martedì 20 settembre 2011

Colombia: victims of State

Reynel Restrepo aveva 36 anni ed era il sacerdote del municipio di Marmato, uno dei 27 comuni della regione di Caldas, cuore dell'area paisa. È stato assassinato lo scorso primo settembre perché da due anni lottava contro la multinazionale Gran Colombia Gold e il megaprogetto di estrazione aurifera che coinvolge Marmato e alcuni dei paesi limitrofi, sulle cui montagne da sempre l'oro è fonte di sostentamento per la gente del luogo.
Pochi giorni prima di essere ucciso, Restrepo aveva denunciato le minacce e i pedinamenti, annunciando che questa sua lotta avrebbe potuto costargli la vita. Dietro alla multinazionale e alla sua fame d'oro, ci sono il governo e le sue concessioni, che prevedono sfollamenti forzati di vaste aree per installare impianti di estrazione ad alto impatto socio-ambientale. Iniziata dalla compagnia Medoro Resources, la corsa alle montagne aurifere è ora in mano alla Gran Colombia Gold, alla quale la Medoro si è unita, facendo lievitare contemporaneamente il progetto. Nei piani c'è adesso una miniera a cielo aperto, che implicherebbe la completa sparizione dell'intero paese e il desplazamiento di tutti i suoi abitanti. Di qui le denunce e la lotta capeggiata dal coraggioso prete a cui sono susseguite pesanti pressioni della multinazionale per convincerlo a spostare la parrocchia a valle e zittire le proteste. Dalle parole ai fatti, e l'omicidio è arrivato puntuale per mano dei paramilitari, scelta ultima ma comune di un potere che usa violenza e sopraffazione pur di ottenere profitto. Dietro a tutto, l'appoggio incondizionato di Bogotà. Il governo di Juan Manuel Santos, infatti, non ha fatto altro che continuare a incensare le grandi imprese che continuano a sfruttare le risorse naturali colombiane in cambio di prebende. Seguendo, qui sì, fedelmente le orme del suo predecessore, Alvaro Uribe, dal quale cerca di discostarsi senza troppo riuscirci. E il parroco di Marmato non è il solo sacerdote ucciso negli ultimi giorni. È di queste ore la notizia che padre Gualberto Oviedo Arrieta, 34 anni, parroco della chiesa Nuestra Señora del Carmen di Capurganà, un comune della diocesi di Apartadó, Urabá, è stato trovato ammazzato. Anche questa terra è una delle più martoriate dalla furia paramilitare e dalla complicità dei militari. È qui che è nata la comunità di pace più organizzata e nota del paese, La Comunidad de Paz de San José de Apartadó, che va lottando per mantenersi neutrale in un conflitto ultra-quarantennale dove vige la regola o con noi o contro di noi. La scelta del non stare dalla parte di nessuno, dunque, suona provocante ed è costata e sta costando la vita a molti leader comunitari perlopiù uccisi dai militari.
La Conferenza episcopale colombiana ha espresso la sua "profonda tristezza" per l'uccisione di padre Oviedo, "nel constatare che proprio durante la Settimana per la pace è stata recisa la vita di un sacerdote che si era consegnato al servizio dei più poveri nell'Urabá".
Con l'uccisione di padre Oviedo sono sei i sacerdoti assassinati nel paese sudamericano dall'inizio del 2011, "una cifra molto preoccupante che manifesta lo stato di violenza e di deterioramento morale che vive la nostra società" ha detto monsignor Juan Vicente Córdoba, segretario generale dell'episcopato, sottolineando "il coraggioso impegno dei nostri religiosi per la denuncia profetica delle ingiustizie e la causa dei più poveri".
(Tratto da: Peace Reporter)

lunedì 29 agosto 2011

Vietnam marks General Giap’s 100 years

Il Vietnam celebra i 100 anni del generale Giap.
(per la traduzione in italiano cliccare qui)

The famous independence hero was born August 25, 1911 in a central-north province. His name is linked to the wars against the French, Japanese and U.S.. He is still remembered for the battle of Dien Bien Phu in the plain, in 1954, which ended the war in Indochina. He is also a vocal critic of the government and the Party.

After defeating the French, Japanese and Americans one after the other, he also seems to have defeated time itself: General Vo Nguyen Giap, hero of the Vietnamese, today celebrates his 100th birthday. He was born August 25, 1911 in central-north Quang Binh province to a poor family, composed of seven siblings, some of whom died young. Politically active since his school years, he was expelled from a school in Hue for organizing student protests. But his name is tied hand in glove with the wars in Indochina in the second half of the 1900’s, so much so that the Vietnamese people consider him the second most important national personality, only after "Uncle" Ho Chi Minh.
Do Quy Doan, Vice Minister of Culture, recalled that "some of the country's most glorious and most important events are associated with his name and his cause." Yesterday, the four-star general received a delegation of Communist Party politicians and leaders, to celebrate the centenary. He still has a colonial-style villa in Hanoi, not far the mausole
um of Ho Chi Minh, in the city center, where until three years ago he would still receive foreign heads of state and leaders. The official Viet Nam News Agency reports the elderly leader’s "thanks" and "renewed commitment" to the conquest of new objectives
His most famous milita
ry conquest dates back to May 1954, with the historical humiliation of the French army in the Dien Bien Phu plain. General Giap, thanks to a clever counter-offensive, cut the trans-Alpine lines, causing them to collapse and ending the war in Indochina. The Hanoi government this week dedicated a photo exhibition to his enterprise with decades-old pictures in black and white.
However, in recent years he has repeatedly clashed with the Vietnamese government, accusing them
of promoting policies all too "pro-Chinese" to the detriment of the country's territorial and economic independence. Among others, the battle against the bauxite mining program in the Central Highlands, the exploitation of which (for the benefit of Beijing) has provoked criticism from scientists and environmentalists.
Finally, his accusations of corruption against political leaders and his criticism of the bureaucracy and the party led to his marginalization from the political scene for the past 25 years. In a speech to Congress in 2006 he repeatedly insisted on the need for transparency and democracy and decisive action against corruption. "A party that conceals its defects is in ruins - Giap wrote in a state newspaper - a party that admits its mistakes and is transparent is courageous, strong and honest."

