanno pagato il prezzo supremo per la nostra libertà. Anche se già
condannato a morte, la pena fu commutata in carcere a Davenport, nello
Iowa, dove molti morirono in condizioni orribili”.
Coloro che hanno contribuito a progettare la lapide e ad organizzare la
cavalcata commemorativa in onore dei defunti dichiararono: “Perdona tutto a tutti”.
MEXICO - CHIAPAS
Dopo un'assenza durata oltre un anno, è riapparso sulla scena politica
messicana l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Con
manifestazioni massicce e silenziose nelle principali localitá del
Chiapas ed uno scarno quanto incisivo comunicato, gli indigeni ribelli
sono tornati a prendere la parola dando un'importante dimostrazione di
forza e di organizzazione che zittisce quanti, sia a destra che a
sinistra, li davano per finiti o politicamente ininfluenti. In
conincidenza con la fine del tredicesimo Baktún e l'inizio del nuovo
ciclo del calendario maya, gli zapatisti, eredi viventi di quella
millenaria civiltá, hanno occupato pacificamente le cittá di San
Cristobal, Palenque, Ocosingo, Las Margaritas e Altamirano. A partire
dalle prime ore della giornata, circa 50 mila basi d'appoggio della
guerriglia, con il volto coperto dal passamontagna o dal caratteristico
pallacate, sono scese dai cinque Caracol dando vita alla piú grande
mobilitazione pubblica del movimento dai tempi dell'insurrezione del
'94.
Un fiume nero di passamontagna, formato dalle decine di
contingenti zapatisti, ha inondato i centri delle cittá del sudest
messicano con moltitudinarie marce silenziose che sono terminate davanti
ai palazzi di governo presi militarmente dai ribelli 18 anni fa. A San
Cristobal si é svolta l'iniziativa piú partecipata. Oltre 20 mila
indigeni provenienti dal Caracol di Oventik hanno attraversato la cittá
sotto una pioggia insistente. Una volta raggiunto il centro, dove sono
stati accolti dagli applausi e dalle grida di sostegno di turisti e
passanti, hanno chiuso l'iniziativa con un forte gesto simbolico che ha
sorpreso coloro che si aspettavano il classico comizio finale. Alle
parole di un solo portavoce, gli indigeni tzeltales, tzotziles, choles,
tojolabales, mam e zoques che conformano il movimento hanno preferito
un atto collettivo altamente emblematico ed emotivo. Invece di leggere
l'atteso comunicato della Comandancia, gli zapatisti e le zapatiste,
marciando in ordinatissime file da quattro e mantenendo un rigoroso
silenzio, sono sfilati sul piccolo palco posto al centro della piazza
alzando il pugno sinistro al cielo, per poi riaggrupparsi e riprendere
il cammino verso le loro comunitá.
La stessa dinamica, semplice
ma molto significativa, si é data in tutte le cittá occupate
pacificamente. Il segnale, per quanto silenzioso, é arrivato forte e
chiaro. Gli zapatisti ci sono ancora e sono piú numerosi, forti e
organizzati di prima. Nonostante i violenti e ripetuti attacchi
paramilitari degli ultimi mesi, la loro lotta per la costruzione
dell'autonomia continua. Come sostiene giustamente Hernandez Navarro,
quanto visto ieri non rappresenta il ritorno dell'Ezln, che in realtá
non se n'é mai andato ma ha continuato a lavorare a livello comunitario e
fuori dai riflettori, ma la riaffermazione della sua presenza e della
sua vitalitá, un nuovo ¡Ya Basta!, un rinnovato "aquí estamos" a quasi
due decadi di distanza. In serata, infine, é arrivato l'atteso
comunicato firmato dal Subcomandante Marcos a nome della Comandancia.
Molto piú sintetico del previsto, fa riferimento al rumoroso silenzio
delle mobilitazioni matutine: "L'avete sentito? E' il rumore del vostro
mondo che crolla. É quello del nostro che risorge. Il giorno in cui
fece giorno, fu notte; e sarà notte il giorno in cui farà giorno.
