La jaula de oro (La gabbia dorata) Di Diego Quemada-Díez. Con Karen Martínez, Rodolfo Dominguez, Brandon López, Carlos Chajon. Messico 2013, 102′
¿De que me sirve el dinero si estoy como prisionero dentro de esta gran prision cuando me acuerdo hasta lloro y aunque la jaula sea de oro no deja de ser prision.
La trama.
Tre adolescenti
guatemaltechi, due maschi e una femmina, attraversano il Messico per
raggiungere il Texas. Il film, a metà tra documentario e fiction,
racconta l’epopea dei migranti latinoamericani negli Stati Uniti.
Attraverso retate della polizia, dell'esercito, dei narcotrafficanti,
degli schiavisti, attraverso i cecchini statunitensi, attraverso muri,
barriere, canali, treni. Tresadolescentesguatemaltecos, dos machosy una femenino, cruz Méxicopara llegar aTexas.La película, a medio camino entre el documentaly la ficción, narra la epopeyade los inmigranteslatinoamericanos enlos Estados Unidos. A través deredadas policiales, militares, narcotraficantes,traficantes de esclavos, a través de losfrancotiradores estadounidenses, a través de las paredes, cercas, canales, trenes. Le recensioni straniere. Sul sito d’informazione alternativa Médiapart,
Cédric Lépine, dopo aver evidenziato come per questo film il regista
abbia compiuto un lavoro, durato anni, per raccogliere le testimonianze
di anonimi migranti, rimarca che il film ribalta elementi tipici del
cinema statunitense: “Se il western è concepito sul modello dello
spostamento di pellegrini alla ricerca di una ‘terra promessa’ intorno
alla corsa all’oro negli Stati Uniti del XIX secolo, allora La Jaula de
Oro sarebbe egualmente un western, ma con uno spostamento del Sud verso
il Nord. Diego Quemada-Diaz ne ribalta tutte le specificità”. Tra queste, il vettore principale della conquista del west, il treno.
E aggiunge che oggi "i treni trasportano mercanzie e gli esseri umani
sono costretti a viaggiare clandestinamente e pericolosamente sui tetti
dei vagoni" "lostrenes que transportanmercancíay los seres humanosse ven obligados aviajarde manera ilegaly peligrosamenteen los techos delos coches". Olivier Séguret, firma di punta del quotidiano Libération, mette l’accento
sulla dimensione empatica del film. Seguret sottolinea giustamente la dimensione
umana “ancora vibrante d’infanzia” degli adolescenti migranti, provvisti
soltanto della “loro amicizia nascente e ancora maldestra da opporre
all’orrore del mondo verso il quale corrono”.
“La traversata degli inferi, dal Chiapas alla California” "La travesíadel infierno,de Chiapas aCalifornia", titola invece Le Monde.
Arabia Saudita - Sahar Al Saud, 42 anni, denuncia la propria
condizione di schiavitù insieme alle tre sorelle, Maha, Hala e Jawaher Al Saud, figlie della stessa
donna che ha divorziato dal sovrano saudita negli anni '80.
La figlia di re Abullah dell'Arabia Saudita, vive reclusa così come le
altre tre sorelle nel palazzo reale di Gedda. Sahar Al Saud per denunciare la propria condizione di schiavitù ha lanciato diversi
appelli video, l'ultimo in occasione del nono anniversario di regno del
padre. Le quattro donne sono figlie di Alanoud Al Fayez, di origine
giordana, che ha divorziato da Abdullah e ora vive in
esilio a Londra. "Le mie figlie non possono vedere persone esterne alla
famiglia reale, mentre i maschi di casa vanno da loro per percuoterle. Se Abdullah tratta le figlie in questa maniera, come pensate possa curarsi dei cittadini e della nazione? Abdullah divorziò da me senza dirmelo, solo perché
in quattro anni gli avevo dato quattro figlie femmine e nessun maschio,
mi considerava inutile" ha detto Al Fayez.
