venerdì 27 marzo 2009

Vi racconto di Claude... - 2 parte

La cena viene servita. Oltre ai vari antipasti, il piatto forte sono tre ciotole che contengono riso, fagioli neri con pezzi di carne… tutto squisito, da leccarsi i baffi! Alla fine della cena io e Claude torniamo a discorrere in francese.
Ricomincia da “Ero arrivato al confine del Congo…”. Saluta il suo amico tassista, si guarda davanti e sa che da lì in poi sarà solo. A 14 anni è già da solo, ha la propria vita nelle sue mani. Non riesco a non fare paragoni: mi domando io, a quell’età e in quella situazione, cosa avrei fatto, come avrei reagito. Guardo i nuovi quattordicenni della mia città e penso sconsolata che avrebbero inizato a piangere e chiamare “Mamma”. Claude sorvola sui suoi sentimenti, devo tutti leggerli negli occhi, nelle sue espressioni; forse ancora troppo doloroso ricordare, forse ancora troppo aperta quella ferita. E così, dal Congo alla Libia, il racconto si fa veloce. “Con degli autobus, a piedi, con camion, sono arrivato in Libia”. Non chiedo i dettagli, mi sentirei troppo ficcanaso. Dalla Libia in Italia mi dice che non è difficile, basta avere dei soldi. Paga le guardie libiche, ne paga altre, paga coloro che lo trasporteranno sulle coste italiane, a Lampedusa per l’esattezza. Arrivato il giorno stabilito sale sul gommone. “Eravamo in tanti, non c’era cibo né acqua” mi dice, e comincia la traversata alla ricerca del rifugio politico. “In sei morirono” continua con quella sua voce pacata e rispettosa “Non ce l’hanno fatta, abbiamo dovuto buttarli in mare, per forza, non potevamo tenere dei cadaveri lì con noi”. Mentre parla è come se stesse cercando di giustificarsi, come se dovesse dare motivazione di quel gesto; faccio un mezzo sorriso, lo rassicuro, gli dico che era inevitabile, che hanno fatto bene. Poi, stremato e stanco, arriva a Lampedusa. Qui inizia prima la detenzione in un CPT, dopo, molto dopo, gli viene riconosciuto lo status di rifugiato politico, e infine inizia il balletto della ricerca di un lavoro, per vivere. “Quando vedono che ti iscrivi al Sindacato molti ti lasciano a casa” specifica da subito, con una rinnovata grinta; il mio amico, seduto vicino a Claude fa sconsolatamente ciondolare la testa avanti e indietro: è una realtà innegabile, se un extracomunitario al lavoro inizia a intendersela con i Sindacati, i capi lo guardano malissimo. Claude ha la fortuna di incontrare, tra tutti, anche brave persone, che l’aiutano a trovare casa, a districarsi nel lavoro e nella vita di tutti i giorni; e che gli fanno sentire che non è solo.
“Io vorrei studiare…” mi dice, con voce convinta “Io vorrei continuare gli studi”. Il mio amico al suo fianco aggiunge “Claude, lo sai che ora come ora devi pensare al lavoro per pagarti il cibo, la casa…”
Ma Claude non demorde “Sì, lo so, però…”
Cosa chiede di così innaturale Claude? Una cosa scontata per tantissimi ragazzi della mia età: studiare. Ma a lui non è concesso, lui deve per forza lavorare.
“Poi” continua “Vorrei provare a tornare in Congo, là ho tutti i miei attestati di studio, magari servirebbero e poi, un missionario m’ha detto che mamma è ancora viva…”
La notte pian piano avanza, il buio fuori è scuro, solo la luce della nostra abitazione lo rischiara.
Prima di salutarci, Claude mi fa una confidenza, abbozzando un sorriso “Sai…a casa dormo sempre con la luce accesa… ho paura, ho paura del buio…”
Mi viene da sorridere, di un sorriso triste e malinconico, amaro e buio, buio proprio come la notte, quella notte che Claude ha visto in tanti modi diversi e che io non posso neanche immaginare.