Democrazia! Libertà! Giustizia!"-"¿ESCUCHARON? Es el sonido de su mundo derrumbándose. Es el del nuestro resurgiendo. El día que fue el día, era noche. Y noche será el día que será el día. ¡DEMOCRACIA¡ ¡LIBERTAD¡ ¡JUSTICIA¡"
Dopo mesi di silenzio, il
"ritorno" degli zapatisti ha spiazzato quanti si aspettavano un
intervento piú tradizionale da parte della Comandancia. Tuttavia, il
suono dei passi delle migliaia di indigeni e indigene ribelli che a
pugno chiuso hanno ribadito la forza della loro resistenza hanno
riempito di significato il silenzio della mobilitazione: siamo quí e
continuiamo il nostro cammino di lotta, potrebbe infatti il messaggio
che sintetizza la giornata.
Oltre ad aver a che fare con la
nuova era maya, le mobilitazioni di ieri, ricordavano la strage di
Acteal compiuta quindici anni or sono da un gruppo di paramilitari, che,
nel municipio di Chenalhó, massacró 45 indigeni tzotziles, donne
incinta e bambini inclusi, mentre stavano pregando all'interno di una
chiesa. Questo tragico attacco fu portato avanti con l'appoggio
dell'allora Presidente Zedillo, il quale, coaudivato dal governo
statunitense (che recentemente gli ha garantito l'immunitá), puntava a
costituire una strategia della tensione nelle zone di conflitto per
giustificare l'intervento repressivo dell'esercito.
Negli
ultimi mesi, diverse agressioni paramilitari contro le basi d'appoggio
zapatista sono state denunciate in piú occasioni dalle Giunte del Buon
Governo, di conseguenza, le manifestazioni di ieri possono essere lette
anche come una risposta al tentativo di spogliare le comunitá zapatiste
dei territori riconquistati dopo il sollevamento.
Dopo mesi di
guerra a bassa intensitá portata avanti contro la lotta per l'autonomia
comunitaria, la risposta delle basi d'appoggio zapatiste, che hanno
messo in campo una potente dimostrazione di forza e disciplina, ponendo
al centro, contro i leaderismi e i personalismi tipici della politica
istituzionale, la natura collettiva e comunitaria dello zapatismo,
rappresenta senz'altro un segnale importante e una buona notizia per i
movimenenti messicani e non solo.
(Andrea Spotti)
Jihad Masharawi, BBC journalist, weeps while
he holds the body of his 11-month old son, Ahmad, at Shifa hospital
following an Israeli air strike on their family house, in Gaza City. JihadMasharawi,periodista de la BBC, lloramientras sostieneel cuerpo de suhijode 11 mesesde edad,Ahmad,enel hospital de Shifatras un ataque aéreoisraelí contra sucasa familiar,enla ciudad de Gaza. הג'יהאדמשהראווי,עיתונאיה-BBC,בוכהבזמן שהואמחזיק אתגופושל בנובן11-החודש,אחמד,בבית החולים שיפאבעקבותתקיפה ישראליתאוויר עלבית משפחתם,בעיר עזה.
Jihad Misharawi, giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi, Ahmad, (oltre alla cognata) a causa di un attacco israeliano che ha colpito la sua abitazione nella Striscia di Gaza.
L'uomo è stato subito raggiunto dal responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC che ha espresso la sua rabbia via Twitter: "La domanda è: se Israele può colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno fatto il mese scorso) com'è possibile che il figlio di Jihad sia stato ucciso?".
giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi
Jihad Misharawi,
un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco
aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza,
uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il
piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla
da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il
corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington
Post e ha fatto il giro del mondo.
Jihad Misharawi,
un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco
aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza,
uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il
piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla
da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il
corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington
Post e ha fatto il giro del mondo.
Jihad Misharawi,
un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco
aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza,
uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il
piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla
da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il
corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington
Post e ha fatto il giro del mondo.
