domenica 3 agosto 2014

La jaula de oro

La jaula de oro (La gabbia dorata)
Di Diego Quemada-Díez. Con Karen Martínez, Rodolfo Dominguez, Brandon López, Carlos Chajon. Messico 2013, 102′

¿De que me sirve el dinero
si estoy como prisionero
dentro de esta gran prision
cuando me acuerdo hasta lloro
y aunque la jaula sea de oro
no deja de ser prision.


La trama. Tre adolescenti guatemaltechi, due maschi e una femmina, attraversano il Messico per raggiungere il Texas. Il film, a metà tra documentario e fiction, racconta l’epopea dei migranti latinoamericani negli Stati Uniti. Attraverso retate della polizia, dell'esercito, dei narcotrafficanti, degli schiavisti, attraverso i cecchini statunitensi, attraverso muri, barriere, canali, treni.
Tres adolescentes guatemaltecos, dos machos y una femenino, cruz México para llegar a Texas. La película, a medio camino entre el documental y la ficción, narra la epopeya de los inmigrantes latinoamericanos en los Estados Unidos. A través de redadas policiales, militares, narcotraficantes, traficantes de esclavos, a través de los francotiradores estadounidenses, a través de las paredes, cercas, canales, trenes.
Le recensioni straniere. 
Sul sito d’informazione alternativa Médiapart, Cédric Lépine, dopo aver evidenziato come per questo film il regista abbia compiuto un lavoro, durato anni, per raccogliere le testimonianze di anonimi migranti, rimarca che il film ribalta elementi tipici del cinema statunitense: “Se il western è concepito sul modello dello spostamento di pellegrini alla ricerca di una ‘terra promessa’ intorno alla corsa all’oro negli Stati Uniti del XIX secolo, allora La Jaula de Oro sarebbe egualmente un western, ma con uno spostamento del Sud verso il Nord. Diego Quemada-Diaz ne ribalta tutte le specificità”.
Tra queste, il vettore principale della conquista del west, il treno. E aggiunge che oggi "i treni trasportano mercanzie e gli esseri umani sono costretti a viaggiare clandestinamente e pericolosamente sui tetti dei vagoni" "los trenes que transportan mercancía y los seres humanos se ven obligados a viajar de manera ilegal y peligrosamente en los techos de los coches".
Olivier Séguret, firma di punta del quotidiano Libération, mette l’accento sulla dimensione empatica del film. Seguret sottolinea giustamente la dimensione umana “ancora vibrante d’infanzia” degli adolescenti migranti, provvisti soltanto della “loro amicizia nascente e ancora maldestra da opporre all’orrore del mondo verso il quale corrono”.
“La traversata degli inferi, dal Chiapas alla California” "La travesía del infierno, de Chiapas a California", titola invece Le Monde.

mercoledì 30 aprile 2014

Saudi Arabia السعودية - The appeal of the daughters of the king: helped us, we are prisoners

Arabia Saudita - Sahar Al Saud, 42 anni, denuncia la propria condizione di schiavitù insieme alle tre sorelle, Maha, Hala e Jawaher Al Saud, figlie della stessa donna che ha divorziato dal sovrano saudita negli anni '80. 
La figlia di re Abullah dell'Arabia Saudita, vive reclusa così come le altre tre sorelle nel palazzo reale di Gedda. Sahar Al Saud per denunciare la propria condizione di schiavitù ha lanciato diversi appelli video, l'ultimo in occasione del nono anniversario di regno del padre. Le quattro donne sono figlie di Alanoud Al Fayez, di origine giordana, che ha divorziato da Abdullah e ora vive in esilio a Londra. "Le mie figlie non possono vedere persone esterne alla famiglia reale, mentre i maschi di casa vanno da loro per percuoterle. Se Abdullah tratta le figlie in questa maniera, come pensate possa curarsi dei cittadini e della nazione? Abdullah divorziò da me senza dirmelo, solo perché in quattro anni gli avevo dato quattro figlie femmine e nessun maschio, mi considerava inutile" ha detto Al Fayez.
Con il capo coperto, Sahar Al Saud parla alla gente:"Saluti ai martiri ed agli uomini liberi detenuti, è un onore per me apprendere da voi il significato della libertà, prometto di seguire le vostre orme, mi batterò per voi e vinceremo grazie alla fede in Allah" Continua la principessa:"Abbiamo bisogno di cibo e di un inalatore per l’asma per mia sorella Jawaher, ma ci hanno detto che ‘non sono state date istruzioni’ per lasciarci uscire: vogliono ammazzarci di fame?"
Sahar ha arricchito le sue parole anche con il riferimento a Sheikh Nimr al-Nimr , imam del Qatif arrestato perché favorevole al rilascio dei prigionieri politici.