venerdì 20 marzo 2009

20 Marzo 1994: il più crudele dei giorni

Thanks Ilaria Alpi, grazie perchè sei stata una delle prime persone che mi ha fatto capire che bisogna non dimenticare mai... grazie di tutto.
"Il nostro, come disse Sciascia, è un paese senza memoria e verità, ed io per questo cerco di non dimenticare" -Ilaria Alpi-
Sono passati 15 anni dal tragico agguato in cui, a Mogadiscio, IlariaAlpi e Miran Hrovatin sono stati assassinati.
Prima della morte di Ilaria vorrei che ricordassimo la sua vita così breve e così intensa. Ricordare il suo impegno e la sua passione per i paesi, in particolare per l'Africa, tormentati dalla fame, dalla povertà e dalle guerre chei vari “signori”, sostenuti dai paesi occidentali, continuano ad alimentare: pensiamo a che cosa sta ancora accadendo proprio in Somalia anche in questo periodo. Tutti i suoi lavori testimoniano questa sua “vicinanza” alle donne, ai bambini, prime vittime delle ingiustizie dello squilibrato rapporto nord sud del mondo: non c’è servizio di Ilaria che racconti anche le questioni “grandi” come la guerra, la violenza, senza partire dalla vita quotidiana delle persone, con una volontà di conoscere e far conoscere, con una sensibilità, partecipazione al dolore e alle sofferenze evidente e coinvolgente. Un modo, il suo, di fare giornalismo, lontano dai frastuoni della celebrità, vicino a chi soffre. Un giornalismo e una storia, la sua, che raccontano di possibili inquietanti intrecci tra cooperazione e criminalità, tra aiuti allo sviluppo, traffico di armi e pratiche di smaltimento illegale di rifiuti tossici. “Dove sono finiti i 1400 miliardi della cooperazione italiana?” aveva scritto Ilaria prima di partire per quello che sarà il suo ultimo viaggio. Un giornalismo profondamente etico e rigoroso come scelta di conoscerei fatti di raccontarne la verità, di suscitare indignazione econtribuire così a cambiare questo mondo. E proprio per questo un modo di fare giornalismo più efficace. Anche “pericoloso” per chi ha interesse a che il mondo rimanga così com’è, profondamente ingiusto. Per chi ne ha commissionato l’omicidio, come si legge nell’ordinanzadi prosecuzione delle indagini con la quale il dottor Emanuele Cersosimo ha respinto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica di Roma il 2 dicembre 2007: “….la ricostruzione della vicenda…..quella dell’omicidio su commissione, assassinio posto in essere per impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal Hrovatin in ordine ai traffici di armi e dirifiuti tossici avvenuti tra l’Italia e la Somalia venissero portate a conoscenza dell’opinione pubblica…..”. Le diverse indagini della magistratura e delle commissioni d’inchiesta parlamentari hanno acquisito materiali, documentazioni, testimonianze dalle quali si può arrivare alla verità, a tutta la verità. E, invece, non si è voluto farlo, addirittura si sono ignorati fatti, si sono occultati documenti, si sono dette bugie, si è depistato, non si sono fatti tutti gli accertamenti necessari. L’ultimo esempio è riferito all'auto Toyota pick up che la commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’avvocato Carlo Taormina ha fatto giungere dalla Somalia con la collaborazione di Giancarlo Marocchino e presentato come quella dell’agguato mortale. Le tracce di sangue rinvenute e appartenenti a una persona di sesso femminile non sono di Ilaria: è quanto emerso dall’analisi comparativa del DNA con quello di Giorgio e Luciana Alpi disposta dalla Procura di Roma (come richiesto dal giudice Cersosimo al 25° punto dell’ordinanza citata) e che la maggioranza della commissione non aveva voluto fare. Questo risultato “incontestabile” demolisce le perizie compiute sulla Toyota e anche le conclusioni della maggioranza della commissione che su di esse erano in gran parte fondate. Anche questo risultato conferma che il caso non è chiuso ma apertissimo e da ragione alle relazioni di minoranza che hanno considerato le conclusioni della maggioranza inaccettabili e gravi proponendo una verità (e non la verità) senza prove o peggio falsificandone la lettura, non esitando nemmeno ad offendere la memoria di Ilaria e Miran, la loro vita, la loro professionalità. Nonostante ciò si sa ormai quasi tutto su quel che accadde in quei giorni a Mogadiscio, sul perché di quell’esecuzione, perfino su chi faceva parte del commando. Ma a chi ha armato quel gruppo di fuoco, ai mandanti, non si è ancora arrivati e gli esecutori sono ancora impuniti.
Perché alla verità non si è ancora arrivati? Chi non vuole la verità? Perché?
Luciana e Giorgio Alpi in questi 15 anni hanno lottato con tutte le loro energie per la verità e per la giustizia: 5479 giorni, spesso in solitudine, passati nel dolore e nell’impegno interpellando tutte le persone, le istituzioni che dovevano e potevano arrivare a mandanti ed esecutori e assicurarli alla giustizia. Hanno lottato e continuano a farlo.
Li ringraziamo perché il loro esempio è stato per tutti noi il motore per lottare, per cercare la verità.
Mariangela Gritta Grainer, portavoce associazione Ilaria Alpi

giovedì 19 marzo 2009

Senza Parole

Il ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta, tuona: "Gli studenti dell'Onda sono guerriglieri!" O.o
Non ho parole...scusate, ma non aggiungo altro perchè la demenzialità e l'idiozia di questa affermazione dice tutto.
Beh, se poi essere guerriglieri vuol dire battersi per questioni giuste, per difendere i propri diritti e la propria istruzione pubblica, allora fieri di essere guerriglieri!
(P.S. A Bergamo qualche mese fa Forza Nuova ha sfilato con caschi, mazze, bastoni e spranghe... lì perchè nessuno ha detto niente??)