Con il capo coperto, Sahar Al
Saud parla alla gente:"Saluti ai martiri ed agli uomini liberi
detenuti, è un onore per me apprendere da voi il significato della
libertà, prometto di seguire le vostre orme, mi batterò per voi e
vinceremo grazie alla fede in Allah" Continua la principessa:"Abbiamo bisogno di cibo e di un inalatore per l’asma per mia sorella
Jawaher, ma ci hanno detto che ‘non sono state date istruzioni’ per
lasciarci uscire: vogliono ammazzarci di fame?"
Sahar ha arricchito le sue parole anche con il riferimento a Sheikh Nimr al-Nimr , imam del Qatif arrestato perché
favorevole al rilascio dei prigionieri politici.
Крымпразднуетреферендумапобеду,возвращается в Россию La Crimea celebra la vittoria del referendum per tornare alla Russia
Dopo che i neofascisti e neonazisti hanno fatto un golpe in Ucraina, sostenuti dai servizi segreti americani e dal bene placido dell'Unione Europea, in Crimea si sono opposti al colpo di stato e con un referendum (come accadde in Kosovo) sono "tornati" ad unirsi alla Russia ( la penisola divenne parte dell'Ucraina nel 1954 ad
opera di Nikita Krushev). Contro i nazifascisti ucraini, viva la Crimea russa!
-Ognuno è ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele- Primo Levi ISRAEL, the horror of theconcentration camps forPalestinian children. The testimoniesfrom"The Guardian". ISRAELE, l'orrore del lager per minorenni palestinesi. Le testimonianze dal “The Guardian”.
Al Jalame è diventata famosa come la
prigione israeliana per bambini con la sua infame “Cella 36”, di cui
tanti bambini hanno testimoniato. All’interno del carcere Al Jalame, in
profondità a tre piani sotto la superficie è localizzata la cella per
bambini piccoli, buchi neri, dove i bambini palestinesi, anche a soli 12
anni sono tenuti in isolamento, alcuni per 65 giorni. In un’intervista del Guardian due bambini hanno descritto la cella 36: “la cella è lunga 2m e larga 1m, grande
come un materasso. Si mette giù il materasso e nella parte anteriore
c’è un WC… Non non c’è nessuna finestra… manca l’aria, si soffoca”. La stanza è appena più ampia rispetto
al materasso sporco sottile che copre il pavimento. Il materasso è molto
sottile, solo 5cm di spessore. Una luce gialla è tenuta accesa 24 ore
al giorno per impedire di dormire, mentre le pareti presentano sporgenze
taglienti impedendo al bambino di stare appoggiato. La consegna del cibo avviene attraverso
uno sportello ancorato alla porta, è l’unico modo per contare i giorni,
dividendo il giorno dalla notte. La colazione è servita alle 4 del
mattino attraverso lo sportello della porta situato a 30cm dal
pavimento. Se il vassoio della colazione non è preso in tempo il cibo si
rovescia sul pavimento, il bambino è punito se non riesce a mangiare
tutto. Dove finisce il materasso c’è un basso muro di cemento dietro c’è la toilette: un buco nel pavimento. La puzza dal gabinetto invade la stanza senza finestre. Per i bambini l’unica via di fuga da
questa gabbia è la stanza degli interrogatori, dove, incatenati mani e
piedi, sono maltrattati dalla polizia segreta israeliana per oltre 6 ore
alla volta, fino a confessare, solitamente lanciare una pietra
corrisponde ad una pena fino a 20 anni.