mercoledì 29 giugno 2011

Nirvāṇa ... 湼槃 ... निर्वाण

Non so voi, ma io a volte vorrei lasciare il caos metropolitano e periferico, vorrei non vedere più palazzi, strade asfaltate, auto...problemi, dubbi, preoccupazioni...vorrei abbandonare tutto e potermi tuffare in un mondo parallelo fatto di natura e tempi di vita che seguono il ciclo della terra. A volte invece no, a volte l'esplosione di voci, di folla, di vita, mi rivitalizzano. A volte però. Non sempre.
Terre sconfinate abbondanti e quasi sopraffatte dagli arbusti, dove svettano montagne che sembrano toccare il cielo, sentieri poco più che abbozzati che s'immergono in foreste da leggenda. E scovare d'improvviso qualche persona e sorridere istintivamente perchè di fronte a tanta prorompenza di natura fa piacere ritrovare un proprio simile. Sì, penso d'aver trovato la mia realtà parallela...ma non è fantascienza o frutto d'un sogno...è realtà concreta e tangibile. Certo, nella mia ricerca ne ho trovate più di una, ma molte erano costellate da orde di saccoapelisti e visitatori con zaino in spalla... Io vi parlo di una nazione incastonata tra i monti, chiamata Druk Yul (Terra del Drago Tonante) dai suoi abitanti. A vederlo oggi sembra un luogo dimenticato dal tempo: antichi templi appollaiati su alti precipizi avvolti dalla nebbia, sacre vette mai conquistate, fiumi e foreste incontaminate. Con una particolarità a livello statale a partire dagli anni '70, ovvero la FIL. Sapete cos'è?^^Semplice! La "Felicità Interna Lorda". E con questo pilastro questa nazione s'è tirata fuori dalla miseria in cui versava. Beh, ovvio, per tener lontane le invasioni turistiche c'è una pesante tassa da pagare se si vuole entrare e molti vincoli da seguire, ma così facendo gli orologi hanno rallentato di molto la cadenza del tempo.
Vi sto parlando del Bhutan, tra Cina ed India, che solo di recente è diventato democrazia per volontà del monarca che ha abdicato, e che quindi s'appresta ad affrontare un futuro pieno d'incognite. Ma ad oggi, nelle aree rurali del paese, si respira una sorta d'antichità, d'avventura, di sorpresa, di "Ohh" incantati. La terra perfetta per accogliermi, per accogliermi nei momenti in cui vorrei scappare da tutto e da tutti, in cui vorrei silenzio per capire, per affrontare...tante cose...tante questioni... Vorrei partire, veramente, per questo regno buddhista che sa di magico.






Magari installarmi un pò in un villaggio come quello di Nebji, nascosto nel cuore delle Montagne Nere, nel Buthan centrale, dove non arrivano strade ed elettricità, circondata da foreste e montagne. Tornare alla quiete del silenzio, al respiro profondo, agli spazi senza barriere che bloccano la vista...tornare alla pura semplicità.

Ma qui, scusate, mi devo fermare. Non credo nè alle favole nè agli eden in terra; e neanche il Buthan lo è. Magari si avvicina per me, ma non lo è. Mentirei a voi e a me se vi dicessi il contrario.
Anche qui i problemi ci sono.

Il maggior gruppo etnico del paese era quello degli induisti nepalesi, giunti in Buthan agli inizi del '900. Allarmata da una immigrazione costante, l'élite al potere buddhista e di origine tibetana (Drukpa) decretò che tutti i buthanesi dovessero seguire il codice linguistico, religioso, d'abbigliamento e condotta proprio dei Drukpa. E più ancora: tutti i bhutanesi non "puri" dovevano lasciare il paese entro 4 giorni. Ondate di proteste e conseguenti arresti si abbatterono negli anni '90, con decine di migliaia di bhutanesi d'origine nepalese che si dovettero rifugiare oltre confine. E qui, in questi campi profughi (che di certo non sono a 5 stelle...ma neanche 1 di stella!), si gioca tutt'oggi una delle dispute internazionali più spinose al mondo.

No...neanche il Buthan è il paradiso.

E non è neanche così immobile nel tempo.
Me ne accorgo meglio quando leggo un'intervista sul National Geograpich a Norbu Kinzang, un bambino di 7 anni abitante della capitale bhutanese, Thimphu (ཐིམ་ཕུ་); alla domanda del giornalista "Secondo te chi è il più cool del mondo?" lui risponde senza problemi "Mah...sia 50 Cent sia il quarto re del Bhutan...mi piacciono tutti e due!".