lunedì 17 marzo 2014

Crimea celebrates referendum victory, returns to Russia

Крым празднует референдума победу, возвращается в Россию
La Crimea celebra la vittoria del referendum per tornare alla Russia

Dopo che i neofascisti e neonazisti hanno fatto un golpe in Ucraina, sostenuti dai servizi segreti americani e dal bene placido dell'Unione Europea, in Crimea si sono opposti al colpo di stato e con un referendum (come accadde in Kosovo) sono "tornati" ad unirsi alla Russia ( la penisola divenne parte dell'Ucraina nel 1954 ad opera di Nikita Krushev).
Contro i nazifascisti ucraini, viva la Crimea russa!

venerdì 31 gennaio 2014

Israel, the horror of the concentration camps for Palestinian children

-Ognuno è ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele- Primo Levi

ISRAEL, the horror of the concentration camps for Palestinian children. The testimonies from "The Guardian".
ISRAELE, l'orrore del lager per minorenni palestinesi. Le testimonianze dal “The Guardian”.

Al Jalame è diventata famosa come la prigione israeliana per bambini con la sua infame “Cella 36”, di cui tanti bambini hanno testimoniato.
All’interno del carcere Al Jalame, in profondità a tre piani sotto la superficie è localizzata la cella per bambini piccoli, buchi neri, dove i bambini palestinesi, anche a soli 12 anni sono tenuti in isolamento, alcuni per 65 giorni. 
In un’intervista del Guardian due bambini hanno descritto la cella 36: “la cella è lunga 2m e larga 1m, grande come un materasso. Si mette giù il materasso e nella parte anteriore c’è un WC… Non non c’è nessuna finestra… manca l’aria, si soffoca”.
La stanza è appena più ampia rispetto al materasso sporco sottile che copre il pavimento. Il materasso è molto sottile, solo 5cm di spessore. Una luce gialla è tenuta accesa 24 ore al giorno per impedire di dormire, mentre le pareti presentano sporgenze taglienti impedendo al bambino di stare appoggiato. La consegna del cibo avviene attraverso uno sportello ancorato alla porta, è l’unico modo per contare i giorni, dividendo il giorno dalla notte. La colazione è servita alle 4 del mattino attraverso lo sportello della porta situato a 30cm dal pavimento. Se il vassoio della colazione non è preso in tempo il cibo si rovescia sul pavimento, il bambino è punito se non riesce a mangiare tutto. Dove finisce il materasso c’è un basso muro di cemento dietro c’è la toilette: un buco nel pavimento. 
La puzza dal gabinetto invade la stanza senza finestre. 
Per i bambini l’unica via di fuga da questa gabbia è la stanza degli interrogatori, dove, incatenati mani e piedi, sono maltrattati dalla polizia segreta israeliana per oltre 6 ore alla volta, fino a confessare, solitamente lanciare una pietra corrisponde ad una pena fino a 20 anni.
I bambini descrivono le le sei ore di interrogatorio: “sul terreno c’è un anello di ferro, dove sono agganciate le manette che bloccano entrambi le mani . le caviglie sono bloccate alle gambe della sedia… Non è possibile spostarsi… come una statua. Minacciano che potrebbero arrestare mio padre e mia madre e portarli qui se non confesso”. 
I carcerieri ci dicono “Tu ci costringi a portarli qui, cerca di capire che noi abbiamo lo stato di Israele dietro di noi, dietro di te c’è il nulla” 
I bambini hanno testimoniato di essere sessualmente abusati dagli interroganti e minacciati di sodomia con un oggetto al fine di costringerli ad una confessione, la prigione di Ofer è gestita da G4S. (G4S è una multinazionale security services fondata in Danimarca “per soddisfare le esigenze nel tempo della sicurezza globale” http://www.g4s.com/)
Durante l’interrogatorio in fase di arresto prima di entrare nella struttura, bambini hanno testimoniato che soldati israeliani utilizzano anche cani. 
Un ragazzo ha raccontato come, dopo essere stato incatenato così da non potersi muovere, hanno versato sulla sua testa cibo per cani, il cane si è a scatenato per mangiargli la testa, ha descritto la paura, la saliva dei cani che colava sul suo viso. 
Hanno poi messo cibo per cani vicino ai genitali dei ragazzi…