I bambini descrivono le le sei ore di
interrogatorio: “sul terreno c’è un anello di ferro, dove sono
agganciate le manette che bloccano entrambi le mani . le caviglie sono
bloccate alle gambe della sedia… Non è possibile spostarsi… come una
statua. Minacciano che potrebbero arrestare mio padre e mia madre e
portarli qui se non confesso”. I carcerieri ci dicono “Tu ci costringi
a portarli qui, cerca di capire che noi abbiamo lo stato di Israele
dietro di noi, dietro di te c’è il nulla” I bambini hanno testimoniato di essere
sessualmente abusati dagli interroganti e minacciati di sodomia con un
oggetto al fine di costringerli ad una confessione, la prigione di Ofer è
gestita da G4S. (G4S è una multinazionale security services fondata in
Danimarca “per soddisfare le esigenze nel tempo della sicurezza globale”
http://www.g4s.com/) Durante l’interrogatorio in fase di
arresto prima di entrare nella struttura, bambini hanno testimoniato che
soldati israeliani utilizzano anche cani. Un ragazzo ha raccontato come, dopo
essere stato incatenato così da non potersi muovere, hanno versato sulla
sua testa cibo per cani, il cane si è a scatenato per mangiargli la
testa, ha descritto la paura, la saliva dei cani che colava sul suo
viso. Hanno poi messo cibo per cani vicino ai genitali dei ragazzi…
"Si alzi forte in tutta la Terra il
grido della pace". Con queste parole papa Francesco è tornato a invitare
tutti a unirsi alla giornata di preghiera e digiuno per la pace di
sabato prossimo, 7 settembre.
"Rinnovo - ha detto - l'invito a tutta la Chiesa a vivere
intensamente questo giorno, e, sin d'ora, esprimo riconoscenza agli
altri fratelli cristiani, ai fratelli delle altre religioni e agli
uomini e donne di buona volontà che vorranno unirsi, nei luoghi e nei
modi loro propri, a questo momento. Esorto in particolare i fedeli
romani e i pellegrini a partecipare alla veglia di preghiera, qui, in
Piazza San Pietro alle ore 19.00, per invocare dal Signore il grande
dono della pace".
"Let a cry of peace rise from the whole Earth," Pope Francis
said as called on everyone to join him in a day of prayer and fasting for peace
next Saturday, 7 September.
"I
renew," he said, "the invitation to the whole Church to live this day
intensely, and even now I express gratitude to the other Christian brethren, to
the brethren of other religions and to the men and women of good will who
desire to join in this initiative, in places and ways of their own. I
especially urge the Roman faithful and pilgrims to participate in the prayer
vigil here in St. Peter's Square at 7.00 pm, in order to ask the Lord for the
great gift of peace."
"C'è chi la vita la gode, chi la subisce, noi la combattiamo"
"Some peopleenjoythelife,the ones whosufferthelife,wefight thelife"
(motto Urka siberiani)
C'è da dire subito che la trama del film è diversa dal libro e in parte ciò mi ha un pò deluso. Meglio il libro. Ma non disdegnerei un'occhiata al film, fatto molto bene.
E poco mi importa se la storia (in teoria un'autobiografia romanzata) sia vera, in parte vera o tutta falsa. Vale la pena leggerla, penso, scorre bene e fa riflettere.
In addition to
worrying political instability and worsening economic and social
situation in the Middle East / North Africa following the so-called
"Arab spring", there is an alarming fact, and it is the re-emergence of
religious extremism in a virulent matrix directly or indirectly
attributable to the Islamic organization Al-Qaeda. To facilitate this
triumphant return of militarism jihadist has been the emergence of
Islamist movements to power after the fall of the dictatorial Arab
regimes "laity."
Oltre alla preoccupante instabilità politica e
all’aggravarsi della situazione economica e sociale nei paesi del Medio
Oriente/Maghreb in seguito alle cosiddette “primavere arabe”, vi è un
dato ancor più allarmante ed è il riemergere in maniera virulenta
dell’estremismo religioso di matrice islamica direttamente o
indirettamente riconducibile alla nebulosa organizzazione Al-Qaida.