Sì...sentitevi spiazzati quanto me... O.o
E così, alla fine, la mia realtà parallela fatta di pura natura dove rifugiarmi, assume sfumature non certo da idillo.
Chissà, forse la "pace" esterna la si può cercare nel mondo (con un pò di pazienza...), si possono trovare luoghi che molto hanno da donare e molto da insegnare, nonostante i problemi interni che, d'altronde, ci sono in tutti i paesi.
Ma la "pace" interna, quella profonda, a costo di sembrare scontata, forse la troviamo solo dentro di noi. E non c'è luogo che regga, usi e costumi che servano, se prima non affrontiamo noi stessi, in quei discorsi a volte silenziosissimi, a volte chiassosi, a volte spietatamente veritieri, a volte spudoratamente bugiardi, che facciamo da soli con l'altro "io". In un dialogo tutto nostro, intimo e privato. A noi la scelta di tessere discorsi originali o falsi. Solo noi poi ne pagheremo le conseguenze. Magari non subito, magari tra qualche anno, magari tra molti anni.

E la ricerca della mia "pace" interna, del mio nirvana, allora, mi sa che diviene più complessa del previsto...

mercoledì 8 giugno 2011

My Lai

Ci sono storie che ti rimangono dentro, che riescono a penetrare ogni strato della tua pelle e del tuo cervello. Storie conosciute a volte per caso, a volte sui banchi di scuola, a volte raccontate.
Il massacro di My Lai (My Lai massacre - thảm sát Mỹ Lai), che avvenne il 16 marzo 1968 nella provincia di Quang Ngai, per me, è una di quelle.
Tutto iniziò quando i soldati statunitensi della Compagnia Charlie, della 11a Brigata di Fanteria Leggera, agli ordini del tenente William Calley, decisero di sterminare quasi tutti gli abitanti (circa 500) di My Lai, prevalentemente donne, anziani, moltissimi bambini e neonati. Non solo: torturarono e stuprarono prima di uccidere. I dettagli della vicenda sono riportati su internet, non vi sarà difficile trovarli ed anche le immagini di quel giorno non mancano, scrivete "My Lai" su Google e vedrete quante foto. E' da sottolineare la "bravura" che ebbero gli alti comandi statunitensi nel voler coprire tutta la vicenda e ancor di più, quando ormai il fatto venne fuori grazie anche al giornalista premio Pulitzer Seymour Myron Hersh, quando decisero alla fine di assolvere tutti. Nessuno pagò per quel massacro. In un modo o nell'altro tutti fuorono rilasciati.
Il libro del sudetto giornalista, My Lai Vietnam, mi permetto di consigliarvelo.
La Memoria ve tenuta viva ed è vero, tantissimi sono i massacri e i sopprusi avvenuti nell storia, ed uno fa anche fatica a ricordarseli tutti. Questo però m'è rimasto dentro, come marchiato a fuoco. Per questo lo voglio condividere con voi.
A fine dicembre 2010 è uscito un film di un regista italiano, My Lai Four, molto veritiero. Lo so, lo so, siamo in estate e uno vorrebbe pensare a cose più belle. Ma se ne avete voglia, magari in un giorno di pioggia o temporale, guardatelo.



venerdì 27 maggio 2011

Farewell ...

Ora che la tesi di laurea è conclusa e attendo solo di sapere il giorno della discussione, pensavo a un nuovo post da scrivere. Ho pensato alla politica italiana, alla crisi, alle rivolte nei paesi arabi, a Fukushima, alla Striscia di Gaza, e tante altre cose, e non sapevo da dove iniziare. Poi...
Poi c'è questa mattina. Questa mattina vado in Università, a ritirare le copie della tesi rilegate. Salgo dalle scale della metro e vedo qualche raggio di sole. Noto subito che tutti guardano da una parte, in alto, alle mie spalle. D'istinto mi volto. Saranno state circa le 10.05. Sul cornicione d'un palazzo, alto, c'è una persona, seduta. La polizia, i carabinieri e noi, la folla, sotto. La mia mente è andata un secondo in black out. Poi il pensiero, sicuro, che quella persona ci avrebbe ripensato, che qualcuno lì in alto l'avrebbe agguantata.
Sarà passato forse un minuto, eterno.
La persona aveva con sè una piccola borsa di cartone. L'ha buttata giù. Un secondo. E si è buttata anche lei.
... ... ...
Il grido di qualcuno, quel volo di non più di tre secondi che sono diventati improvvisamente lunghi come minuti. Poi ho messo una mano davanti agli occhiali. Tolta la mano, un telo verde ha coperto.
Sgomento, incredulità, lacrime.
Ho visto un ragazzo africano mettersi le mani davanti al volto. Tre operai dell'est europa con le facce sconcertate. Ho visto gente che è scoppiata a piangere.
La mia mente è stata un attimo in silenzio assoluto. Poi ha pensato a un sacco di cose. Poi silenzio. Poi di nuovo piena di pensieri.
Mi hanno detto che era una donna, forse giovane. Nessuno ovviamente sa il perchè. Non c'erano lì persone che la conoscessero. Solo estranei, noi, la folla, la gente. Non oso immaginare quando daranno la notizia ai suoi cari.
Chi di noi, amiche e amici di blog, non hai pensato anche solo una volta di farla finita?
...Sui caedere
...Sui caedere.... Ciò che ho visto, mi ha dato modo di pensare su questa cosa. Non che prima non ci abbia mai ragionato sopra, ma vedere un sui caedere...fa riflettere, molto, una riflessione anche silenziosa, avvolta ancora da sconcerto totale. Perchè poi penso "Quanta gente al mondo muore così" e per quelle vittime senza nome non ho sparso mai lacrime...
Non so, ho la testa un pò in caos...ho sentito però il bisogno di scrivere queste righe...