Un attacco che è solo la conseguenza della minaccia perpetrata pochi giorni fa da Israele: lo Stato Ebraico ha aperto le
“porte dell’inferno”, ha annunciato uccidendo un capo militare di
Hamas. Israele ha avvertito che era solo l’inizio di un’operazione
mirata di gruppi militanti a Gaza e in vista delle elezioni di gennaio
la situazione non può che peggiorare. Mishrawi è stato immediatamente raggiunto da Paul
Danahar, responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC, che
ha espresso la sua rabbia via Twitter: “La domanda è: se Israele può
colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno
fatto il mese scorso) com’è possibile che il figlio di Jihad sia stato
ucciso?”
Jihad Misharawi,
un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco
aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza,
uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il
piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla
da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il
corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington
Post e ha fatto il giro del mondo.
Un attacco che è solo la conseguenza della minaccia perpetrata pochi giorni fa da Israele: lo Stato Ebraico ha aperto le
“porte dell’inferno”, ha annunciato uccidendo un capo militare di
Hamas. Israele ha avvertito che era solo l’inizio di un’operazione
mirata di gruppi militanti a Gaza e in vista delle elezioni di gennaio
la situazione non può che peggiorare. Mishrawi è stato immediatamente raggiunto da Paul
Danahar, responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC, che
ha espresso la sua rabbia via Twitter: “La domanda è: se Israele può
colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno
fatto il mese scorso) com’è possibile che il figlio di Jihad sia stato
ucciso?”.
Jihad Misharawi,
un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco
aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza,
uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il
piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla
da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il
corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington
Post e ha fatto il giro del mondo.
Un attacco che è solo la conseguenza della minaccia perpetrata pochi giorni fa da Israele: lo Stato Ebraico ha aperto le
“porte dell’inferno”, ha annunciato uccidendo un capo militare di
Hamas. Israele ha avvertito che era solo l’inizio di un’operazione
mirata di gruppi militanti a Gaza e in vista delle elezioni di gennaio
la situazione non può che peggiorare. Mishrawi è stato immediatamente raggiunto da Paul
Danahar, responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC, che
ha espresso la sua rabbia via Twitter: “La domanda è: se Israele può
colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno
fatto il mese scorso) com’è possibile che il figlio di Jihad sia stato
ucciso?”.
China has
secretly built d its fifth mega hydroelectric dam (Nọa Trác Độ) on the Upper
Mekong. The project was set to be completed by the year. However,
environmentalists fear it will further upset the region's environment and
affect the lives of some 60 million people and their descendants.
The warning
comes from the Washington-based Stimson Center, which noted that the Nuozhadu
Dam in China's Yunnan province, together with four dams built previously, has
already altered the hydrology as well as the plant and animal life of the
5,000-km river. Once it becomes operational, the
dam will generate about 24,000 GW of electricity per year, a godsend for
Beijing, which has been seeking new sources of power to fuel its industrial
production. Some 50,000 people were forced from their homes to give way to the
project. At the same time, the environment and the communities in various
nations living downstream from the dam, as far as the Mekong Delta in Vietnam, are
under a serious threat.
The study by the Stimson Center
indicates that the dam will cause "huge damages" to Myanmar, Laos, Thailand,
Cambodia and even Vietnam. For experts, it will change the river's flow, with a
huge negative impact on agriculture downstream. This will be the case especially
for the Lower Mekong region, in Vietnam, where seawater will invade ever-larger
areas of the delta. Milton Osborne, an Australian
expert at the Lowy Institute, said
that the impact of China's fifth dam on the Mekong would indeed be "devastating"
despite Beijing's claims that "only 13.5 per cent" of the water in the Mekong as a
whole flows through China. However, during the dry season, that goes up to "40
per cent" of the river's volume overall, according to Osborne.
Discussions over the consequences
of existing and future dams on the Mekong have gone on for years since millions
of people dependon the river for fish, water and transportation.
Some 12 hydroelectric dams are
planned for the lower Mekong, which flows through Thailand, Laos and Cambodia. However,
China's existing and future dams are the most worrisome since the Mekong originates
in that country and covers a long stretch in it.
