Oggi è giorno di festa nazionale, a cinque anni esatti dagli attentati di matrice islamica che portarono alla morte di almeno sessanta persone e al ferimento di altre trecento.
Scuole, uffici pubblici e privati, negozi, tutto chiuso, come non capita nemmeno di venerdì. Oggi si vota.
Dalle 7 di questa mattina, nei 45 distretti elettorali in cui è suddivisa la Giordania, i 2,37 milioni di sudditi hashemiti iscritti alle liste dei votanti sceglieranno i loro nuovi rappresentanti alla camera bassa del parlamento.
Quando il 23 novembre 2009 il re Abdallah II annunciò lo scioglimento del Parlamento, la popolazione accolse la notizia con assoluta noncuranza. Il commento più diffuso, ad ogni livello della scala sociale, era un disilluso adi, è normale.
Oggi, dopo quasi un anno di legislazione straordinaria e di decreti regi, il sentimento più diffuso è esattamente lo stesso.
D'altra parte non è la prima volta che, senza troppe spiegazioni, il re licenzia il Parlamento: era già successo nel 2001, e il sovrano attese due anni prima di indire nuove elezioni. E le cose non sembrano destinate a cambiare dopo le elezioni per le centinaia di tassisti di Amman, per i pastori di capre del governatorato di Kerak, per i beduini del deserto orientale, per i profughi palestinesi della Nakba (la tragedia, come i palestinesi chiamano la nascita d'Israele) o per i rifugiati iracheni dell'ultima guerra. Da giugno il paese è ricoperto da enormi cartelloni a sfondo viola. Fanno l'occhiolino a quel settanta per cento della popolazione sotto i trenta anni d'età, di istruzione medio-alta, che non si interessa alla realtà politica della nazione, che non ha mai nemmeno pensato di andare a votare. La nazione ha bisogno di te, la tua voce/il tuo voto è cruciale. Tende, banchetti e volontari sono comparsi agli angoli delle strade più battute dai giovani giordani, promuovendo la campagna per l'iscrizione alle liste elettorali. E poi sms e messaggi su Facebook per ricordare le procedure di registrazione. I primi dati diffusi dal Ministero degli Interni raccontano di trecento mila nuovi elettori che hanno acquisito diritto di voto, elemento ora segnato anche sulla loro carta di identità, accanto alla voce religione professata.
Gli edifici più alti di Amman ieri sera erano rischiarati dalla scritta luminosa Sharak, che significa partecipa, contribuisci.
Nelle 108 circoscrizioni, ridisegnate a seguito dell'emanazione della nuova legge elettorale del maggio scorso, si presentano oggi 763 candidati di cui 143 donne, che concorrono all'assegnazione dei 120 seggi di deputato, dei quali dodici riservati alle donne, nove alla comunità cristiana e tre alla comunità circassa.
Avverso fin dall'inizio alla nuova legge elettorale è il Fronte di Azione Islamica, emanazione politica in Giordania della Fratellanza Musulmana. In un paese retto da logiche di appartenenza di clan, il Fronte rappresenta l'unica organizzazione partitica di opposizione al governo, anche se fortemente diviso al suo interno tra fazioni estremiste e raggruppamenti più moderati. Contrario al ridisegno dei distretti elettorali, che ancora una volta sovra rappresenterebbero zone del paese più favorevoli alla corona, e al sistema di una testa = un voto che vincola gli elettori alla scelta di solo candidato e non di una compagine partitica, il partito islamico questa volta non si presenta alla tornata elettorale, cosa che, ci si aspetta, inciderà non poco sulla partecipazione al voto soprattutto dell'elettorato più religioso.
In un paese declassato da Freedom House, nel giro di un anno, da parzialmente libero a non libero, dove ogni critica al re, alla sua famiglia, al governo o al parlamento è punibile con l'arresto e dove ancora esistono tribunali speciali e prigionieri politici, è facile che un sit-in non autorizzato dalle forze dell'ordine davanti al governo porti a dieci fermi, è facile comprare e vendere voti, scambiarli, fare pressioni su candidati scomodi perché si ritirino dalla corsa (sono ventiquattro le persone fino ad ora indagate per pratiche scorrette durante la campagna elettorale), è facile far scivolare un articolo di commento alla situazione attuale, economica e politica, del Paese dalla prima pagina alle pagine interne poco prima di andare in stampa, perché non sta bene.
Oggi, dopo quasi un anno di legislazione straordinaria e di decreti regi, il sentimento più diffuso è esattamente lo stesso.