Fonte: http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2013/5/31/34122-israele-lorrore-del-lager-per-minorenni-palestinesi-le/

giovedì 5 settembre 2013

No War

"Si alzi forte in tutta la Terra il grido della pace". Con queste parole papa Francesco è tornato a invitare tutti a unirsi alla giornata di preghiera e digiuno per la pace di sabato prossimo, 7 settembre.
"Rinnovo - ha detto - l'invito a tutta la Chiesa a vivere intensamente questo giorno, e, sin d'ora, esprimo riconoscenza agli altri fratelli cristiani, ai fratelli delle altre religioni e agli uomini e donne di buona volontà che vorranno unirsi, nei luoghi e nei modi loro propri, a questo momento. Esorto in particolare i fedeli romani e i pellegrini a partecipare alla veglia di preghiera, qui, in Piazza San Pietro alle ore 19.00, per invocare dal Signore il grande dono della pace".

"Let a cry of peace rise from the whole Earth," Pope Francis said as called on everyone to join him in a day of prayer and fasting for peace next Saturday, 7 September.
"I renew," he said, "the invitation to the whole Church to live this day intensely, and even now I express gratitude to the other Christian brethren, to the brethren of other religions and to the men and women of good will who desire to join in this initiative, in places and ways of their own. I especially urge the Roman faithful and pilgrims to participate in the prayer vigil here in St. Peter's Square at 7.00 pm, in order to ask the Lord for the great gift of peace."

"愿全人类共同高呼和平"。由此,教宗方济各再次邀请全世界信众积极参加九月七日为和平祈祷、守斋日活动。
教宗表示,"我再次邀请全体教会虔诚善度这一天。现在,我就向那些愿意在各自的生活地点加入这一祈祷时刻的基督徒和其它宗教信仰的兄弟姐妹们、所有善心人士表示感谢。我特别激励罗马的教友和朝圣者们参加晚十九时在梵蒂冈圣伯多禄广场上举行的祈祷,再次向上主祈求和平的恩典"。


domenica 2 giugno 2013

Educazione Siberiana

"C'è chi la vita la gode, chi la subisce, noi la combattiamo"
"Some people enjoy the life, the ones who suffer the life, we fight the life "
(motto Urka siberiani)

C'è da dire subito che la trama del film è diversa dal libro e in parte ciò mi ha un pò deluso. Meglio il libro. Ma non disdegnerei un'occhiata al film, fatto molto bene.
E poco mi importa se la storia (in teoria un'autobiografia romanzata) sia vera, in parte vera o tutta falsa. Vale la pena leggerla, penso, scorre bene e fa riflettere.


domenica 28 aprile 2013

The recruits to Al-Qaida

In addition to worrying political instability and worsening economic and social situation in the Middle East / North Africa following the so-called "Arab spring", there is an alarming fact, and it is the re-emergence of religious extremism in a virulent matrix directly or indirectly attributable to the Islamic organization Al-Qaeda. To facilitate this triumphant return of militarism jihadist has been the emergence of Islamist movements to power after the fall of the dictatorial Arab regimes "laity."