A favorire questo ritorno trionfale del militarismo jihadista è stato
l’affermarsi al potere di movimenti islamisti dopo la caduta
di alcuni
regimi dittatoriali arabi “laici”. I più coinvolti nelle rivolte –
spontanee in alcuni casi ed eterodirette in altri – sono stati i paesi
del Nordafrica. Questa regione è diventata la base operativa del
movimento transnazionale guidato fino a due anni fa da Osama Bin Laden.
Tale base in passato era collocata in Afghanistan e Pakistan. Il centro
di potere decisionale, tuttavia, era ed è rimasto la Penisola arabica,
dove fu ideato il movimento ai tempi della guerra fredda.
Oggi il ramo nordafricano di questo movimento jihadista, ovvero
Al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi), è il più attivo. E ha ormai
costituito le sue basi “indigene” in Mali, Somalia e Nigeria. E agisce
soprattutto in Medio Oriente, specie in Siria.
Dopo la caduta di Gheddafi, con il contributo di Aqmi attraverso la
sua filiale libica, la Libia è diventata il centro di reclutamento di
formazione e smistamento dei jihadisti verso la Siria. Secondo diverse
stime, i combattenti jihadisti presenti oggi sul territorio siriano sono
oltre 60mila, di cui più di un terzo è costituito da nordafricani. I
più numerosi sono i libici (circa 15 mila) che dopo la “liberazione” di
Tripoli si sono trasferiti armi e bagagli in Siria passando soprattutto
per la Turchia. L’altro paese africano che fornisce manovalanza alle organizzazioni
jihadiste in Siria è la Tunisia. Il numero dei combattenti tunisini
varia da 5 a 10 mila unità. Il sito maghribia.com riferisce che
il 14 febbraio scorso, in uno scontro con i soldati siriani nella
periferia di Aleppo, sono morti un centinaio di jihadisti provenienti
quasi tutti dalla zona di Sidi Bouzid dove è nata la rivoluzione
tunisina.
Ma qual è il profilo di questi tunisini che lasciano dietro di loro
un paese dove si muore ancora per le proprie idee politiche, vedi il
caso del militante Chokri Belaïd ucciso il 6 febbraio scorso? E come
finiscono nella rete di Aqmi?La maggioranza delle reclute per il jihad sono giovani appartenenti
ai ceti poveri, senza lavoro e senza speranza per il futuro. C’è chi si
arruola perché crede nel martirio come mezzo per accedere all’Eden e c’è
invece – e sono molti – chi lo fa per i soldi: di fronte ai
petrodollari di paesi arabi del Golfo, offerti dagli intermediari
libici, persino i non credenti diventano dei pii musulmani pronti a
partire per il fronte al grido di Allah'o akbar! In Tunisia, come altrove, le tante moschee controllate dai salafiti e
dagli altri gruppi qaidisti sono spesso luoghi di indottrinamento per
il jihad e il martirio. I tanti e seguiti canali tv via satellite in
chiaro, popolati da telepredicatori islamisti, sono un altro strumento
per avvicinare potenziali jihadisti. I siti web sono anch’essi
utilizzati per incitare i giovani a seguire la via del jihad “sulla via
di Allah”. Molti blog diffondono fatwa che incitano ad andare a
combattere l’alawita Bashar al Assad, “in nome di Dio”! Fatwa che
riguardano persino le donne: circola nella rete una sentenza teologica,
attribuita a un predicatore salafita di origine saudita, che invita le
donne di età superiore a 14 anni, divorziate o vedove, a recarsi in
Siria per compiere il jihad attraverso il rapporto sessuale con i
combattenti islamisti, costretti da una “causa nobile” a stare lontano
dalle loro spose.
Il sito Algerie1.com ha pubblicato il 26 febbraio scorso il
video che denuncia la scomparsa di una sedicenne. I suoi familiari
accusano i salafiti di aver fatto il lavaggio del cervello alla ragazza e
di averla portata in Siria per «prostituirsi» per i jihadisti.
Ricordiamo che i salafiti in Arabia praticano la lapidazione nei
confronti delle donne che vanno a letto con un uomo che non sia il
marito e in Siria invece rendono halal (leciti) i rapporti sessuali extra coniugali. Quindi in nome di quale islam sentenziano le loro fatwa?