venerdì 13 marzo 2009

Visas for 70,000 Bangladeshi immigrants revoke

Questo articolo è per far notare come l'immigrazione non sia solo una "questione" italiana, per mostrare a chi non sa guardare al di là del proprio naso che tutto il mondo è il paese. Perchè in qualunque angolo del mondo andiate ci sarà sempre l'immigrato da stigmatizzare e crocifiggere, e ci sarà sempre l'egoismo traboccante di questa società capitalista.
(Per l'articolo in italiano cliccate qua: "Revocati 70mila visti a immigrati bangladeshi").

Malaysia has revoked work visas for 70,000 Bangladeshis who were to begin arriving this week in response to a public outcry about migrants taking Malaysian jobs.
The would-be immigrants were to be employed in manufacturing, agriculture and construction, and would have joined an estimated 500,000 Bangladeshi already in the country, out of an estimated three million Asian migrant workers in the whole country.
These “workers are from poverty-stricken families and had to raise about 200,000 Bangladeshi taka [or about US$ 2,500] to send their son to Malaysia in the hope of escaping poverty,” said Irene Fernandez, executive director of Tenaganita, an NGO that helps migrant workers in distress. For purpose of comparison she noted that a primary school teacher in Bangladesh earned only about 800 taka (US$ 13) a month.
Malaysia’s about-face on the 70,000 visas is the direct result of the global economic crisis which is having major impact on the local labour market.
“Because of the downturn, factory owners are cutting costs by letting locals go and keeping foreigners because they are cheaper,” said Govindasamy Rajasegaran, secretary general of the Malaysian Trades Union Congress. “If this trend continues, by June we expect 400,000 local workers to be laid off.”
But foreign workers are also affected by cuts in jobs and lay-offs. Most are repatriated but many choose to go underground and take underpaid jobs just to avoid going home.
Under current rules, migrant workers are given 30 days to secure work after arriving in Malaysia or they are forced to leave the country.
“In theory, if there are no jobs they are repatriated, but in practice they . . . easily find extremely low-paid jobs that are shunned by locals,” Ms Fernandez said.

lunedì 2 marzo 2009

Dagli slums agli oscar a poi di nuovo negli slums

Vi ricordate il film "The Millionaire" del regista Danny Boyle? Il film che ha fatto incetta alla notte degli oscar (ben otto)?
Un film molto bello, l'ho visto io stessa, che apre uno squarcio sulla vita dell'India di oggi: i suoi slums, ovvero le baraccopoli di cui questa nazione è piena, la ferocia della polizia che opera senza regole, i mafiosi locali che sfruttano in modo brutale i bambini, l'estremismo indù, la povertà tagliente e l'ingegnosità del sopravvivere quotidiano. Tratta il tutto in modo per nulla pietistico o banale, con un'abilità e una bravura che gli fa meritare in pieno le otto statuette.
Ma c'è qualcosa di più.
I due attori bambini (Azharuddin Ismaile e Rubina Ali) che interpretano la parte del fratello e dell'amichetta del protagonista da piccolo, vivono realmente negli slums. E finita la premiazione, finita la festa, sono partiti i batti e ribatti delle agenzie stampa su questo argomento. Il regista sostiene che, oltre allo stipendo dato loro per il film, si è fatto carico delle spese scolastiche dei due piccoli attori e ha organizzato un fondo fiduciario per i loro 18 anni. Inoltre, le autorità di Mumbai hanno promesso di donare loro delle vere case. Diversa è la versione che arriva dall'India, dalle pagine del Daily Telegraph: del fondo fiduciario i genitori degli attori sostengono di non saperne nulla e, per quanto riguarda il compenso, Rabina avrebbe ricevuto 500 sterline (poco più di 500 €) per un anno di lavoro tra selezione, preparazione e riprese, e Azharuddin 1.700. Un portavoce della Fox, la casa di produzione del film, invece smentisce, sostenendo che in realtà i due bambini sono stati pagati "tre volte di più" del salario che un adulto riceverebbe nel loro quartiere, senza però rivelare la somma.
Che dire... il batti e ribatti di notizie sarà difficile da verificare, anche perchè dopo l'entusiasmo degli oscar l'informazione farà calare il sipario su questo storia. Posso solo sperare che tutto si risolva per il meglio, pur sapendo che le favole a lieto fine sono rare.
L'unica cosa veritiera che mi rimane sono queste foto, qui sotto, che mostrano Azharuddin e Rubina nelle loro attuali case.











Il film è molto bello ripeto, ve lo consiglio, anche se queste buie notizie me l'hanno reso più amaro.
A voi le conclusioni finali.