Oltre alla preoccupante instabilità politica e all’aggravarsi della situazione economica e sociale nei paesi del Medio Oriente/Maghreb in seguito alle cosiddette “primavere arabe”, vi è un dato ancor più allarmante ed è il riemergere in maniera virulenta dell’estremismo religioso di matrice islamica direttamente o indirettamente riconducibile alla nebulosa organizzazione Al-Qaida.
A favorire questo ritorno trionfale del militarismo jihadista è stato l’affermarsi al potere di movimenti islamisti dopo la caduta
di alcuni regimi dittatoriali arabi “laici”. I più coinvolti nelle rivolte – spontanee in alcuni casi ed eterodirette in altri – sono stati i paesi del Nordafrica. Questa regione è diventata la base operativa del movimento transnazionale guidato fino a due anni fa da Osama Bin Laden. Tale base in passato era collocata in Afghanistan e Pakistan. Il centro di potere decisionale, tuttavia, era ed è rimasto la Penisola arabica, dove fu ideato il movimento ai tempi della guerra fredda.
Oggi il ramo nordafricano di questo movimento jihadista, ovvero Al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi), è il più attivo. E ha ormai costituito le sue basi “indigene” in Mali, Somalia e Nigeria. E agisce soprattutto in Medio Oriente, specie in Siria.
Dopo la caduta di Gheddafi, con il contributo di Aqmi attraverso la sua filiale libica, la Libia è diventata il centro di reclutamento di formazione e smistamento dei jihadisti verso la Siria. Secondo diverse stime, i combattenti jihadisti presenti oggi sul territorio siriano sono oltre 60mila, di cui più di un terzo è costituito da nordafricani. I più numerosi sono i libici (circa 15 mila) che dopo la “liberazione” di Tripoli si sono trasferiti armi e bagagli in Siria passando soprattutto per la Turchia.
L’altro paese africano che fornisce manovalanza alle organizzazioni jihadiste in Siria è la Tunisia. Il numero dei combattenti tunisini varia da 5 a 10 mila unità. Il sito maghribia.com riferisce che il 14 febbraio scorso, in uno scontro con i soldati siriani nella periferia di Aleppo, sono morti un centinaio di jihadisti provenienti quasi tutti dalla zona di Sidi Bouzid dove è nata la rivoluzione tunisina.
Ma qual è il profilo di questi tunisini che lasciano dietro di loro un paese dove si muore ancora per le proprie idee politiche, vedi il caso del militante Chokri Belaïd ucciso il 6 febbraio scorso? E come finiscono nella rete di Aqmi? La maggioranza delle reclute per il jihad sono giovani appartenenti ai ceti poveri, senza lavoro e senza speranza per il futuro. C’è chi si arruola perché crede nel martirio come mezzo per accedere all’Eden e c’è invece – e sono molti – chi lo fa per i soldi: di fronte ai petrodollari di paesi arabi del Golfo, offerti dagli intermediari libici, persino i non credenti diventano dei pii musulmani pronti a partire per il fronte al grido di Allah'o akbar!
In Tunisia, come altrove, le tante moschee controllate dai salafiti e dagli altri gruppi qaidisti sono spesso luoghi di indottrinamento per il jihad e il martirio. I tanti e seguiti canali tv via satellite in chiaro, popolati da telepredicatori islamisti, sono un altro strumento per avvicinare potenziali jihadisti. I siti web sono anch’essi utilizzati per incitare i giovani a seguire la via del jihad “sulla via di Allah”. Molti blog diffondono fatwa che incitano ad andare a combattere l’alawita Bashar al Assad, “in  nome di Dio”! Fatwa che riguardano persino le donne: circola nella rete una sentenza teologica, attribuita a un predicatore salafita di origine saudita, che invita le donne di età superiore a 14 anni, divorziate o vedove, a recarsi in Siria per compiere il jihad attraverso il rapporto sessuale con i combattenti islamisti, costretti da una “causa nobile” a stare lontano dalle loro spose.
Il sito Algerie1.com ha pubblicato il 26 febbraio scorso il video che denuncia la scomparsa di una sedicenne. I suoi familiari accusano i salafiti di aver fatto il lavaggio del cervello alla ragazza e di averla portata in Siria per «prostituirsi» per i jihadisti. Ricordiamo che i salafiti in Arabia praticano la lapidazione nei confronti delle donne che vanno a letto con un uomo che non sia il marito e in Siria invece rendono halal (leciti) i rapporti sessuali extra coniugali. Quindi in nome di quale islam sentenziano le loro fatwa?
Attraverso Aqmi, il cancro jihadista rischia di contaminare gravemente l’Africa e potrebbe anche raggiungere la sponda nord del Mediterraneo e propagarsi in Europa. Oggi, come ha ricordato di recente la presidente dell’agenzia europea Eurojust, Michelle Coninsx, centinaia di giovani europei di origine maghrebina combattono nelle file dei gruppi estremisti in Siria. Un giorno questi giovani faranno rientro a casa e, forti della loro esperienza siriana, saranno più jihadisti che mai.
(Nigrizia)

