A favorire questo ritorno trionfale del militarismo jihadista è stato l’affermarsi al potere di movimenti islamisti dopo la caduta
di alcuni regimi dittatoriali arabi “laici”. I più coinvolti nelle rivolte – spontanee in alcuni casi ed eterodirette in altri – sono stati i paesi del Nordafrica. Questa regione è diventata la base operativa del movimento transnazionale guidato fino a due anni fa da Osama Bin Laden. Tale base in passato era collocata in Afghanistan e Pakistan. Il centro di potere decisionale, tuttavia, era ed è rimasto la Penisola arabica, dove fu ideato il movimento ai tempi della guerra fredda.
Oggi il ramo nordafricano di questo movimento jihadista, ovvero Al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi), è il più attivo. E ha ormai costituito le sue basi “indigene” in Mali, Somalia e Nigeria. E agisce soprattutto in Medio Oriente, specie in Siria.
Dopo la caduta di Gheddafi, con il contributo di Aqmi attraverso la sua filiale libica, la Libia è diventata il centro di reclutamento di formazione e smistamento dei jihadisti verso la Siria. Secondo diverse stime, i combattenti jihadisti presenti oggi sul territorio siriano sono oltre 60mila, di cui più di un terzo è costituito da nordafricani. I più numerosi sono i libici (circa 15 mila) che dopo la “liberazione” di Tripoli si sono trasferiti armi e bagagli in Siria passando soprattutto per la Turchia.
L’altro paese africano che fornisce manovalanza alle organizzazioni jihadiste in Siria è la Tunisia. Il numero dei combattenti tunisini varia da 5 a 10 mila unità. Il sito maghribia.com riferisce che il 14 febbraio scorso, in uno scontro con i soldati siriani nella periferia di Aleppo, sono morti un centinaio di jihadisti provenienti quasi tutti dalla zona di Sidi Bouzid dove è nata la rivoluzione tunisina.
Ma qual è il profilo di questi tunisini che lasciano dietro di loro un paese dove si muore ancora per le proprie idee politiche, vedi il caso del militante Chokri Belaïd ucciso il 6 febbraio scorso? E come finiscono nella rete di Aqmi? La maggioranza delle reclute per il jihad sono giovani appartenenti ai ceti poveri, senza lavoro e senza speranza per il futuro. C’è chi si arruola perché crede nel martirio come mezzo per accedere all’Eden e c’è invece – e sono molti – chi lo fa per i soldi: di fronte ai petrodollari di paesi arabi del Golfo, offerti dagli intermediari libici, persino i non credenti diventano dei pii musulmani pronti a partire per il fronte al grido di Allah'o akbar!
In Tunisia, come altrove, le tante moschee controllate dai salafiti e dagli altri gruppi qaidisti sono spesso luoghi di indottrinamento per il jihad e il martirio. I tanti e seguiti canali tv via satellite in chiaro, popolati da telepredicatori islamisti, sono un altro strumento per avvicinare potenziali jihadisti. I siti web sono anch’essi utilizzati per incitare i giovani a seguire la via del jihad “sulla via di Allah”. Molti blog diffondono fatwa che incitano ad andare a combattere l’alawita Bashar al Assad, “in nome di Dio”! Fatwa che riguardano persino le donne: circola nella rete una sentenza teologica, attribuita a un predicatore salafita di origine saudita, che invita le donne di età superiore a 14 anni, divorziate o vedove, a recarsi in Siria per compiere il jihad attraverso il rapporto sessuale con i combattenti islamisti, costretti da una “causa nobile” a stare lontano dalle loro spose.
Il sito Algerie1.com ha pubblicato il 26 febbraio scorso il video che denuncia la scomparsa di una sedicenne. I suoi familiari accusano i salafiti di aver fatto il lavaggio del cervello alla ragazza e di averla portata in Siria per «prostituirsi» per i jihadisti. Ricordiamo che i salafiti in Arabia praticano la lapidazione nei confronti delle donne che vanno a letto con un uomo che non sia il marito e in Siria invece rendono halal (leciti) i rapporti sessuali extra coniugali. Quindi in nome di quale islam sentenziano le loro fatwa?
Attraverso Aqmi, il cancro jihadista rischia di contaminare gravemente l’Africa e potrebbe anche raggiungere la sponda nord del Mediterraneo e propagarsi in Europa. Oggi, come ha ricordato di recente la presidente dell’agenzia europea Eurojust, Michelle Coninsx, centinaia di giovani europei di origine maghrebina combattono nelle file dei gruppi estremisti in Siria. Un giorno questi giovani faranno rientro a casa e, forti della loro esperienza siriana, saranno più jihadisti che mai.
(Nigrizia)