What is more, when it comes to
its dams, Beijing has been accused of lack of transparency, even though
international law requires that it provide information about its dams to all
the countries that could be impacted.
Madrid - La rivolta degli indignados: feriti e arresti. Migliaia di persone (oltre 10mila) hanno marciato verso il
Parlamento, blindato dagli agenti come una fortezza, per esigere le
dimissioni del governo.
La polizia ha caricato e sparato proiettili di gomma. Almeno 64 persone sono rimaste ferite, tra le quali due agenti.
"Si chiama Alberto Casillas e fino a ieri non avrebbe mai immaginato di diventare una delle icone degli Indignados e un argomento centrale in vari siti e blog spagnoli.
La sua Cafetería Prado, situata in Paseo del Prado 16 e
utilizzata dai manifestanti per rifugiarsi dalle cariche della polizia,
è arrivata nei Trend Topic su Twitter e le foto scattate da Javi Julio stanno facendo il giro del web.
E’ proprio Javi Julio, sul suo blog, a raccontare lo svolgimento dei fatti (in parte disponibili anche in un filmato apparso su YouTube, a partire dal minuto 4): «Quando
sono arrivato, c’erano molti fotografi e Alberto, così si chiama il
cameriere, stava all’entrata del bar, con le braccia aperte gridando:
“Non potete passare, c’è solo gente innocente!”».
Ma Alberto, diventato una vera e propria star, non ci sta a farsi definire «eroe» perché, spiega, «era solo un atto umano, qualsiasi cittadino avrebbe fatto lo stesso». «E’ successo intorno alle 22 – racconta
– nel momento in cui una moltitudine di giovani si rifugiarono nel bar
mentre stavano fuggendo dalla Polizia. Otto agenti si avvicinarono».
Eppure Alberto non è un estremista, anzi: «Riconosco
che ho votato per il Partito Popolare, ma questi non sono modi: quando
un Governo si nasconde dietro le pistole crea un terreno che non è per
nulla buono»." (di P. Videtta)
French prosecutors have opened a
murder inquiry into the death of Palestinian leader Yasser Arafat in 2004. They
made the decision after the latter's family presented a suit last month over
claims that he was poisoned with polonium-210, a radioactive element. Investigators
appointed by a court in Nanterre will conduct the inquiry since the Palestinian
leader died at a French military hospital in Clamart, which is within the court's
jurisdiction. The case has been filed against person or persons unknown.
According to medical records, made public a year after
his death by TheNew York Times, Arafat died of a haemorrhagic cerebrovascular
accident caused by a blood disorder. He died after dominating Palestinian politics
for 40 years, using every means, peaceful and lethal, to have the world listen
to the Palestinian cry for rights and recognition on the international scene,
failing however in his lifelong ambition, the creation of a Palestinian state.
Charges of murder, which the Arafat family believes to
be true, came to the fore in July when a group of Swiss scientists with the
Institute of Radiation Physics at the University of Lausanne found traces of Polonium-210
on Arafat's personal belongings, which were given to his widow after his death.
Last week, the Swiss received permission from Mrs
Arafat and the Palestinian Authority to travel to Ramallah to analyse her late
husband's remains, which are stored in a mausoleum. The Palestinian Authority had
said last month that it was willing to order the exhumation of Arafat's body. President
Mahmoud Abbas also requested the help of French President Francois Hollande in
the investigation.
Polonium-210 is a highly radioactive and toxic
element. It is present in food in low doses, and small amounts are created
naturally in the body. It is not dangerous for humans if touched but it is
lethal if ingested in large quantities. Speaking to AsiaNews,
Samir Qumsieh, journalist and director of a Catholic TV station, Al-Mahed Nativity TV in Bethlehem, said,
"This case is a mystery that is still waiting for a solution. It is certain
that Arafat was poisoned. His death was not natural. Everyone is convinced of
that. We are surprised that the Palestinian Authority did not open before an
investigation into the matter."
For Palestinians, Qumsieh noted, "there was a plot. It
is clear who benefitted from it: the Israeli government. But we believe that it
[Israel] acted with the complicity of some Palestinians, perhaps someone from
Arafat's inner circle."