mercoledì 6 marzo 2013

Hasta Siempre, compañero Chávez

"Los que mueren por la vida no pueden llamarse muertos"
"Quelli che muoiono per la vita non possono essere chiamati morti"

Arrivederci compagno comandante Chávez ...
Goodbye comrade commander Chávez ...


martedì 12 febbraio 2013

Dakota 38

December 26, 1862: la più grande esecuzione di massa nella storia degli Stati Uniti, ordinata da Abraham Lincoln. Sì, proprio lui, proprio l'acclamato Lincoln. Ordinò l'impiccagione di 38 Nativi Dakota a Mankato, Minnesota, durante la rivolta del 1862 conosciuta come “Guerra di Piccolo Corvo”.
Ma cosa accadde? Nel 1862, dopo un raccolto andato male e prima dell’inevitabile carestia invernale, il pagamento federale tardò a giungere (i soldi e il cibo destinati ai Nativi, come spesso accadeva, erano rubati e spartiti tra gli agenti federali). I trafficanti locali non vollero concedere ulteriori crediti ai Santee e l’agente federale della riserva disse ai Santee che erano “liberi di mangiare l’erba oppure i loro escrementi”. Come conseguenza, il 7 agosto 1862 cominciò la rivolta dei Sioux, allorché pochi Santee uccisero un agricoltore bianco, innescando ulteriori attacchi contro gli insediamenti dei bianchi lungo il fiume Minnesota. I Santee aggredirono poi l’emporio e l’agente federale della riserva fu trovato ucciso con la sua bocca riempita di erba. Le Corti marziali processarono e condannarono a morte per impiccagione 303 Santee per “crimini di guerra”. Il Presidente Abraham Lincoln commutò la sentenza di morte per 284 di quei guerrieri, convalidando l’esecuzione per impiccagione di 38 Santee il 26 dicembre 1862. (Nota: ma non per senso di giustizia; Lincoln si preoccupava di come questo avrebbe influenzato gli europei, che aveva paura stessero per entrare in guerra a fianco del sud. Offrì quindi questo compromesso ai politici del Minnesota: avrebbe ridotto la lista di quelli da impiccare fino a 39,  promettendo in cambio di uccidere o rimuovere ogni indiano e di fornire al Minnesota 2 milioni di dollari in fondi federali. La lista fu poi portata a 38, ad uno dei condannati fu sospesa la pena. Fonte: www.unitednativeamerica.com).
Nella primavera del 2005, Jim Miller, un leader spirituale Nativo Americano e veterano del Vietnam, sognò di trovarsi  a cavallo attraverso le grandi pianure del Sud Dakota. Poco prima di svegliarsi, nel sogno, arrivato ad un fiume in Minnesota, vide 38 suoi antenati Dakota impiccati. A quel tempo, Jim non sapeva nulla della più grande esecuzione di massa nella storia degli Stati Uniti. “Quando si hanno dei sogni, sai se vengono dal creatore … Ho provato a metterlo fuori dalla mia mente, ma è uno di quei sogni che ti dà fastidio notte e giorno” dichiarò in seguito Jim.