giovedì 14 aprile 2011

Gandhi

You must be the change you wish to see in the world

Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo

Tú debes ser el
cambio que deseas ver en el mundo

Vous devez être le changement que vous voulez voir dans le monde

Du musst das
ändern möchten eine in der Welt sehen

يجب أن تكون أنت التغيير الذي ترغب أن تراه في العالم

Bạn phải thay đổi bạn muốn thấy trong thế giới

(Mohandas Karamchand Gandhi)

domenica 27 febbraio 2011

Hello !

Care amiche e amici di blog,
scrivo a voi per scusare la mia assenza. Vi leggo, passo nei vostri blog, ma è un periodo intenso perchè sto scrivendo la tesi di laurea e perchè la mia vita s'è fatta improvvisamente piena d'impegni; e quando non ho nulla da fare, sento il bisogno di stare un pò sola, a pensare. Ho un grande pensiero dentro di me. Riguarda tutti noi. Voi non avete idea di come vorrei scriverne, parlarne... ma non posso. E non posso neanche spiegarvi il perchè. "Colui che sa presagire il destino, dovrà sopravvivergli": così scriveva Jostein Gaarder, uno scrittore-filosofo, nel libro "L'enigma del solitario". Aveva ragione.
Tornando alle tesi, sto scrivendo della Guerra del Vietnam, vista da 3 giornalisti italiani lì sul posto. Chissà se voi eravate già nati durante quel periodo, chissà se magari ne avete letto, chissà voi cosa ne pensate... se vi va lasciate pure un commento ^^
Un abbraccio a tutti!

giovedì 10 febbraio 2011

Se l'intolleranza la fa da padrone

Java Centrale: migliaia di musulmani attaccano tre chiese, un orfanotrofio e un centro cristiano.
Picchiato a sangue il parroco della chiesa cattolica. Incendiata anche una camionetta della polizia e distrutto il tribunale di Temanggung. L’ira della folla scatenata da una sentenza di blasfemia troppo leggera ( 5 anni di prigione al posto della pena di morte).
Per la versione in italiano clicca qui
Translation in Chinese click here

Central Java: Thousands of Muslims attack three churches, an orphanage and a Christian centre.
Thousands of angry Muslims attacked three churches, a Christian orphanage and a health centre that is also a Christian. The violence took place this morning at 10 am (local time) and only ended with the intervention of police in riot gear and police vans. One of the vans was set on fire by the crowd.
The revolt took place in Temanggung regency (Central Java), and started right in front of the town hall: first the crowd attacked the court where a trial against Richmond Bawengan Antonius, a Christian born in Manado (North Sulawesi) , accused of proselytizing and blasphemy was being held.
Bawengan was arrested in October 2010 because during a visit to Temanggung he had distributed printed missionary material, which, among other things, poked fun at some Islamic symbols. The profanity has cost him five years in prison, but the crowd were demanding the death sentence. The violence was sparked by their dissatisfaction with the verdict.
Instead of leaving the court, the crowd started pushing, shouting provocative slogans and then destroyed the building. Hundreds of police rushed in to intervene but failed to appease the thousands of Muslims who began to march en masse to "target Christians" on the main street of the city.
The Catholic Church of St Peter and Paul on Sudirman Boulevard was the first to be attacked, according to AsiaNews sources, the parish priest, Fr Saldhana, a missionary of the Holy Family, was violently beaten as he tried to protect the tabernacle and the Eucharist against the mob.
The crowd then attacked a Pentecostal church. According to the pastor Darmanto - another Christian leader of Temanggung - the main goal was the Pentecostal church, which was then burned. The mob, however, still not appeased went on to destroy in a Catholic orphanage and a health centre of the Sisters of Providence.
Another Protestant church in Shekinah was burnt down.
Articolo di: Mathias Hariyadi