Attraverso Aqmi, il cancro jihadista rischia di contaminare
gravemente l’Africa e potrebbe anche raggiungere la sponda nord del
Mediterraneo e propagarsi in Europa. Oggi, come ha ricordato di recente
la presidente dell’agenzia europea Eurojust, Michelle Coninsx, centinaia
di giovani europei di origine maghrebina combattono nelle file dei
gruppi estremisti in Siria. Un giorno questi giovani faranno rientro a
casa e, forti della loro esperienza siriana, saranno più jihadisti che
mai. (Nigrizia)
December 26, 1862: la più grande esecuzione di massa nella storia degli Stati Uniti, ordinata da Abraham Lincoln. Sì, proprio lui, proprio l'acclamato Lincoln. Ordinò l'impiccagione di 38 Nativi Dakota a Mankato, Minnesota, durante la rivolta del 1862 conosciuta come “Guerra di Piccolo Corvo”.
Ma cosa accadde? Nel 1862, dopo un raccolto andato male e prima dell’inevitabile
carestia invernale, il pagamento federale tardò a giungere (i soldi e il cibo destinati ai Nativi, come spesso accadeva, erano rubati e spartiti tra gli agenti federali).
I trafficanti locali non vollero concedere ulteriori crediti ai Santee e
l’agente federale della riserva disse ai Santee che erano “liberi di mangiare l’erba oppure i loro escrementi”. Come conseguenza, il 7 agosto 1862 cominciò la rivolta dei Sioux,
allorché pochi Santee uccisero un agricoltore bianco, innescando ulteriori attacchi contro gli insediamenti dei
bianchi lungo il fiume Minnesota. I Santee aggredirono poi l’emporio e
l’agente federale della riserva fu trovato ucciso con la sua bocca
riempita di erba. Le Corti marziali processarono e condannarono a morte
per impiccagione 303 Santee per “crimini di guerra”. Il Presidente
Abraham Lincoln commutò la sentenza di morte per 284 di quei guerrieri,
convalidando l’esecuzione per impiccagione di 38 Santee il 26 dicembre
1862.(Nota: ma non per senso di giustizia; Lincoln si
preoccupava di come questo avrebbe influenzato gli europei, che aveva
paura stessero per entrare in guerra a fianco del sud. Offrì quindi
questo compromesso ai politici del Minnesota: avrebbe ridotto la lista
di quelli da impiccare fino a 39, promettendo in cambio di uccidere o
rimuovere ogni indiano e di fornire al Minnesota 2 milioni di dollari in
fondi federali. La lista fu poi portata a 38, ad uno dei condannati fu
sospesa la pena. Fonte: www.unitednativeamerica.com). Nella primavera del 2005, Jim Miller, un leader
spirituale Nativo Americano e veterano del Vietnam, sognò di
trovarsi a cavallo attraverso le grandi pianure del Sud Dakota. Poco
prima di svegliarsi, nel sogno, arrivato ad un fiume in Minnesota, vide 38 suoi antenati Dakota impiccati. A quel tempo, Jim non sapeva nulla della più grande esecuzione di massa nella storia degli Stati Uniti. “Quando
si hanno dei sogni, sai se vengono dal creatore … Ho provato a metterlo
fuori dalla mia mente, ma è uno di quei sogni che ti dà fastidio notte e
giorno” dichiarò in seguito Jim.
Ora, abbracciando il messaggio del sogno, il 26 dicembre 2012, nel
150° anniversario dell’impiccagione di 38 Nativi Dakota, l’accadimento fu solennemente ricordato presso il luogo dell’eccidio, in quello che è oggi chiamato il “Parco della Riconciliazione”.