Ora, abbracciando il messaggio del sogno, il 26 dicembre 2012, nel 150° anniversario dell’impiccagione di 38 Nativi Dakota, l’accadimento fu solennemente ricordato presso il luogo dell’eccidio, in quello che è oggi chiamato il “Parco della Riconciliazione”. Jim ha potuto così ripercorre i 330 km di lunghezza del suo sogno a cavallo da Lower Brule, South Dakota a Mankato, Minnesota per arrivare al sito dell’esecuzione.
Fu prodotto un documentario, "Dakota 38", nel quale si vede la storia del loro viaggio, le bufere di neve che hanno sopportato, le comunità dei Nativi e non Nativi che li hanno aiutati lungo la strada, e la storia oscura che stanno cominciando a spazzare via. Arvol Looking Horse, Custode della Sacra Pipa della diciannovesima Generazione, dichiarò che questo evento ha segnato la fine di un lungo cammino. “Sono fiero di essere qui oggi, e di aver partecipato alla commemorazione. Sia pace nei nostri cuori. E che una nuova stagione abbia inizio”. Nel “Parco della Riconciliazione” è stata posta una lapide, che reca i nomi dei 38 uomini con una poesia e una preghiera. Sidney Byrd, anziano Lakota – Dakota, dopo aver letto i nomi in lingua Dakota, ha dichiarato: “Sono orgoglioso d’esser con voi oggi. Il mio bisnonno era uno di quelli che hanno pagato il prezzo supremo per la nostra libertà. Anche se già condannato a morte, la pena fu commutata in carcere a Davenport, nello Iowa, dove molti morirono in condizioni orribili”.
Coloro che hanno contribuito a progettare la lapide e ad organizzare la cavalcata commemorativa in onore dei defunti dichiararono: “Perdona tutto a tutti”.