D'altra parte non è la prima volta che, senza troppe spiegazioni, il re licenzia il Parlamento: era già successo nel 2001, e il sovrano attese due anni prima di indire nuove elezioni. E le cose non sembrano destinate a cambiare dopo le elezioni per le centinaia di tassisti di Amman, per i pastori di capre del governatorato di Kerak, per i beduini del deserto orientale, per i profughi palestinesi della Nakba (la tragedia, come i palestinesi chiamano la nascita d'Israele) o per i rifugiati iracheni dell'ultima guerra. Da giugno il paese è ricoperto da enormi cartelloni a sfondo viola. Fanno l'occhiolino a quel settanta per cento della popolazione sotto i trenta anni d'età, di istruzione medio-alta, che non si interessa alla realtà politica della nazione, che non ha mai nemmeno pensato di andare a votare. La nazione ha bisogno di te, la tua voce/il tuo voto è cruciale. Tende, banchetti e volontari sono comparsi agli angoli delle strade più battute dai giovani giordani, promuovendo la campagna per l'iscrizione alle liste elettorali. E poi sms e messaggi su Facebook per ricordare le procedure di registrazione. I primi dati diffusi dal Ministero degli Interni raccontano di trecento mila nuovi elettori che hanno acquisito diritto di voto, elemento ora segnato anche sulla loro carta di identità, accanto alla voce religione professata.
Gli edifici più alti di Amman ieri sera erano rischiarati dalla scritta luminosa Sharak, che significa partecipa, contribuisci.
Nelle 108 circoscrizioni, ridisegnate a seguito dell'emanazione della nuova legge elettorale del maggio scorso, si presentano oggi 763 candidati di cui 143 donne, che concorrono all'assegnazione dei 120 seggi di deputato, dei quali dodici riservati alle donne, nove alla comunità cristiana e tre alla comunità circassa.
Avverso fin dall'inizio alla nuova legge elettorale è il Fronte di Azione Islamica, emanazione politica in Giordania della Fratellanza Musulmana. In un paese retto da logiche di appartenenza di clan, il Fronte rappresenta l'unica organizzazione partitica di opposizione al governo, anche se fortemente diviso al suo interno tra fazioni estremiste e raggruppamenti più moderati. Contrario al ridisegno dei distretti elettorali, che ancora una volta sovra rappresenterebbero zone del paese più favorevoli alla corona, e al sistema di una testa = un voto che vincola gli elettori alla scelta di solo candidato e non di una compagine partitica, il partito islamico questa volta non si presenta alla tornata elettorale, cosa che, ci si aspetta, inciderà non poco sulla partecipazione al voto soprattutto dell'elettorato più religioso.
In un paese declassato da Freedom House, nel giro di un anno, da parzialmente libero a non libero, dove ogni critica al re, alla sua famiglia, al governo o al parlamento è punibile con l'arresto e dove ancora esistono tribunali speciali e prigionieri politici, è facile che un sit-in non autorizzato dalle forze dell'ordine davanti al governo porti a dieci fermi, è facile comprare e vendere voti, scambiarli, fare pressioni su candidati scomodi perché si ritirino dalla corsa (sono ventiquattro le persone fino ad ora indagate per pratiche scorrette durante la campagna elettorale), è facile far scivolare un articolo di commento alla situazione attuale, economica e politica, del Paese dalla prima pagina alle pagine interne poco prima di andare in stampa, perché non sta bene.
Tratto da: Peace Reporter
4 commenti:
Chissà se il Medio Oriente avrà mai pace...
Ciao Aly
Luoghi e genti che la serenità temo non scopriranno mai cosa sia :-(
Grazie per gli articoli che pubblichi ... ci vuole sempre più spazio per non dimenticare queste zone.
Ciao MArco
@Taz: Oì Taz! ke bello rivederti!:) Eh sì, molte realtà mediorentali sembrano turbolente in eterno.. dovrebbero trovare un sistema politico/economico/sociale ke dia almeno un pò d'equilibrio.
@Chit: cm ho detto a Taz, dovrebbero trovare un sistema politico/economico/sociale ke dia loro stabilità..ma solo loro possono capire qual è
@Marcaval: grazie a te ke passi ^^ Sono realtà ke non ci toccano da vicino, ma penso influenzino per via indiretta la realtà globale e quindi, volente o nolente, anche noi. Occhi aperti sul tutto il mondo, sempre
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