Jim ha potuto così ripercorre i 330 km di lunghezza del suo sogno a
cavallo da Lower Brule, South Dakota a Mankato, Minnesota per arrivare
al sito dell’esecuzione. Fu prodotto un documentario, "Dakota 38", nel quale si vede la storia del loro viaggio, le bufere di neve che hanno
sopportato, le comunità dei Nativi e non Nativi che li hanno aiutati
lungo la strada, e la storia oscura che stanno cominciando a spazzare
via. Arvol Looking Horse, Custode della Sacra Pipa della diciannovesima Generazione, dichiarò che questo evento ha segnato la fine di un lungo cammino. “Sono
fiero di essere qui oggi, e di aver partecipato alla commemorazione. Sia
pace nei nostri cuori. E che una nuova stagione abbia inizio”. Nel “Parco della Riconciliazione” è stata posta una lapide, che reca i nomi dei 38 uomini con una poesia e una preghiera. Sidney Byrd, anziano Lakota – Dakota, dopo aver letto i nomi in lingua Dakota, ha dichiarato: “Sono
orgoglioso d’esser con voi oggi. Il mio bisnonno era uno di quelli che
hanno pagato il prezzo supremo per la nostra libertà. Anche se già
condannato a morte, la pena fu commutata in carcere a Davenport, nello
Iowa, dove molti morirono in condizioni orribili”.
Coloro che hanno contribuito a progettare la lapide e ad organizzare la
cavalcata commemorativa in onore dei defunti dichiararono: “Perdona tutto a tutti”.
MEXICO - CHIAPAS
Dopo un'assenza durata oltre un anno, è riapparso sulla scena politica
messicana l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Con
manifestazioni massicce e silenziose nelle principali localitá del
Chiapas ed uno scarno quanto incisivo comunicato, gli indigeni ribelli
sono tornati a prendere la parola dando un'importante dimostrazione di
forza e di organizzazione che zittisce quanti, sia a destra che a
sinistra, li davano per finiti o politicamente ininfluenti. In
conincidenza con la fine del tredicesimo Baktún e l'inizio del nuovo
ciclo del calendario maya, gli zapatisti, eredi viventi di quella
millenaria civiltá, hanno occupato pacificamente le cittá di San
Cristobal, Palenque, Ocosingo, Las Margaritas e Altamirano. A partire
dalle prime ore della giornata, circa 50 mila basi d'appoggio della
guerriglia, con il volto coperto dal passamontagna o dal caratteristico
pallacate, sono scese dai cinque Caracol dando vita alla piú grande
mobilitazione pubblica del movimento dai tempi dell'insurrezione del
'94.
Un fiume nero di passamontagna, formato dalle decine di
contingenti zapatisti, ha inondato i centri delle cittá del sudest
messicano con moltitudinarie marce silenziose che sono terminate davanti
ai palazzi di governo presi militarmente dai ribelli 18 anni fa. A San
Cristobal si é svolta l'iniziativa piú partecipata. Oltre 20 mila
indigeni provenienti dal Caracol di Oventik hanno attraversato la cittá
sotto una pioggia insistente. Una volta raggiunto il centro, dove sono
stati accolti dagli applausi e dalle grida di sostegno di turisti e
passanti, hanno chiuso l'iniziativa con un forte gesto simbolico che ha
sorpreso coloro che si aspettavano il classico comizio finale. Alle
parole di un solo portavoce, gli indigeni tzeltales, tzotziles, choles,
tojolabales, mam e zoques che conformano il movimento hanno preferito
un atto collettivo altamente emblematico ed emotivo. Invece di leggere
l'atteso comunicato della Comandancia, gli zapatisti e le zapatiste,
marciando in ordinatissime file da quattro e mantenendo un rigoroso
silenzio, sono sfilati sul piccolo palco posto al centro della piazza
alzando il pugno sinistro al cielo, per poi riaggrupparsi e riprendere
il cammino verso le loro comunitá.