domenica 23 dicembre 2012

¿ESCUCHARON? Es el sonido de su mundo derrumbándose

MEXICO - CHIAPAS
Dopo un'assenza durata oltre un anno, è riapparso sulla scena politica messicana l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Con manifestazioni massicce e silenziose nelle principali localitá del Chiapas ed uno scarno quanto incisivo comunicato, gli indigeni ribelli sono tornati a prendere la parola dando un'importante dimostrazione di forza e di organizzazione che zittisce quanti, sia a destra che a sinistra, li davano per finiti o politicamente ininfluenti.
In conincidenza con la fine del tredicesimo Baktún e l'inizio del nuovo ciclo del calendario maya, gli zapatisti, eredi viventi di quella millenaria civiltá, hanno occupato pacificamente le cittá di San Cristobal, Palenque, Ocosingo, Las Margaritas e Altamirano. A partire dalle prime ore della giornata, circa 50 mila basi d'appoggio della guerriglia, con il volto coperto dal passamontagna o dal caratteristico pallacate, sono scese dai cinque Caracol dando vita alla piú grande mobilitazione pubblica del movimento dai tempi dell'insurrezione del '94.
Un fiume nero di passamontagna, formato dalle decine di contingenti zapatisti, ha inondato i centri delle cittá del sudest messicano con moltitudinarie marce silenziose che sono terminate davanti ai palazzi di governo presi militarmente dai ribelli 18 anni fa. A San Cristobal si é svolta l'iniziativa piú partecipata. Oltre 20 mila indigeni provenienti dal Caracol di Oventik hanno attraversato la cittá sotto una pioggia insistente. Una volta raggiunto il centro, dove sono stati accolti dagli applausi e dalle grida di sostegno di turisti e passanti, hanno chiuso l'iniziativa con un forte gesto simbolico che ha sorpreso coloro che si aspettavano il classico comizio finale.
Alle parole di un solo portavoce, gli indigeni tzeltales, tzotziles, choles, tojolabales, mam e zoques che conformano il movimento hanno preferito un atto collettivo altamente emblematico ed emotivo. Invece di leggere l'atteso comunicato della Comandancia, gli zapatisti e le zapatiste, marciando in ordinatissime file da quattro e mantenendo un rigoroso silenzio, sono sfilati sul piccolo palco posto al centro della piazza alzando il pugno sinistro al cielo, per poi riaggrupparsi e riprendere il cammino verso le loro comunitá.
La stessa dinamica, semplice ma molto significativa, si é data in tutte le cittá occupate pacificamente. Il segnale, per quanto silenzioso, é arrivato forte e chiaro. Gli zapatisti ci sono ancora e sono piú numerosi, forti e organizzati di prima. Nonostante i violenti e ripetuti attacchi paramilitari degli ultimi mesi, la loro lotta per la costruzione dell'autonomia continua. Come sostiene giustamente Hernandez Navarro, quanto visto ieri non rappresenta il ritorno dell'Ezln, che in realtá non se n'é mai andato ma ha continuato a lavorare a livello comunitario e fuori dai riflettori, ma la riaffermazione della sua presenza e della sua vitalitá, un nuovo ¡Ya Basta!, un rinnovato "aquí estamos" a quasi due decadi di distanza.
In serata, infine, é arrivato l'atteso comunicato firmato dal Subcomandante Marcos a nome della Comandancia. Molto piú sintetico del previsto, fa riferimento al rumoroso silenzio delle mobilitazioni matutine: "L'avete sentito? E' il rumore del vostro mondo che crolla. É quello del nostro che risorge. Il giorno in cui fece giorno, fu notte; e sarà notte il giorno in cui farà giorno. Democrazia! Libertà! Giustizia!" - "¿ESCUCHARON? Es el sonido de su mundo derrumbándose. Es el del nuestro resurgiendo. El día que fue el día, era noche. Y noche será el día que será el día. ¡DEMOCRACIA¡ ¡LIBERTAD¡ ¡JUSTICIA¡"
Dopo mesi di silenzio, il "ritorno" degli zapatisti ha spiazzato quanti si aspettavano un intervento piú tradizionale da parte della Comandancia. Tuttavia, il suono dei passi delle migliaia di indigeni e indigene ribelli che a pugno chiuso hanno ribadito la forza della loro resistenza hanno riempito di significato il silenzio della mobilitazione: siamo quí e continuiamo il nostro cammino di lotta, potrebbe infatti il messaggio che sintetizza la giornata.
Oltre ad aver a che fare con la nuova era maya, le mobilitazioni di ieri, ricordavano la strage di Acteal compiuta quindici anni or sono da un gruppo di paramilitari, che, nel municipio di Chenalhó, massacró 45 indigeni tzotziles, donne incinta e bambini inclusi, mentre stavano pregando all'interno di una chiesa. Questo tragico attacco fu portato avanti con l'appoggio dell'allora Presidente Zedillo, il quale, coaudivato dal governo statunitense (che recentemente gli ha garantito l'immunitá), puntava a costituire una strategia della tensione nelle zone di conflitto per giustificare l'intervento repressivo dell'esercito.
Negli ultimi mesi, diverse agressioni paramilitari contro le basi d'appoggio zapatista sono state denunciate in piú occasioni dalle Giunte del Buon Governo, di conseguenza, le manifestazioni di ieri possono essere lette anche come una risposta al tentativo di spogliare le comunitá zapatiste dei territori riconquistati dopo il sollevamento.
Dopo mesi di guerra a bassa intensitá portata avanti contro la lotta per l'autonomia comunitaria, la risposta delle basi d'appoggio zapatiste, che hanno messo in campo una potente dimostrazione di forza e disciplina, ponendo al centro, contro i leaderismi e i personalismi tipici della politica istituzionale, la natura collettiva e comunitaria dello zapatismo, rappresenta senz'altro un segnale importante e una buona notizia per i movimenenti messicani e non solo.
(Andrea Spotti)

sabato 17 novembre 2012

Welcome to hell

Jihad Masharawi, BBC journalist, weeps while he holds the body of his 11-month old son, Ahmad, at Shifa hospital following an Israeli air strike on their family house, in Gaza City.

Jihad Masharawi, periodista de la BBC, llora mientras sostiene el cuerpo de su hijo de 11 meses de edad, Ahmad, en el hospital de Shifa tras un ataque aéreo israelí contra su casa familiar, en la ciudad de Gaza.