domenica 16 gennaio 2011

Piccoli dittatori

In questa nebbia che sembra voler restare come per voler rappresentare i miei sentimenti, in queste notizie giornalistiche che mi fanno venire sempre più il mal di stomaco e m'alzano la pressione, in queste facce, in queste persone che scorgo camminando per il mio paese, ho deciso di rileggere per l'ennesima volta (sarà forse la sesta...) il libro "Jack, l'uomo della Folla" di Diego Cugia. In quelle pagine che ormai cominciano a ingiallirsi, vi ritrovo un'attualità che mi pare eterna. Affronta di tutto l'incazzato e colto DJ sfuggito dal braccio della morte di Alcatraz, con parole taglienti e profonde. Fra le tante lettere che scrive una m'ha sempre colpito e m'è rimasta dentro. Vorrei fotocopiarla in caratteri giganteschi e attaccarla ovunque. Vorrei che venisse letta e riletta ogni 5 minuti in televisione e alla radio. Vorrei donarla alla mia vicina, sperando che si dia una svegliata. Vorrei darla a tutti gli adulti di questo paese perchè capiscano, comprendino, che i loro cari figlioletti cresceranno e un domani saranno "grandi": e questi grandi avranno grandi responsabilità.
Ed eccola qui, gustatevela, fino all'ultima sillaba.
"Ho visto i vostri bambini.
Nei supermercati, alla spiaggia, piccoli Rommel dentro le vostre jeep assurde da volpi del deserto. Solo che in quei carri armati ai semafori i generali nani erano loro.
Voi e vostra moglie sembravate Gassman e Sordi nella “Grande Guerra”: soldati vinti, umiliati, offesi. Non avete bambini, avete vecchi marpioni con le Tod’s da nano.
Io non ho patria, colleghi, famiglia. Permettetemi questa riflessione da clandestino: i vostri pargoli conoscono l’arte del ricatto come la peggiore puttana di Bombay:“Se non dare me altra rupia io non sfilare reggiseno, se non dare altre dieci rupie io non sfilare slip”.
Gli esperti insorgono: “Ditegli di no”. Ma tu lo sai bene papino, e tu mammina cara, lo sapete benissimo che a dire di no a Hitler si finisce in un campo di concentramento. Così andate avanti a Pokémon e ricatti, un vizio che i bambini imparano prima dell’alfabeto.
Forse la verità è che molti di voi hanno ancora uno straccio d’anima e sono convinti (chissà per quale strano miracolo) che anche i bambini ne abbiano necessariamente una; che siano dotati di gadget morali, come freni inibitori, senso del limite; che notino una pur minima differenza fra ciò che è bene e ciò che è male. Guardate che dalle vostre catene di montaggio sessuali non escono più macchine così. A noi, certi confessori ci hanno bacato dentro, ma almeno sapevamo che uccidere è peccato. Vedendo i piccoli Rommel in azione mi sono chiesto se non erano meglio i nostri orribili sensi di colpa. Mi sono chiesto: se questo insolente benessere economico dal quale siamo miracolati mentre i tre quarti del mondo crepano con la nostra benedizione, ripeto, se questa pappatoria dovesse venire cancellata da un qualche crollo che si porti via jeep da Rommel e villette a schiera, chi glielo spiega ai minidittattori che la pappa è finita? Useranno le pistole, ve l’assicuro, perché senza Balzac e senza Pirandello riescono a sopravviverci benissimo, ma senza BigMac e la Smart a diciott’anni precipiterebbero nel buio della follia.
Perché loro non sono, hanno.
Toglieteglielo e vi sbraneranno.
Appena sono tornato in Italia mi sono incagliato nella tragedia di Novi Ligure.
Perché vi siete meravigliati che Erika abbia ucciso sua madre? Che significa “Era una famiglia normale”? Appunto, normale. E’ questa nostra normalità che è guasta.
Poniamo che lei e il suo ragazzino facessero l’amore in una stanza. Avete idea di quale tempesta psichica e ormonale si possa scatenare alla loro età se si fa l’amore? Intendo dire in piena, totale, assoluta libertà? Senza remore? Senza peccato? Senza sensi di colpa? Ma chi, di noi quarantenni (che abbiamo lottato contro le famiglie oppressive, le frustrazioni, le educazioni rigide, i complessi) chi di noi avrebbe il coraggio di insegnargli che fare l’amore da ragazzini è sbagliato? Sbagliato in nome di cosa? Per cui già piovono lasagne dalle nuvole se li aggiorniamo sui contraccettivi, o sui rischi dell’Aids.
No, i vostri figli non hanno un’anima, così come noi la intendevamo, o una coscienza, così come noi la concepiamo. Non è colpa loro. Sono andati tutti i santi giorni in processione davanti alla Tv, alla messa del fantastico: il fantastico che si compra in edicola o al negozio dei giocattoli e che non mantiene mai le promesse.
Il fantastico infelice. La loro coscienza, la loro anima è possesso. Figurarsi quando si possiedono in due.
Avreste il coraggio di separare due lupi mentre mangiano?
In qualche modo la madre di Erika l’ha fatto.
La reazione di una figlia normale, di una famiglia normale, in un Paese normale è stata normale: l’ha sbranata."

