Teheran, la capitale dell’Iran, è una vivace metropoli soffocata dall’inquinamento, situata alle pendici dei Monti Elburz. Molti dei suoi edifici sono costruiti in mattoni chiari e circondati da cancellate di metallo. Qui sopravvivono ancora alcuni splendidi parchi di eredità persiana e dietro le mura dei palazzi fior
iscono giardini privati con alberi da frutto e fontane, vasche per pesci e voliere. La lunga storia dell’Iran è costellata di guerre, invasioni e martiri. Ogni tragedia può essere ricondotta ad un’unica ragione: la posizione geografica. L’Iran è la terra d’incontro tra Occidente e Oriente, dove per 26 secoli i due emisferi si sono fusi attraverso commerci, scambi e scontri culturali. Nel frattempo la posizione strategica e la ricchezza del paese attirarono anche una lunga serie di invasori: l’Impero Persiano è stato fondato, distrutto e ricreato più volte, prima di scomparire definitivamente. Tra i vari conquistatori vi furono i Turchi, Gengis Khan e i Mongoli, ma soprattutto le tribù arabe che, infervorate dalla religione islamica, nel VII secolo sconfissero definitivamente l’Impero inaugurando un’età dell’oro musulmana. Da allora gli iraniani si sono sempre sforzati di distinguersi da
l resto del mondo arabo e musulmano. Sulla mentalità degli iraniani sembra incombere un importante retaggio storico: i diritti dell’uomo e il concetto di libertà potrebbero essere nati non con gli antichi Greci ma in Iran, con Ciro il Grande. Egli fu l’artefice di quello che è stato definito il primo Impero tollerante dal punto di vista culturale-religioso, che arrivò a comprendere oltre 23 popoli diversi. Al suo apogeo la Persia fu considerata la prima superpotenza del mondo, comprendeva gli attuali stati di Iraq, Pakistan, Afghanistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turchia, Giordania, Cipro, Siria, Libano, Israele, Egitto e il Caucaso. Grande è oggi la voglia di tornare ad essere tali.
Poi arrivò il 1953, una data cruciale. In quell’anno venne destituito il primo ministro iraniano (Mohammad Mossadeq) da parte dell’Inghilterra e della CIA. Il primo ministro aveva posto fine alla presenza britannica in Iran con la nazionalizzazione dell’industria petrolifera. Inghilterra e CIA allora architettarono un colpo di stato destituendo il primo ministro e imponendo lo scià Mohammad Reza Pahlavi, con poteri assoluti. Quest’ultimo se da una parte magnificava Persepoli e Ciro il Grande, dall’altra portò costumi e interessi economici occidentali; e rese molto attiva la polizia
segreta. Questa rapida occidentalizzazione e repressione cominciò a suscitare vaste polemiche fra gli iraniani, fino a giungere, alla fine degli anni ’70, alla rivoluzione di
Khāmeneī. Il riemergere della religione fu sentito come un ritorno alla purezza. Certo, gli iraniani non potevano aspettarsi che l’Islam sarebbe stato imposto con tanto rigore (esplicito un precetto del Corano che dice “la religione non ammette costrizione”) , né si aspettavano che il clero assumesse il controllo dell’economia, dell’amministrazione pubblica, dei tribunali, delle attività quotidiane e che avrebbe introdotto punizioni di stampo medie
vale quale l’impiccagione, la lapidazione, il taglio degli arti. E, non da ultimo, la cancellazione di ciò che fu perisano per far risaltare ciò che è islamico. Oggi non sono pochi gli iraniani che sentono quanto sia orribile essere intrappolati nel proprio paese e che, ironia della sorte, riscoprono con gioia le origini persiane, i loro legami con ciò che fu la grande Persia.
Ma, nel frattempo, la repressione in questa nazione continua, in nome di una religione manipolata per piegarla a fini politici e di potere. L’ondata delle esecuzioni non si ferma e con essa quella delle restrizioni della libertà e dei diritti.