In other words, for the journalist, "it is clear that
he was killed. But who actually did it? That is the big question. I fear that
no investigation will be able to find an answer.
Lentamente, qui è una strage ... "Qui Sud Sudan, qui Sud Sudan, mi ricevete?" Mi spiace, ma qui sono pochi a ricevervi. Sud Sudan (Republic of South Sudan, جمهورية جنوب السودان Jumhuriyat Janub Al-Sudan): Stato africano indipendente dal 9 luglio 2011 dal Sudan; in
precedenza regione autonoma sudanese garantita dall'accordo di pace di
Naivasha del 2005, quindi, dopo un referendum regionale, indipendente
sotto ogni aspetto. Distrutto da anni ed anni di guerra civile,
scatenata da Khartum e dal signor Omar Hasan Ahmad al-Bashir.
A guardare la mappa di Medici Senza Frontiere, sembra una nazione a
maggioranza di campi profughi: Jamam Camp con 35.000 rifugiati, Doro
Camp con 45.000 rifugiati, New Batil Camp con 30.000 rifugiati e Yida
Camp con 63.500 rifugiati.
La situazione è ovunque uno specchio di
immane tragedia e morte. Nonostante tutto l'impegno degli operatori di
Medici Senza Frontiere, la situazione rasenta ovunque il disastro
umanitario.
Per arrivare in questi campi le persone camminano
ininterrottamente per giorni e giorni, kilometri su kilometri. E vedono
morire chi tra loro non ce la fa: genitori, fratelli, figli, amici... Ma
nel dolore immenso della perdita dei propri cari, la marcia non
s'arresta e va avanti, avanti, tra malattie, fatiche, privazioni. Nei
campi quasi tutto è al collasso: l'acqua potabile sta finendo o si
inquina e diventa fonte di morte, imperversano malnutrizione, diarrea,
febbre, infezioni, polmonite. Tutte cose facilmente curabili qui da noi,
si lascia scappare con un'incredulità piena di rabbia un'operatrice in
uno dei campi. Ma lì no.
Il tuo stomaco non mangia da giorni e la
tua gola è arsa dalla sete, dal caldo, e davanti a te c'è una larghissa
pozza d'acqua. Sai che è inquinata dalla latrine che hanno straripato.
Che fai? Morire di sete o di qualche malattia che quel liquido ti
porterà? La certezza è che comunque andrà, l'agonia sarà lunga.
"Qui Sud Sudan! Qui Sud Sudan! Mi ricevete?"
No, non riceviamo.
Il silenzio è assordante, quelle vite umane probabilmente valgono meno di zero, quelle migliaia di persone non esistono, il loro straziante spegnersi non conta nulla.
E intanto che scrivo, lì si muore.
Ma non di una morte rapida, veloce, indolore. Verrà la morte, verrà, ma te l'assaporerai per giorni, settimane. La sentirai in ogni parte del corpo, di quel corpo ancora in parte vivo.
UN observers have reached Qubair where signs of a
massacre are everywhere. However, there are no telltale signs of who might have
carried it out, how and what the number of victims is.
The
group of 25 UN observers reached the village mid-afternoon yesterday, along
with a BBC reporter who described a "remarkably
appalling scene" of burned homes containing pools of blood and bits of human
flesh.
According
to the anti-Assad opposition, Syrian troops and pro-Assad Shabiba militias were
responsible for the killing of 78 people, including women and children.
The
government has said instead that nine people were killed by "terrorists", the
term it uses for all regime opponents.
Few
bodies were found in the village. For a local man, military lorries came in
after the slaughter and took them away.
"We
found burned homes, and at least one burnt with bodies inside," Sausan Ghosheh,
spokeswoman for the UN observers, said in her account posted yesterday on the
mission's website.
"Residents
from neighbouring villages came to speak to us, but none of them were witness
to the killings on Wednesday," Ghosheh said. "The circumstances surrounding
this incident are yet not clear, and we have not yet been able to verify the
numbers."