lunedì 13 dicembre 2010

Qatar 2022 World Cup

Ormai è deciso. I Mondiali di calcio del 2022 si terranno in Qatar قطر .
Qatar, Qatar... e chi l'avrebbe mai detto. Il primo paese arabo a ospitare i Mondiali di calcio.
Ammetto che come è stato fatto questo nome, già m'aspettavo un insorgere di polemiche. Beh, una polemica s'è levata, ma non era quella che m'aspettavo.
Ma facciamo un passo indietro, andiamo a scoprire, per chi non lo sapesse, che cos'è questo misterioso Qatar.
Lo Stato del Qatar è un emirato del Medio Oriente, confinante a sud con l'Arabia Saudita e per il resto circondato dal golfo Persico. La capitale è Doha (circa 370.000 abitanti), la lingua ufficiale è l'arabo, la forma di governo è una monarchia assoluta retta dalla famiglia reale Al Thanicon con a Capo di Stato l'emiro Hamad bin Khalifa Al Thani. Il sistema giudiziario è composto da corti civili e penali; le corti sono amministrate secondo la legge islamica della Shari'ah. Il 90% della popolazione è musulmana sunnita; il cristianesimo è una religione minoritaria. Prima del 1999 era vietata la pratica pubblica di ogni religione all'infuori dell'islam, ma ultimamente si stanno facendo delle progressive aperture, anche se i proseliti di religioni che non siano l'islam sono vietati e puniti. Convertire dall’Islam è considerato apostasia ed è tecnicamente un reato capitale.
Uno dei (tanti) temi caldi di questa nazione è la questione dei "bambini fantini". Per la cultura araba e mediorientale in genere, le corse dei cammelli sono la versione locale delle nostre corse equestri. I fantini sono bambini sfruttati e maltrattati provenienti dai paesi più poveri del mondo come Pakistan, India, Bangladesh. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di un vero e proprio traffico di bambini finalizzato allo sfruttamento. L’utilizzo di bambini nelle corse dei cammelli è estremamente pericoloso e può causare danni fisici serissimi e addirittura la morte. Esistono moltissime prove che mettono in luce i maltrattamenti subiti dai minori, sia da parte dei padroni sia da parte dei trafficanti che, fra le altre cose, li nutrono in modo tale che il cibo sia insufficiente per la crescita. In sostanza ci si ritrova a guardare una gara di corsa di cammelli dove i fantini sono bambini di dieci/dodici anni, ma che ne dimostrano la metà viste le condizioni fisiche in cui versano.
Altra questione riguarda le donne. Riprendendo il rapporto di Amnesty International "Le donne subiscono discriminazioni e violenze. Lavoratrici migranti sono state sfruttate e hanno subito abusi, oltre a essere inadeguatamente tutelate dalla legge. Centinaia di persone hanno continuato a essere arbitrariamente private della loro nazionalità. Sono state comminate pene alla fustigazione. Hanno continuato a essere pronunciate condanne a morte, sebbene non ci siano state esecuzioni." Le donne hanno continuato a incontrare discriminazioni nella legge e nella prassi e sono state inadeguatamente tutelate contro la violenza all'interno della famiglia. Il codice di famiglia rende molto più semplice per gli uomini divorziare rispetto alle donne. Sottointeso, purtroppo, che l'abbigliamento per le donne è strettamente legato alla "legge", che impone solo certi abiti conservatori (e non venite a parlarmi di cultura per favore, perchè nel Corano non si obbliga nessuno a un certo tipo d'abbigliamento!) e ne esclude altri ritenuti non idonei.
Per quanto riguarda gli immigrati, che costituiscono più dell'80 % della popolazione (indiani, nepalesi, filippini, pachistani, bengalesi, indonesiani, cingalesi, iracheni, etiopi, vietnamiti, thailandesi, libanesi, iraniani, giordani, siriani), continuano ad essere esposti ad abusi e sfruttamento da parte dei datori di lavoro, senza adeguata protezione. L'immigrato è lo schiavo del suo capo: senza il permesso del datore di lavoro non si guida l' auto, non ci si licenzia, soprattutto non si esce più dal Paese. Gli stranieri che chiedono un aumento o più diritti, possono d’un tratto sparire nel centro deportazioni di Doha. I nuovi schiavi possono lavorare fino a 21 ore al giorno, con due porzioni di riso come unico cibo, una latrina basta per cento, si dorme fino a sedici uno sull'altro in stanze di nove metri quadri, senza finestre; pochi hanno le scarpe. C'è chi non ce la fa e, nel silenzio, si toglie la vita. Come scrive un blogger su Progress On Line: "Tra i grattacieli, le gru, i cantieri sempre aperti, sotto il peso di un’umidità schiacciante, vi è la triste conferma che la schiavitù non si è mai estinta: ha solo cambiato forma".
Abbiamo poi la libertà d'espressione. Il Qatar si pone al 121° posto nella libertà d'espressione redatta da Reporters Sans Frontieres. Vari cittadini stranieri sono stati condannati negli anni per blasfemia, alcuni dei quali hanno ricevuto pene fino a un massimo di sette anni di reclusione per aver impiegato parole considerate insultanti verso l'Islam. È in itinere il dibattito riguardo a una possibile nuova legge sulla stampa e le pubblicazioni a sostituzione della legge n. 8 del 1979, che prevede il carcere per critiche contro la religione, l'esercito e l'emiro.
Per ultimo, il Qatar mantiene la pena di morte, che si esercita tramite impiccagione e fucilazione; l'ultima esecuzione dovrebbe risalire al 2003, ma varie persone (22 in base al rapporto del 28/05/2008 di Amnesty International) sono detenute nel braccio della morte. Il 18 dicembre 2008 il Qatar ha votato contro la risoluzione per una moratoria delle esecuzioni capitali all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Ora, torniamo a noi.
Dopo tutte le critiche piovute a raffica sulle Olimpiadi di Pechino, possibile che l'unico problema fatto emergere sui Mondiali di calcio in Qatar sia stato quello sul... clima? (?!?!)
Se si vuole essere obiettivi nelle critiche penso non sia una gran cosa sparare solo su quelle nazioni che, per vari motivi, ci fanno comodo. In fondo, nessuna nazione è perfetta, si potrebbe trovare dello sporco ovunque (vi ricordate i Mondiali in Giappone? Sapete della pena di morte in Giappone e dei non-diritti di coloro che risiedono nel braccio della morte? Sapete delle leggi che sfiorano il razzismo di questa nazione?), e se si vuole (giustamente) portare alla luce dei problemi sarebbe bene farlo con tutti.
Eppure, l'unica voce alzatasi per criticare la scelta del Qatar ha parlato del clima eccessivamente caldo...
Va beh, ognuno ha i suoi metri di giudizio... ma a me questa cosa continua a non andare giù...
Si alzerà qualche voce per il 2022?