הג'יהאד משהראווי, עיתונאי ה-BBC, בוכה בזמן שהוא מחזיק את גופו של בנו בן 11-החודש, אחמד, בבית החולים שיפא בעקבות תקיפה ישראלית אוויר על בית משפחתם, בעיר עזה.

Jihad Misharawi, giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi, Ahmad, (oltre alla cognata) a causa di un attacco israeliano che ha colpito la sua abitazione nella Striscia di Gaza.
L'uomo è stato subito raggiunto dal responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC che ha espresso la sua rabbia via Twitter: "La domanda è: se Israele può colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno fatto il mese scorso) com'è possibile che il figlio di Jihad sia stato ucciso?".
giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi

Tratto da: La foto che sta straziando il mondo | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/11/17/la-foto-che-sta-straziando-il-mondo/#ixzz2CTmQAXsF
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
Jihad Misharawi, un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza, uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington Post e ha fatto il giro del mondo.

Tratto da: La foto che sta straziando il mondo | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/11/17/la-foto-che-sta-straziando-il-mondo/#ixzz2CTmBJ2aX
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
Jihad Misharawi, un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza, uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington Post e ha fatto il giro del mondo.

Tratto da: La foto che sta straziando il mondo | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/11/17/la-foto-che-sta-straziando-il-mondo/#ixzz2CTmBJ2aX
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
Jihad Misharawi, un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza, uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington Post e ha fatto il giro del mondo.
Un attacco che è solo la conseguenza della minaccia perpetrata pochi giorni fa da Israele: lo Stato Ebraico ha aperto le “porte dell’inferno”, ha annunciato uccidendo un capo militare di Hamas. Israele ha avvertito che era solo l’inizio di un’operazione mirata di gruppi militanti a Gaza e in vista delle elezioni di gennaio la situazione non può che peggiorare.
Mishrawi è stato immediatamente raggiunto da Paul Danahar, responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC, che ha espresso la sua rabbia via Twitter: “La domanda è: se Israele può colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno fatto il mese scorso) com’è possibile che il figlio di Jihad sia stato ucciso?”


Tratto da: La foto che sta straziando il mondo | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/11/17/la-foto-che-sta-straziando-il-mondo/#ixzz2CTm7HlRA
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
Jihad Misharawi, un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza, uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington Post e ha fatto il giro del mondo.
Un attacco che è solo la conseguenza della minaccia perpetrata pochi giorni fa da Israele: lo Stato Ebraico ha aperto le “porte dell’inferno”, ha annunciato uccidendo un capo militare di Hamas. Israele ha avvertito che era solo l’inizio di un’operazione mirata di gruppi militanti a Gaza e in vista delle elezioni di gennaio la situazione non può che peggiorare.
Mishrawi è stato immediatamente raggiunto da Paul Danahar, responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC, che ha espresso la sua rabbia via Twitter: “La domanda è: se Israele può colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno fatto il mese scorso) com’è possibile che il figlio di Jihad sia stato ucciso?”.


Tratto da: La foto che sta straziando il mondo | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/11/17/la-foto-che-sta-straziando-il-mondo/#ixzz2CTltKcKR
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
Jihad Misharawi, un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza, uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington Post e ha fatto il giro del mondo.
Un attacco che è solo la conseguenza della minaccia perpetrata pochi giorni fa da Israele: lo Stato Ebraico ha aperto le “porte dell’inferno”, ha annunciato uccidendo un capo militare di Hamas. Israele ha avvertito che era solo l’inizio di un’operazione mirata di gruppi militanti a Gaza e in vista delle elezioni di gennaio la situazione non può che peggiorare.
Mishrawi è stato immediatamente raggiunto da Paul Danahar, responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC, che ha espresso la sua rabbia via Twitter: “La domanda è: se Israele può colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno fatto il mese scorso) com’è possibile che il figlio di Jihad sia stato ucciso?”.


Tratto da: La foto che sta straziando il mondo | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/11/17/la-foto-che-sta-straziando-il-mondo/#ixzz2CTltKcKR
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