The
Qubair attack follows the massacre of 108 people in Houla on 25 May.
Syria's
opposition also blamed this massacre on army soldiers and Shabiba militias. The
government blamed "terrorists" trying to sink the peace plan brokered by Kofi
Annan, the United Nations-Arab League special envoy.
Other
observers like Chandra Muzaffar, president of International Movement for a Just
World, doubt that Assad is behind these massacres. For the latter, the Annan
plan is the only way for Assad to stay in power.
Many
in the international community are pushing for Assad's removal. Saudi Arabia
and Qatar and, according to the Washington
Post, the United States want Assad out, and are arming the opposition as
well as extremist groups linked to al-Qaeda and Salafis.
Three
car bombs exploded yesterday in Idlib, Rif Dimashq and Qudssaya, near Damascus,
killing police, security forces and civilians.
The
United States and Great Britain are putting also pressure on China and Russia, Syria's
allies, to topple Assad.
Former
British Foreign Secretary Lord Owen has urged Turkey to lead a NATO threat to
intervene in Syria as a way of ending the "devastating" impotence of
the international community.
For
Kofi Annan, "Syria can quickly go from a tipping point to a breaking
point. The danger of a full-scale civil war is imminent and real, with
catastrophic consequences for Syria and the region".
Ciao Mister ... sì, Mister, perchè era così che ti chiamavo e che ho continuato a chiamarti. Allenatore, coach, gli altri nomi, ma Mister era quello da me più usato, quello che incarnava la tua persona.
Quanti anni insieme? Tanti, eppure troppo pochi. Più che una squadra di basket eravamo una famiglia, o almeno io l'ho sempre vista così, con le nostre gioie, le nostre rabbie, le nostre tristezze, i nostri scazzi, ma sempre una famiglia. Abbiamo fatto un sacco di cose, ricordi Mister? Quanti allenamenti a sudare e sudare ancora e quando sbagliavamo partivano di certi paroloni...ricordi?
"Come si fa a sbagliare un canestro da lì?!" quante volte ce l'hai, o me l'hai, gridato? Sento ancora la tua voce nelle orecchie. E quelle partite punto a punto, dove o era la gioia o era il pianto, il nostro; tu al massimo t'incazzavi o ci rassicuravi. E quelle dove l'arbitraggio era palesemente contro di noi e tu ti beccavi una marea di falli tecnici ed espulsioni... E questi ricordi mi strappano un sorriso perchè, in fondo, ci divertivamo tanto, con tutta quella grinta che ci mettevi e con quei progressi enormi che ci hai fatto fare. Te li ricordi, eh Mister, i due tornei all'estero? Ore su ore massacranti di pullman per arrivare in Bretagna e giocare con squadre di mezza europa... La gioia, più grande, quando sconfiggemmo la squadra della Repubblica Ceca... Quelle ragazze che arrivavano da una selezione "interna", serissime, altissime, bravissime, con le divise strafighe, con quel saluto solenne prima dell'inizio della partita e il loro allenatore che sembrava un comandante di un esercito. Noi, al loro confronto, eravamo l'armata brancaleone: un pò più basse della media, le divise che per me risalivano agli anni '80, una bravura nella norma, fatta esclusione per un playmaker fenomenale, nessuna selezione alle spalle, solo una squadra di un certo paese che era in Italia. Ma vincemmo. La gioia che esplose come dei fuochi d'artificio...
Anni bellissimi, sai Mister? Anche quando mi sgridavi, anche quando stavo in panchina, sei entrato con tutta la squadra in un pezzo indelebile della mia vita.
E ora... ... ... e ora ti saluto, un ciao che non è un addio, è solo un ciao, un ciao Mister, il solito saluto che t'ho sempre fatto quando ti vedevo, perchè di fondo io credo che un giorno ci rivedremo.
L'unico piccolo rimpianto è che avrei ancora voluto giocare, almeno una volta, con le mie compagne, con te come allenatore... ma non si vive di rimpianti, gioisco per tutto ciò che di bello e divertente e impegnativo abbiamo fatto insieme.
Ciao Mister...
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