La stessa dinamica, semplice
ma molto significativa, si é data in tutte le cittá occupate
pacificamente. Il segnale, per quanto silenzioso, é arrivato forte e
chiaro. Gli zapatisti ci sono ancora e sono piú numerosi, forti e
organizzati di prima. Nonostante i violenti e ripetuti attacchi
paramilitari degli ultimi mesi, la loro lotta per la costruzione
dell'autonomia continua. Come sostiene giustamente Hernandez Navarro,
quanto visto ieri non rappresenta il ritorno dell'Ezln, che in realtá
non se n'é mai andato ma ha continuato a lavorare a livello comunitario e
fuori dai riflettori, ma la riaffermazione della sua presenza e della
sua vitalitá, un nuovo ¡Ya Basta!, un rinnovato "aquí estamos" a quasi
due decadi di distanza. In serata, infine, é arrivato l'atteso
comunicato firmato dal Subcomandante Marcos a nome della Comandancia.
Molto piú sintetico del previsto, fa riferimento al rumoroso silenzio
delle mobilitazioni matutine: "L'avete sentito? E' il rumore del vostro
mondo che crolla. É quello del nostro che risorge. Il giorno in cui
fece giorno, fu notte; e sarà notte il giorno in cui farà giorno.
Democrazia! Libertà! Giustizia!"-"¿ESCUCHARON? Es el sonido de su mundo derrumbándose. Es el del nuestro resurgiendo. El día que fue el día, era noche. Y noche será el día que será el día. ¡DEMOCRACIA¡ ¡LIBERTAD¡ ¡JUSTICIA¡"
Dopo mesi di silenzio, il
"ritorno" degli zapatisti ha spiazzato quanti si aspettavano un
intervento piú tradizionale da parte della Comandancia. Tuttavia, il
suono dei passi delle migliaia di indigeni e indigene ribelli che a
pugno chiuso hanno ribadito la forza della loro resistenza hanno
riempito di significato il silenzio della mobilitazione: siamo quí e
continuiamo il nostro cammino di lotta, potrebbe infatti il messaggio
che sintetizza la giornata.
Oltre ad aver a che fare con la
nuova era maya, le mobilitazioni di ieri, ricordavano la strage di
Acteal compiuta quindici anni or sono da un gruppo di paramilitari, che,
nel municipio di Chenalhó, massacró 45 indigeni tzotziles, donne
incinta e bambini inclusi, mentre stavano pregando all'interno di una
chiesa. Questo tragico attacco fu portato avanti con l'appoggio
dell'allora Presidente Zedillo, il quale, coaudivato dal governo
statunitense (che recentemente gli ha garantito l'immunitá), puntava a
costituire una strategia della tensione nelle zone di conflitto per
giustificare l'intervento repressivo dell'esercito.
Negli
ultimi mesi, diverse agressioni paramilitari contro le basi d'appoggio
zapatista sono state denunciate in piú occasioni dalle Giunte del Buon
Governo, di conseguenza, le manifestazioni di ieri possono essere lette
anche come una risposta al tentativo di spogliare le comunitá zapatiste
dei territori riconquistati dopo il sollevamento.
Dopo mesi di
guerra a bassa intensitá portata avanti contro la lotta per l'autonomia
comunitaria, la risposta delle basi d'appoggio zapatiste, che hanno
messo in campo una potente dimostrazione di forza e disciplina, ponendo
al centro, contro i leaderismi e i personalismi tipici della politica
istituzionale, la natura collettiva e comunitaria dello zapatismo,
rappresenta senz'altro un segnale importante e una buona notizia per i
movimenenti messicani e non solo.
(Andrea Spotti)
Jihad Masharawi, BBC journalist, weeps while
he holds the body of his 11-month old son, Ahmad, at Shifa hospital
following an Israeli air strike on their family house, in Gaza City. JihadMasharawi,periodista de la BBC, lloramientras sostieneel cuerpo de suhijode 11 mesesde edad,Ahmad,enel hospital de Shifatras un ataque aéreoisraelí contra sucasa familiar,enla ciudad de Gaza. הג'יהאדמשהראווי,עיתונאיה-BBC,בוכהבזמן שהואמחזיק אתגופושל בנובן11-החודש,אחמד,בבית החולים שיפאבעקבותתקיפה ישראליתאוויר עלבית משפחתם,בעיר עזה.