mercoledì 24 novembre 2010

All 29 miners in New Zealand believed dead after second blast

Si spegne ogni speranza per i minatori neozelandesi: 29 morti bianche. Da venerdì erano bloccati in un pozzo di carbone a causa di un'esplosione. Ieri un secondo boato, secondo la polizia nessuno è rimasto in vita. Perdono così la vita 24 neozelandesi, 2 australiani, 2 scozzesi e un sudafricano: Conrad John Adams, 43, Malcolm Campbell, 25, Glen Peter Cruse, 35, Allan John Dixon, 59, Zen Wodin Drew, 21, Christopher Peter Duggan, 31, Joseph Ray Dunbar, 17, John Leonard Hale, 45, Daniel Thomas Herk, 36, (second row) David Mark Hoggart, 33, Richard Bennett Holling, 41, Andrew David Hurren, 32, Jacobus (Koos) Albertus Jonker, 47, William John Joynson, 49, Riki Steve Keane, 28, Terry David Kitchin, 41, Samuel Peter McKie, 26, Michael Nolan Hanmer Monk, 23, (bottom row) Kane Barry Nieper, 33, Peter O'Neill, 55, Milton John Osborne, 54, Brendan John Palmer, 27, Benjamin David Rockhouse, 21, Peter James Rodger, 40, Blair David Sims, 28, Joshua Adam Ufer, 25 and Keith Thomas Valli, 62.

Explosion would have left no survivors, but rescue teams not to blame says Pike River mine executive.

A huge explosion tore through a coal mine in New Zealand today, extinguishing any hope of survival for 29 miners trapped underground for five days after an earlier blast.
"Unfortunately I have to inform the public of New Zealand at 2.37pm today there was another massive explosion underground and based on that explosion no one would have survived," said police superintendent Gary Knowles, in charge of the rescue operation at the Pike River mine. "We are now going into recovery mode. I had to break the news to the family and they were extremely distraught."
Relatives who had maintained a vigil at the mine in the desperate hope their loved ones were still alive emerged from the meeting crying, with some shouting at police and reporters. Several have been critical of the apparently slow pace of rescue efforts, though rescuers stressed throughout that high levels of toxic and explosive gases within the shafts made it a hugely difficult operation.
The country's prime minister, John Key, said the second blast was "a national tragedy" and that official flags would fly at half mast and parliament adjourn as a mark of respect. "New Zealand has been devastated by the news that we have all been dreading," he told a televised press conference.
Among the presumed dead are two Britons, 40-year-old Peter Rodger, and Malcolm Campbell, 25, both originally from Scotland. The foreign secretary, William Hague, said the government had learned of the deaths "with immense sadness". Also in the mine were two Australian nationals and a South African.
The head of Pike River Coal, which runs the mine in Greymouth, on the north-west coast of New Zealand's South Island, said that it was not known precisely what caused the second blast, but he could be sure rescue teams had not done anything to cause it. "It was a natural eventuation, it could have happened on the second day, it could have happened on the third day," Peter Whittall said.
Nothing had been heard from the 29 men since the initial explosion, from which two of their colleagues escaped, but many relatives had stayed hopeful, in part because of the good safety record of the country's mining industry, with 181 deaths in 114 years before today. They were also buoyed by the rescue last month of 33 men from a Chilean copper mine after 69 days underground.
The local mayor, Tony Kokshoorn, said the families had been cheered at news that robots carrying cameras had entered a narrow shaft drilled into the section of the mine believed to contain the missing men. Police then had to inform them of the second blast. "They were screaming at them. It was absolute despair," said Kokshoorn, himself breaking down. "When the news came everyone just cracked up. People were openly weeping everywhere."
"This has got to be the darkest day for me. For Greymouth, for everywhere. This is the darkest day," he was quoted as saying by the New Zealand Herald. "Things are never going to be the same."
The father of one miner said he was not yet convinced they were all dead. "I'm still hoping there's a miracle left," Laurie Drew told TVNZ. Drew said he believed rescue teams should have gone into the mine on the night of the first blast to look for his son Zen, 21, and the others. "They had their window of opportunity that Friday night, and now the truth can't come out because no one alive will be able to come out and tell the truth about what went on down there," he said. "The only thing that's going to make matters worse is if we find out that people were alive after that first blast."
The next task is to decide how and when to recover the men's bodies from the tunnels dug more than a mile into a mountain, something the mining company promised it would do. "I still want them back," Whittall said. "Their families want them back. We want out boys back. We want them out."
One option is a process known as "gagging", in which the shafts would be flooded with carbon dioxide to extinguish any remaining fires and allow recovery teams to go in.
Earlier today, drillers finished boring a 530ft hole to the mine's main tunnel. Hot air and gas rushed through the hole when the chamber roof was punctured. Whittall said earlier that initial tests showed it was "extremely high in carbon monoxide, very high in methane and fairly low in oxygen".
An army robot had crawled two-thirds of a mile into the tunnel and found a miner's helmet with its fixed light still glowing. Officials said the helmet belonged to Russell Smith one of two miners who managed to escape the initial blast.
New Zealand's worst mining disaster was in 1896, when 65 died in a gas explosion.