Jihad Misharawi, giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi, Ahmad, (oltre alla cognata) a causa di un attacco israeliano che ha colpito la sua abitazione nella Striscia di Gaza.
L'uomo è stato subito raggiunto dal responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC che ha espresso la sua rabbia via Twitter: "La domanda è: se Israele può colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno fatto il mese scorso) com'è possibile che il figlio di Jihad sia stato ucciso?".
giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi
Jihad Misharawi,
un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco
aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza,
uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il
piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla
da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il
corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington
Post e ha fatto il giro del mondo.
Jihad Misharawi,
un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco
aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza,
uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il
piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla
da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il
corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington
Post e ha fatto il giro del mondo.
Jihad Misharawi,
un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco
aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza,
uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il
piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla
da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il
corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington
Post e ha fatto il giro del mondo.
Un attacco che è solo la conseguenza della minaccia perpetrata pochi giorni fa da Israele: lo Stato Ebraico ha aperto le
“porte dell’inferno”, ha annunciato uccidendo un capo militare di
Hamas. Israele ha avvertito che era solo l’inizio di un’operazione
mirata di gruppi militanti a Gaza e in vista delle elezioni di gennaio
la situazione non può che peggiorare. Mishrawi è stato immediatamente raggiunto da Paul
Danahar, responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC, che
ha espresso la sua rabbia via Twitter: “La domanda è: se Israele può
colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno
fatto il mese scorso) com’è possibile che il figlio di Jihad sia stato
ucciso?”
Jihad Misharawi,
un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco
aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza,
uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il
piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla
da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il
corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington
Post e ha fatto il giro del mondo.
Un attacco che è solo la conseguenza della minaccia perpetrata pochi giorni fa da Israele: lo Stato Ebraico ha aperto le
“porte dell’inferno”, ha annunciato uccidendo un capo militare di
Hamas. Israele ha avvertito che era solo l’inizio di un’operazione
mirata di gruppi militanti a Gaza e in vista delle elezioni di gennaio
la situazione non può che peggiorare. Mishrawi è stato immediatamente raggiunto da Paul
Danahar, responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC, che
ha espresso la sua rabbia via Twitter: “La domanda è: se Israele può
colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno
fatto il mese scorso) com’è possibile che il figlio di Jihad sia stato
ucciso?”.
Jihad Misharawi,
un giornalista della BBC che ha perso il figlio di 11 mesi: un attacco
aereo israeliano ha colpito la sua abitazione nella striscia di Gaza,
uccidendo il piccolo Omar, sua cognata e ferendo suo fratello. Per il
piccolo le condizioni sono apparse da subito grave e non c’è stato nulla
da fare per salvarlo. L’immagine straziante dell’uomo con in braccio il
corpo del figlioletto è stata pubblicata in prima pagina dal Washington
Post e ha fatto il giro del mondo.
Un attacco che è solo la conseguenza della minaccia perpetrata pochi giorni fa da Israele: lo Stato Ebraico ha aperto le
“porte dell’inferno”, ha annunciato uccidendo un capo militare di
Hamas. Israele ha avvertito che era solo l’inizio di un’operazione
mirata di gruppi militanti a Gaza e in vista delle elezioni di gennaio
la situazione non può che peggiorare. Mishrawi è stato immediatamente raggiunto da Paul
Danahar, responsabile della redazione del Medio Oriente della BBC, che
ha espresso la sua rabbia via Twitter: “La domanda è: se Israele può
colpire una persona che viaggia a bordo di una motocicletta (come hanno
fatto il mese scorso) com’è possibile che il figlio di Jihad sia stato
ucciso?”.
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