mercoledì 10 novembre 2010

Polls open in Jordan, as parliamentary elections get underway

Oggi (9/11/2010) Amman è stranamente silenziosa: i bambini non urlano giocando per strada, il furgone delle bombole del gas non gira per la città suonando il suo motivetto, di automobili in giro se ne vedono ben poche.
Oggi è giorno di festa nazionale, a cinque anni esatti dagli attentati di matrice islamica che portarono alla morte di almeno sessanta persone e al ferimento di altre trecento.
Scuole, uffici pubblici e privati, negozi, tutto chiuso, come non capita nemmeno di venerdì. Oggi si vota.
Dalle 7 di questa mattina, nei 45 distretti elettorali in cui è suddivisa la Giordania, i 2,37 milioni di sudditi hashemiti iscritti alle liste dei votanti sceglieranno i loro nuovi rappresentanti alla camera bassa del parlamento.
Quando il 23 novembre 2009 il re Abdallah II annunciò lo scioglimento del Parlamento, la popolazione accolse la notizia con assoluta noncuranza. Il commento più diffuso, ad ogni livello della scala sociale, era un disilluso adi, è normale.
Oggi, dopo quasi un anno di legislazione straordinaria e di decreti regi, il sentimento più diffuso è esattamente lo stesso.
D'altra parte non è la prima volta che, senza troppe spiegazioni, il re licenzia il Parlamento: era già successo nel 2001, e il sovrano attese due anni prima di indire nuove elezioni. E le cose non sembrano destinate a cambiare dopo le elezioni per le centinaia di tassisti di Amman, per i pastori di capre del governatorato di Kerak, per i beduini del deserto orientale, per i profughi palestinesi della Nakba (la tragedia, come i palestinesi chiamano la nascita d'Israele) o per i rifugiati iracheni dell'ultima guerra. Da giugno il paese è ricoperto da enormi cartelloni a sfondo viola. Fanno l'occhiolino a quel settanta per cento della popolazione sotto i trenta anni d'età, di istruzione medio-alta, che non si interessa alla realtà politica della nazione, che non ha mai nemmeno pensato di andare a votare. La nazione ha bisogno di te, la tua voce/il tuo voto è cruciale. Tende, banchetti e volontari sono comparsi agli angoli delle strade più battute dai giovani giordani, promuovendo la campagna per l'iscrizione alle liste elettorali. E poi sms e messaggi su Facebook per ricordare le procedure di registrazione. I primi dati diffusi dal Ministero degli Interni raccontano di trecento mila nuovi elettori che hanno acquisito diritto di voto, elemento ora segnato anche sulla loro carta di identità, accanto alla voce religione professata.
Gli edifici più alti di Amman ieri sera erano rischiarati dalla scritta luminosa Sharak, che significa partecipa, contribuisci.
Nelle 108 circoscrizioni, ridisegnate a seguito dell'emanazione della nuova legge elettorale del maggio scorso, si presentano oggi 763 candidati di cui 143 donne, che concorrono all'assegnazione dei 120 seggi di deputato, dei quali dodici riservati alle donne, nove alla comunità cristiana e tre alla comunità circassa.
Avverso fin dall'inizio alla nuova legge elettorale è il Fronte di Azione Islamica, emanazione politica in Giordania della Fratellanza Musulmana. In un paese retto da logiche di appartenenza di clan, il Fronte rappresenta l'unica organizzazione partitica di opposizione al governo, anche se fortemente diviso al suo interno tra fazioni estremiste e raggruppamenti più moderati. Contrario al ridisegno dei distretti elettorali, che ancora una volta sovra rappresenterebbero zone del paese più favorevoli alla corona, e al sistema di una testa = un voto che vincola gli elettori alla scelta di solo candidato e non di una compagine partitica, il partito islamico questa volta non si presenta alla tornata elettorale, cosa che, ci si aspetta, inciderà non poco sulla partecipazione al voto soprattutto dell'elettorato più religioso.
In un paese declassato da Freedom House, nel giro di un anno, da parzialmente libero a non libero, dove ogni critica al re, alla sua famiglia, al governo o al parlamento è punibile con l'arresto e dove ancora esistono tribunali speciali e prigionieri politici, è facile che un sit-in non autorizzato dalle forze dell'ordine davanti al governo porti a dieci fermi, è facile comprare e vendere voti, scambiarli, fare pressioni su candidati scomodi perché si ritirino dalla corsa (sono ventiquattro le persone fino ad ora indagate per pratiche scorrette durante la campagna elettorale), è facile far scivolare un articolo di commento alla situazione attuale, economica e politica, del Paese dalla prima pagina alle pagine interne poco prima di andare in stampa, perché non sta bene.
Tratto da: Peace Reporter